lunedì 10 agosto 2009

Su Nichi Vendola

Lettera di un impuro garantista al puro governatore della Puglia Nichi Vendola di Gaetano Quagliariello

Gentile Presidente,di fronte alla lettera che lei ha deciso d’inviare al Pubblico Ministero della Dda di Bari Desirè Digeronimo, un garantista prima rabbrividisce, ma poi non riesce a trattenere un moto d’intima soddisfazione. Rabbrividisce perché al “proprio giudice” può scrivere George Simenon, in forma letteraria. Può rivolgersi Paolo Cirino Pomicino, quando credendosi prossimo alla fine convocò Di Pietro al proprio capezzale, in forma intima. Non può indirizzarsi un politico in servizio permanente effettivo e nel pieno delle proprie funzioni che abbia la minima cognizione della divisione dei poteri e di cosa essa comporti. Tale divisione impedisce infatti un approccio pubblico diretto. Ciò non significa che ogni decisione della magistratura debba essere accettata con rassegnazione. La si può criticare e persino smontare. Ma quel che non è consentito neppure ai puri, signor Presidente, è ammiccare, oscuramente insinuare, alludere. Se sa qualcosa parli, in modo che l’opinione pubblica possa giudicare sulla base di fatti. Ma, la prego, non faccia riferimento a “reti di amici e parenti” o a magistrati “rei” di aver preso parte a delle feste, dicendo e non dicendo. Questo linguaggio, le assicuro, non si addice ai puri e nemmeno ai politici, soprattutto se gravati da responsabilità istituzionali. E, infine, non si stracci le vesti se l'acquisizione degli atti possa riguardare anche la gestazione di alcune leggi presso la sua giunta. Quelle leggi, infatti, vanno rispettate in quanto tali e nessun magistrato può minarne la validità (come è bello vedervi riscoprire il primato della politica e temere di fronte al rischio che l’attività giudiziaria ne invada il campo!). Ma scoprire se il legislatore abbia agito in coscienza e spinto da legittimo interesse, ovvero sia stato motivato da pressioni illecite, questo – sia consentito dirlo a uno assai meno puro di lei - può e deve essere compito del magistrato, soprattutto se l’ipotesi è suffragata da indizi. E’ l’ultima parte della sua lettera, però, che dalla disapprovazione porta il garantista ad assaporare uno stato di intima soddisfazione. E' quando parla degli effetti della “incredibile e permanente spettacolarizzazione dell’inchiesta”. E’ quando, al quarto punto, si riferisce a quel circolo mediatico giudiziario per il quale il risultato degli accertamenti perde di significato, in quanto il vero effetto politico, di condanna, lo si riceve dalla spettacolarizzazione delle indagini compiuta dai mass media indipendentemente dalla propria posizione, dall’esito dell'eventuale processo, dal giudizio finale.Vorrei assicurarle, signor Presidente, che questa sorte negli ultimi quindici anni non è toccata solo a Lei. Vi sono decine e decine di uomini politici che hanno affrontato il disonore, l’ingiustizia e a volte il carcere, per poi vedersi assolti da ogni colpa. Quando nei confronti del suo avversario e predecessore, l’onorevole Raffaele Fitto, sono emersi chiaramente i tratti del fumus persecutionis, egli ha protestato, si è difeso a viso aperto ricevendo l'applauso bipartisan del Parlamento, ha scontato - nel migliore dei casi - anche il suo assordante silenzio, signor presidente. Ma non per questo ha mostrato la presunzione fatale che lei oggi ostenta. Perché questo è il vero punto in questione. Da quel che lei denuncia - legittimamente dal suo punto di vista - non ci si difende dividendo il mondo in buoni o cattivi, insultando Totò Cuffaro o auto-attribuendosi patenti di purezza. E’ questa cultura che anche lei ha alimentato che ora le si rivolta contro. Perché la tutela che lei invoca per sé deve valere per tutti, fino a quando una verità giudiziaria (e anche in quanto tale comunque imperfetta) non venga accertata. Lei cita a dimostrazione della diversità della sua posizione il fatto di non essere indagato. Non è un elemento decisivo. Dovrebbe saperlo meglio di me: in una imputazione può incorrere qualsiasi politico che si trovi a gestire la cosa pubblica, e che non per questo deve essere crocifisso e passare dal banco degli accusati a quello dei colpevoli. Vede, signor Presidente, sarebbe stato più nobile e puro, anche se assai più difficile, se quelle garanzie che invoca per sé le avesse richieste per il suo ex assessore Alberto Tedesco, che Lei prima ha politicamente difeso, sbagliando, e gridando al “sabotaggio” di fronte alle critiche dell’opposizione, e di cui poi si è sbarazzato alle prime avvisaglie giudiziarie, scaricando indebitamente sulla presunta “questione morale” un fallimento politico che è anche suo. Ne può stare certo: io, così come tutti i garantisti del centrodestra, è sempre su questo piano politico che continuerò ad attaccarla. Ma lei, se vorrà sortire qualche effetto, piuttosto che scrivere indebitamente al pm Digeronimo, racconti la sua storia alle orde dei suoi colleghi giustizialisti. Quelli che ogni giorno, dall'alto di una presunta purezza, gettano discredito sui loro avversari politici in quantità, le assicuro, ben maggiori di quelle che lei ha ricevuto addosso. Perché solo se un po’ di cultura garantista entrerà nel dna delle nostre istituzioni e nelle ragioni di condivisa legittimità della nostra vita pubblica, vi potrà essere salvezza per i puri, per i presunti puri e anche per i meno puri, che non per questo meritano la gogna.

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