Da ieri, nella biblioteca del bravo multiculturalista c’è un nuovo volume. In realtà è uscito un mese fa. Ma le agenzie di stampa e i partiti politici ne parlano adesso perché a metà agosto non accade nulla di interessante e su qualcosa bisogna pur litigare. Il titolo del testo, "L’economia delle regioni italiane nell’anno 2008", non è dei più accattivanti. Dentro, però, c’è scritto proprio quello che in molti vogliono sentirsi dire: gli immigrati non tolgono il lavoro agli italiani. E siccome il documento in questione è firmato dalla Banca d’Italia, giornali e commentatori di sinistra (e non solo) ce lo stanno già rivendendo come la conferma ufficiale del fatto che i nuovi arrivati non creano problemi agli italiani, e che la paura di perdere il posto a causa dell’arrivo degli stranieri è infondata. Solo che le cose non stanno proprio così. Non sempre, quantomeno. E basta leggere con attenzione quanto scritto da Bankitalia per capire che c’è un’altra metà della verità, che via Nazionale mette tra le righe. Una verità che si potrebbe riassumere in questo modo: l’immigrazione fa bene agli italiani ricchi. Quanto agli italiani con pochi soldi in tasca, beh, per loro la storia è un po’ diversa.Gli stessi studiosi della banca centrale, del resto, ci vanno con i piedi di piombo. Scrivono che «l’incremento del numero di stranieri non si è associato a un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani, sebbene emergano differenziazioni tra i segmenti della popolazione». Proprio qui sta il punto. In particolare, vi sarebbe «complementarietà» tra gli stranieri e gli italiani più istruiti e le donne. Sono questi due gruppi, in altre parole, a trarre vantaggio dagli immigrati. In che modo? Per le donne, «la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati alla presenza di figli e all’assistenza di familiari più anziani, permettendo di aumentare l’offerta di lavoro». Le donne, cioè, avrebbero più opportunità professionali, perché grazie alle baby-sitter e alle badanti possono pensare alla carriera e non ai figli e ai parenti anziani, affettuosamente ribattezzati «vincoli» dalla Banca d’Italia. Ora, ben vengano colf e figure simili. Prima di esultare per le fantastiche opportunità che la loro presenza dischiude, però, bisogna avere l’onestà di ammettere che non tutte le italiane se la possono permettere. È un “lusso” riservato alle più abbienti. Anche perché lasciare i figli e i nonni alle cure di un immigrato, anziché occuparsene direttamente, ha senso solo se lo si fa per guadagnare più di quanto costa il lavoratore straniero. Discorso simile per l’altro «segmento» che sarebbe avvantaggiato dall’immigrazione, ovvero quello degli «italiani più istruiti». Bankitalia spiega che «l’afflusso di lavoratori stranieri impiegati con mansioni tecniche e operaie può aver sostenuto la domanda di lavoro per funzioni gestionali e amministrative, che richiedono qualifiche più elevate». Insomma, la bassa manodopera immigrata creerebbe un indotto di profilo medio-alto: quadri, dirigenti, consulenti, legali e quant’altro si renda necessario per gestirla. Dire «italiani più istruiti», però, equivale a dire «italiani più ricchi». Come spiega l’Istat, «il reddito netto familiare è tanto maggiore quanto più è alto il livello di istruzione del principale percettore». Tanto che «la maggioranza assoluta (53,6 per cento) delle famiglie il cui percettore principale è laureato appartiene al quinto più ricco» degli italiani. E i nostri connazionali più poveri e magari meridionali? Come vivono la presenza degli immigrati? Ci guadagnano anche loro o ci rimettono? Bankitalia non lo spiega. Dice, però, che al Nord affluiscono meno lavoratori italiani con titolo di studio più basso, il cui posto nelle fabbriche viene preso dagli stranieri. Sarebbe interessante capire qual è la causa e quale l’effetto. Se cioè i meridionali con basso titolo di studio non emigrano più perché i posti cui potrebbero aspirare sono tutti presi dagli immigrati, o se gli stranieri ottengono lavori che gli italiani non accetterebbero comunque, soprattutto se per averli debbono trasferirsi al Nord. Alla fine, la sola certezza che emerge dal volume di Bankitalia è che gli unici a non aver nulla da temere dagli immigrati sono i ricchi. Gli italiani con le tasche vuote si arrangino pure. Sai che novità.
mercoledì 19 agosto 2009
Gli italiani (normali) si arrangino
Immigrati e lavoro: cosa c'è scritto davvero nello studio di Bankitalia di Fausto Carioti
Da ieri, nella biblioteca del bravo multiculturalista c’è un nuovo volume. In realtà è uscito un mese fa. Ma le agenzie di stampa e i partiti politici ne parlano adesso perché a metà agosto non accade nulla di interessante e su qualcosa bisogna pur litigare. Il titolo del testo, "L’economia delle regioni italiane nell’anno 2008", non è dei più accattivanti. Dentro, però, c’è scritto proprio quello che in molti vogliono sentirsi dire: gli immigrati non tolgono il lavoro agli italiani. E siccome il documento in questione è firmato dalla Banca d’Italia, giornali e commentatori di sinistra (e non solo) ce lo stanno già rivendendo come la conferma ufficiale del fatto che i nuovi arrivati non creano problemi agli italiani, e che la paura di perdere il posto a causa dell’arrivo degli stranieri è infondata. Solo che le cose non stanno proprio così. Non sempre, quantomeno. E basta leggere con attenzione quanto scritto da Bankitalia per capire che c’è un’altra metà della verità, che via Nazionale mette tra le righe. Una verità che si potrebbe riassumere in questo modo: l’immigrazione fa bene agli italiani ricchi. Quanto agli italiani con pochi soldi in tasca, beh, per loro la storia è un po’ diversa.Gli stessi studiosi della banca centrale, del resto, ci vanno con i piedi di piombo. Scrivono che «l’incremento del numero di stranieri non si è associato a un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani, sebbene emergano differenziazioni tra i segmenti della popolazione». Proprio qui sta il punto. In particolare, vi sarebbe «complementarietà» tra gli stranieri e gli italiani più istruiti e le donne. Sono questi due gruppi, in altre parole, a trarre vantaggio dagli immigrati. In che modo? Per le donne, «la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati alla presenza di figli e all’assistenza di familiari più anziani, permettendo di aumentare l’offerta di lavoro». Le donne, cioè, avrebbero più opportunità professionali, perché grazie alle baby-sitter e alle badanti possono pensare alla carriera e non ai figli e ai parenti anziani, affettuosamente ribattezzati «vincoli» dalla Banca d’Italia. Ora, ben vengano colf e figure simili. Prima di esultare per le fantastiche opportunità che la loro presenza dischiude, però, bisogna avere l’onestà di ammettere che non tutte le italiane se la possono permettere. È un “lusso” riservato alle più abbienti. Anche perché lasciare i figli e i nonni alle cure di un immigrato, anziché occuparsene direttamente, ha senso solo se lo si fa per guadagnare più di quanto costa il lavoratore straniero. Discorso simile per l’altro «segmento» che sarebbe avvantaggiato dall’immigrazione, ovvero quello degli «italiani più istruiti». Bankitalia spiega che «l’afflusso di lavoratori stranieri impiegati con mansioni tecniche e operaie può aver sostenuto la domanda di lavoro per funzioni gestionali e amministrative, che richiedono qualifiche più elevate». Insomma, la bassa manodopera immigrata creerebbe un indotto di profilo medio-alto: quadri, dirigenti, consulenti, legali e quant’altro si renda necessario per gestirla. Dire «italiani più istruiti», però, equivale a dire «italiani più ricchi». Come spiega l’Istat, «il reddito netto familiare è tanto maggiore quanto più è alto il livello di istruzione del principale percettore». Tanto che «la maggioranza assoluta (53,6 per cento) delle famiglie il cui percettore principale è laureato appartiene al quinto più ricco» degli italiani. E i nostri connazionali più poveri e magari meridionali? Come vivono la presenza degli immigrati? Ci guadagnano anche loro o ci rimettono? Bankitalia non lo spiega. Dice, però, che al Nord affluiscono meno lavoratori italiani con titolo di studio più basso, il cui posto nelle fabbriche viene preso dagli stranieri. Sarebbe interessante capire qual è la causa e quale l’effetto. Se cioè i meridionali con basso titolo di studio non emigrano più perché i posti cui potrebbero aspirare sono tutti presi dagli immigrati, o se gli stranieri ottengono lavori che gli italiani non accetterebbero comunque, soprattutto se per averli debbono trasferirsi al Nord. Alla fine, la sola certezza che emerge dal volume di Bankitalia è che gli unici a non aver nulla da temere dagli immigrati sono i ricchi. Gli italiani con le tasche vuote si arrangino pure. Sai che novità.
Da ieri, nella biblioteca del bravo multiculturalista c’è un nuovo volume. In realtà è uscito un mese fa. Ma le agenzie di stampa e i partiti politici ne parlano adesso perché a metà agosto non accade nulla di interessante e su qualcosa bisogna pur litigare. Il titolo del testo, "L’economia delle regioni italiane nell’anno 2008", non è dei più accattivanti. Dentro, però, c’è scritto proprio quello che in molti vogliono sentirsi dire: gli immigrati non tolgono il lavoro agli italiani. E siccome il documento in questione è firmato dalla Banca d’Italia, giornali e commentatori di sinistra (e non solo) ce lo stanno già rivendendo come la conferma ufficiale del fatto che i nuovi arrivati non creano problemi agli italiani, e che la paura di perdere il posto a causa dell’arrivo degli stranieri è infondata. Solo che le cose non stanno proprio così. Non sempre, quantomeno. E basta leggere con attenzione quanto scritto da Bankitalia per capire che c’è un’altra metà della verità, che via Nazionale mette tra le righe. Una verità che si potrebbe riassumere in questo modo: l’immigrazione fa bene agli italiani ricchi. Quanto agli italiani con pochi soldi in tasca, beh, per loro la storia è un po’ diversa.Gli stessi studiosi della banca centrale, del resto, ci vanno con i piedi di piombo. Scrivono che «l’incremento del numero di stranieri non si è associato a un peggioramento delle opportunità occupazionali degli italiani, sebbene emergano differenziazioni tra i segmenti della popolazione». Proprio qui sta il punto. In particolare, vi sarebbe «complementarietà» tra gli stranieri e gli italiani più istruiti e le donne. Sono questi due gruppi, in altre parole, a trarre vantaggio dagli immigrati. In che modo? Per le donne, «la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati alla presenza di figli e all’assistenza di familiari più anziani, permettendo di aumentare l’offerta di lavoro». Le donne, cioè, avrebbero più opportunità professionali, perché grazie alle baby-sitter e alle badanti possono pensare alla carriera e non ai figli e ai parenti anziani, affettuosamente ribattezzati «vincoli» dalla Banca d’Italia. Ora, ben vengano colf e figure simili. Prima di esultare per le fantastiche opportunità che la loro presenza dischiude, però, bisogna avere l’onestà di ammettere che non tutte le italiane se la possono permettere. È un “lusso” riservato alle più abbienti. Anche perché lasciare i figli e i nonni alle cure di un immigrato, anziché occuparsene direttamente, ha senso solo se lo si fa per guadagnare più di quanto costa il lavoratore straniero. Discorso simile per l’altro «segmento» che sarebbe avvantaggiato dall’immigrazione, ovvero quello degli «italiani più istruiti». Bankitalia spiega che «l’afflusso di lavoratori stranieri impiegati con mansioni tecniche e operaie può aver sostenuto la domanda di lavoro per funzioni gestionali e amministrative, che richiedono qualifiche più elevate». Insomma, la bassa manodopera immigrata creerebbe un indotto di profilo medio-alto: quadri, dirigenti, consulenti, legali e quant’altro si renda necessario per gestirla. Dire «italiani più istruiti», però, equivale a dire «italiani più ricchi». Come spiega l’Istat, «il reddito netto familiare è tanto maggiore quanto più è alto il livello di istruzione del principale percettore». Tanto che «la maggioranza assoluta (53,6 per cento) delle famiglie il cui percettore principale è laureato appartiene al quinto più ricco» degli italiani. E i nostri connazionali più poveri e magari meridionali? Come vivono la presenza degli immigrati? Ci guadagnano anche loro o ci rimettono? Bankitalia non lo spiega. Dice, però, che al Nord affluiscono meno lavoratori italiani con titolo di studio più basso, il cui posto nelle fabbriche viene preso dagli stranieri. Sarebbe interessante capire qual è la causa e quale l’effetto. Se cioè i meridionali con basso titolo di studio non emigrano più perché i posti cui potrebbero aspirare sono tutti presi dagli immigrati, o se gli stranieri ottengono lavori che gli italiani non accetterebbero comunque, soprattutto se per averli debbono trasferirsi al Nord. Alla fine, la sola certezza che emerge dal volume di Bankitalia è che gli unici a non aver nulla da temere dagli immigrati sono i ricchi. Gli italiani con le tasche vuote si arrangino pure. Sai che novità.
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