Roma - Entra in vigore il pacchetto sicurezza, e la prima reazione all’introduzione del reato di immigrazione clandestina rimbalza da Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto del 1956 morirono 136 minatori italiani emigrati. La «piena integrazione» degli extracomunitari, dice il presidente Giorgio Napolitano in un messaggio, letto da Gianfranco Fini alla cerimonia di commemorazione, è un «diritto fondamentale il cui concreto soddisfacimento sollecita massima attenzione e impegni coerenti da parte delle istituzioni e di tutte le forze sociali». A far sponda alle dichiarazioni del capo dello Stato (che nell’occasione ha invitato anche a «riflettere» sul tema della sicurezza sul lavoro) è, come spesso capita, proprio il presidente della Camera Fini. Che dopo aver riportato le parole del Quirinale torna sul punto. Spiegando che quanti lasciano il Paese d’origine per lavorare all’estero «non sono ospiti temporanei». E chi pensa «a politiche di immigrazione basate sul fatto che chi viene a lavorare in Italia poi tornerà nel proprio Paese» non ha «capito nulla», e non conosce «la nostra storia». Il riferimento mica tanto velato è al Carroccio. Fini è anche più esplicito, aggiungendo che l’emigrazione italiana non è stata un fenomeno meridionale: «Quanti veneti, piemontesi, lombardi emigrarono? Questo vorrei che lo ricordassero quegli esponenti politici che oggi in Italia rappresentano una parte degli elettori del Nord». Non manca una stoccata per il reato entrato in vigore ieri: «Il lavoratore - afferma Fini - va rispettato anche se non ha les papiers, i documenti». Ossia anche se è clandestino, per quanto è «chiaro che dobbiamo integrarli garantendo la sicurezza, ma soprattutto rispettarli come uomini e donne». Parole che non hanno tardato a innescare reazioni critiche. Come quella di Roberto Calderoli. Il ministro leghista ha risposto al presidente della Camera, sostenendo che «il lavoratore in quanto uomo o in quanto donna merita sempre rispetto, anche se irregolare. Ma con il dovuto rispetto va anche processato ed espulso, quando non sia in possesso dei requisiti necessari, perché così dice la legge, approvata dal Parlamento». E in serata, durissimo, arriva da Pontida il commento di Umberto Bossi. Dopo aver ribadito che la battaglia estiva della Lega sarà sulle gabbie salariali e l’insegnamento del dialetto nelle scuole, ha affermato: «Noi andavamo (all’estero, ndr) a lavorare non ad ammazzare la gente. Questa è una vittoria del governo». Di tutt’altro tenore, le reazioni della vicepresidente della Camera Rosy Bindi. L’esponente del Pd critica «il cinismo» del Carroccio e la «pericolosità culturale» del nuovo reato inserito nel pacchetto sicurezza. E accusa: «Solo una legislazione monca e ostile agli immigrati ostacola l’integrazione di migliaia di lavoratori stranieri nelle imprese e nelle famiglie italiane». Ma la Lega fa quadrato e difende la legge dall’«attacco» di Fini e Napolitano. «L’introduzione del reato di clandestinità è la prima forma di rispetto e di chiarezza nei confronti di tutti: nei confronti dei nostri cittadini, ma anche nei confronti degli immigrati che sanno con chiarezza quello che possono fare e quello che non possono fare, cioè stare da noi senza essere in regola», taglia corto il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Roberto Cota.
domenica 9 agosto 2009
Bossi replica
Sicurezza, Napolitano e Fini: "Noi ex migranti". La replica di Bossi: "Ma non assassini" di Massimo Malpica
Roma - Entra in vigore il pacchetto sicurezza, e la prima reazione all’introduzione del reato di immigrazione clandestina rimbalza da Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto del 1956 morirono 136 minatori italiani emigrati. La «piena integrazione» degli extracomunitari, dice il presidente Giorgio Napolitano in un messaggio, letto da Gianfranco Fini alla cerimonia di commemorazione, è un «diritto fondamentale il cui concreto soddisfacimento sollecita massima attenzione e impegni coerenti da parte delle istituzioni e di tutte le forze sociali». A far sponda alle dichiarazioni del capo dello Stato (che nell’occasione ha invitato anche a «riflettere» sul tema della sicurezza sul lavoro) è, come spesso capita, proprio il presidente della Camera Fini. Che dopo aver riportato le parole del Quirinale torna sul punto. Spiegando che quanti lasciano il Paese d’origine per lavorare all’estero «non sono ospiti temporanei». E chi pensa «a politiche di immigrazione basate sul fatto che chi viene a lavorare in Italia poi tornerà nel proprio Paese» non ha «capito nulla», e non conosce «la nostra storia». Il riferimento mica tanto velato è al Carroccio. Fini è anche più esplicito, aggiungendo che l’emigrazione italiana non è stata un fenomeno meridionale: «Quanti veneti, piemontesi, lombardi emigrarono? Questo vorrei che lo ricordassero quegli esponenti politici che oggi in Italia rappresentano una parte degli elettori del Nord». Non manca una stoccata per il reato entrato in vigore ieri: «Il lavoratore - afferma Fini - va rispettato anche se non ha les papiers, i documenti». Ossia anche se è clandestino, per quanto è «chiaro che dobbiamo integrarli garantendo la sicurezza, ma soprattutto rispettarli come uomini e donne». Parole che non hanno tardato a innescare reazioni critiche. Come quella di Roberto Calderoli. Il ministro leghista ha risposto al presidente della Camera, sostenendo che «il lavoratore in quanto uomo o in quanto donna merita sempre rispetto, anche se irregolare. Ma con il dovuto rispetto va anche processato ed espulso, quando non sia in possesso dei requisiti necessari, perché così dice la legge, approvata dal Parlamento». E in serata, durissimo, arriva da Pontida il commento di Umberto Bossi. Dopo aver ribadito che la battaglia estiva della Lega sarà sulle gabbie salariali e l’insegnamento del dialetto nelle scuole, ha affermato: «Noi andavamo (all’estero, ndr) a lavorare non ad ammazzare la gente. Questa è una vittoria del governo». Di tutt’altro tenore, le reazioni della vicepresidente della Camera Rosy Bindi. L’esponente del Pd critica «il cinismo» del Carroccio e la «pericolosità culturale» del nuovo reato inserito nel pacchetto sicurezza. E accusa: «Solo una legislazione monca e ostile agli immigrati ostacola l’integrazione di migliaia di lavoratori stranieri nelle imprese e nelle famiglie italiane». Ma la Lega fa quadrato e difende la legge dall’«attacco» di Fini e Napolitano. «L’introduzione del reato di clandestinità è la prima forma di rispetto e di chiarezza nei confronti di tutti: nei confronti dei nostri cittadini, ma anche nei confronti degli immigrati che sanno con chiarezza quello che possono fare e quello che non possono fare, cioè stare da noi senza essere in regola», taglia corto il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Roberto Cota.
Roma - Entra in vigore il pacchetto sicurezza, e la prima reazione all’introduzione del reato di immigrazione clandestina rimbalza da Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto del 1956 morirono 136 minatori italiani emigrati. La «piena integrazione» degli extracomunitari, dice il presidente Giorgio Napolitano in un messaggio, letto da Gianfranco Fini alla cerimonia di commemorazione, è un «diritto fondamentale il cui concreto soddisfacimento sollecita massima attenzione e impegni coerenti da parte delle istituzioni e di tutte le forze sociali». A far sponda alle dichiarazioni del capo dello Stato (che nell’occasione ha invitato anche a «riflettere» sul tema della sicurezza sul lavoro) è, come spesso capita, proprio il presidente della Camera Fini. Che dopo aver riportato le parole del Quirinale torna sul punto. Spiegando che quanti lasciano il Paese d’origine per lavorare all’estero «non sono ospiti temporanei». E chi pensa «a politiche di immigrazione basate sul fatto che chi viene a lavorare in Italia poi tornerà nel proprio Paese» non ha «capito nulla», e non conosce «la nostra storia». Il riferimento mica tanto velato è al Carroccio. Fini è anche più esplicito, aggiungendo che l’emigrazione italiana non è stata un fenomeno meridionale: «Quanti veneti, piemontesi, lombardi emigrarono? Questo vorrei che lo ricordassero quegli esponenti politici che oggi in Italia rappresentano una parte degli elettori del Nord». Non manca una stoccata per il reato entrato in vigore ieri: «Il lavoratore - afferma Fini - va rispettato anche se non ha les papiers, i documenti». Ossia anche se è clandestino, per quanto è «chiaro che dobbiamo integrarli garantendo la sicurezza, ma soprattutto rispettarli come uomini e donne». Parole che non hanno tardato a innescare reazioni critiche. Come quella di Roberto Calderoli. Il ministro leghista ha risposto al presidente della Camera, sostenendo che «il lavoratore in quanto uomo o in quanto donna merita sempre rispetto, anche se irregolare. Ma con il dovuto rispetto va anche processato ed espulso, quando non sia in possesso dei requisiti necessari, perché così dice la legge, approvata dal Parlamento». E in serata, durissimo, arriva da Pontida il commento di Umberto Bossi. Dopo aver ribadito che la battaglia estiva della Lega sarà sulle gabbie salariali e l’insegnamento del dialetto nelle scuole, ha affermato: «Noi andavamo (all’estero, ndr) a lavorare non ad ammazzare la gente. Questa è una vittoria del governo». Di tutt’altro tenore, le reazioni della vicepresidente della Camera Rosy Bindi. L’esponente del Pd critica «il cinismo» del Carroccio e la «pericolosità culturale» del nuovo reato inserito nel pacchetto sicurezza. E accusa: «Solo una legislazione monca e ostile agli immigrati ostacola l’integrazione di migliaia di lavoratori stranieri nelle imprese e nelle famiglie italiane». Ma la Lega fa quadrato e difende la legge dall’«attacco» di Fini e Napolitano. «L’introduzione del reato di clandestinità è la prima forma di rispetto e di chiarezza nei confronti di tutti: nei confronti dei nostri cittadini, ma anche nei confronti degli immigrati che sanno con chiarezza quello che possono fare e quello che non possono fare, cioè stare da noi senza essere in regola», taglia corto il capogruppo del Carroccio a Montecitorio, Roberto Cota.
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