La Chiesa si trova oggi in una situazione difficilissima, di cui, però, sembra non rendersi conto. La crisi interna, che ha drasticamente ridotto, a partire dal Concilio Vaticano II in poi, il numero degli appartenenti agli Ordini religiosi, sia uomini che donne, non ha influito soltanto sulle attività immediatamente legate al culto, come per esempio la gestione delle parrocchie; ma ha reso in qualche modo “invisibile” la vita stessa della Chiesa come organismo diverso dal corpo dei fedeli nella sua spiritualità e che un tempo era socialmente fortissimo, con la presenza ovunque dei Francescani, dei Domenicani, dei Cappuccini, dei Salesiani e delle loro opere. Lo scarso clero rimasto dimostra spesso, purtroppo, di essere culturalmente e intellettualmente povero; tanto più povero in quanto, perlomeno in Occidente, o ripete stanche parole di prediche sempre uguali che non servono a nulla; oppure, rinunciando agli argomenti religiosi, si immette nella discussione dei temi del giorno, quelli che tormentano la nostra vita quotidiana e che non possono essere risolti con il semplicismo della carità. Anzi, diciamolo chiaramente: la Chiesa è venuta meno, ormai da diversi anni, al compito della carità, perché questa richiede una profonda visione delle cause della miseria che affligge tante parti del mondo e una severa, chiarissima condanna dei comportamenti che l’hanno provocata e la provocano. La crisi dell’agricoltura in America Latina e in Africa, tanto per fare un solo esempio, è dovuta al liberalismo sfrenato del commercio che ha messo fuori dal giro le produzioni meno pregiate e quegli agricoltori non in grado di affrontare il mercato globale. L’Unione Europea è stata una delle prime cause della fame africana, non appena ha cominciato a stabilire quali dovessero essere le misure della frutta e degli ortaggi per poter accedere ai suoi mercati. Non abbiamo, però, mai sentito la Chiesa alzare neanche una voce di condanna sulle spietate regole del mercato. Le migrazioni dei popoli sono dovute, almeno in parte, proprio alle conseguenze del primato dell’economia su qualsiasi altro valore e c’è soltanto un modo per far sì che milioni di persone non debbano abbandonare il proprio paese riversandosi in Europa: ripristinare i mercati locali, senza costringere i limoni a viaggiare dall’Argentina fino all’Italia, come succede oggi, cosa che servirebbe anche a far diminuire l’inquinamento di cui tanto si parla in questi giorni. Certamente non sono i “preti d’assalto” che possono o sanno riflettere su queste cose; ma la Chiesa si deve convincere che non è con i preti d’assalto che servirà i poveri e, tanto meno, che aumenterà la sua autorità in Occidente. Senza l’Occidente, però, cosa ne sarà della Chiesa? Sono molti i laici, credenti e non credenti, che se lo chiedono con preoccupazione perché vedono sempre più un cristianesimo “morbido”, a poco a poco sommerso dall’ebraismo, dall’islamismo, o da quella tolleranza che si vuole far diventare la religione universale. Questa è, infatti, la verità: mischiando i popoli di diverse culture e religioni, si crede di poter giungere ad una coabitazione che scolori le tinte più vivide lasciando alla vista soltanto un comodo grigio. Ma i politici che lo credono, o che fingono di credervi, si sbagliano, così come si sbaglia la Chiesa se spera che un tale atteggiamento possa risparmiare i conflitti lasciando sopravvivere le credenze di tutti. Ne sono una prova evidente proprio quei “rom” che da tanti anni cerchiamo di “sistemare” senza riuscirci. I rom non si sono integrati. La loro “cultura” è morta ormai da moltissimo tempo. Se non ci fosse il “tabù” che vieta di affrontare questa “morte” con il normale buon senso, aiuteremmo davvero i rom inducendoli a riconoscere che vivere su una casa “con le ruote” non significa essere “nomadi”, che la cultura “nomade” non ha possibilità di esprimersi fingendo che un accampamento in città sia una tenda nella prateria, che rubare automobili sia prendere al laccio cavalli selvaggi… Fingono loro, pretendendo di “accamparsi” in una metropoli di milioni di abitanti come Milano, e fingiamo noi che sappiamo benissimo che si tratta di una ridicola, ma purtroppo anche tragica, finzione. Come dimostra anche la polemica di questi giorni fra la Lega e l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, accusato di non difendere il crocifisso e di fare appelli solo per l’accoglienza. Perché la Chiesa, dunque, non aiuta sia loro che noi a vivere nella “verità”? Sarebbe questo il suo compito, perché questa è l’essenza del messaggio di Gesù. Non può esserci carità senza verità.
domenica 13 dicembre 2009
Accoglienza e (dis) integrazione
La Chiesa sbaglia, l'accoglienza a ogni costo non è integrazione di Ida Magli
La Chiesa si trova oggi in una situazione difficilissima, di cui, però, sembra non rendersi conto. La crisi interna, che ha drasticamente ridotto, a partire dal Concilio Vaticano II in poi, il numero degli appartenenti agli Ordini religiosi, sia uomini che donne, non ha influito soltanto sulle attività immediatamente legate al culto, come per esempio la gestione delle parrocchie; ma ha reso in qualche modo “invisibile” la vita stessa della Chiesa come organismo diverso dal corpo dei fedeli nella sua spiritualità e che un tempo era socialmente fortissimo, con la presenza ovunque dei Francescani, dei Domenicani, dei Cappuccini, dei Salesiani e delle loro opere. Lo scarso clero rimasto dimostra spesso, purtroppo, di essere culturalmente e intellettualmente povero; tanto più povero in quanto, perlomeno in Occidente, o ripete stanche parole di prediche sempre uguali che non servono a nulla; oppure, rinunciando agli argomenti religiosi, si immette nella discussione dei temi del giorno, quelli che tormentano la nostra vita quotidiana e che non possono essere risolti con il semplicismo della carità. Anzi, diciamolo chiaramente: la Chiesa è venuta meno, ormai da diversi anni, al compito della carità, perché questa richiede una profonda visione delle cause della miseria che affligge tante parti del mondo e una severa, chiarissima condanna dei comportamenti che l’hanno provocata e la provocano. La crisi dell’agricoltura in America Latina e in Africa, tanto per fare un solo esempio, è dovuta al liberalismo sfrenato del commercio che ha messo fuori dal giro le produzioni meno pregiate e quegli agricoltori non in grado di affrontare il mercato globale. L’Unione Europea è stata una delle prime cause della fame africana, non appena ha cominciato a stabilire quali dovessero essere le misure della frutta e degli ortaggi per poter accedere ai suoi mercati. Non abbiamo, però, mai sentito la Chiesa alzare neanche una voce di condanna sulle spietate regole del mercato. Le migrazioni dei popoli sono dovute, almeno in parte, proprio alle conseguenze del primato dell’economia su qualsiasi altro valore e c’è soltanto un modo per far sì che milioni di persone non debbano abbandonare il proprio paese riversandosi in Europa: ripristinare i mercati locali, senza costringere i limoni a viaggiare dall’Argentina fino all’Italia, come succede oggi, cosa che servirebbe anche a far diminuire l’inquinamento di cui tanto si parla in questi giorni. Certamente non sono i “preti d’assalto” che possono o sanno riflettere su queste cose; ma la Chiesa si deve convincere che non è con i preti d’assalto che servirà i poveri e, tanto meno, che aumenterà la sua autorità in Occidente. Senza l’Occidente, però, cosa ne sarà della Chiesa? Sono molti i laici, credenti e non credenti, che se lo chiedono con preoccupazione perché vedono sempre più un cristianesimo “morbido”, a poco a poco sommerso dall’ebraismo, dall’islamismo, o da quella tolleranza che si vuole far diventare la religione universale. Questa è, infatti, la verità: mischiando i popoli di diverse culture e religioni, si crede di poter giungere ad una coabitazione che scolori le tinte più vivide lasciando alla vista soltanto un comodo grigio. Ma i politici che lo credono, o che fingono di credervi, si sbagliano, così come si sbaglia la Chiesa se spera che un tale atteggiamento possa risparmiare i conflitti lasciando sopravvivere le credenze di tutti. Ne sono una prova evidente proprio quei “rom” che da tanti anni cerchiamo di “sistemare” senza riuscirci. I rom non si sono integrati. La loro “cultura” è morta ormai da moltissimo tempo. Se non ci fosse il “tabù” che vieta di affrontare questa “morte” con il normale buon senso, aiuteremmo davvero i rom inducendoli a riconoscere che vivere su una casa “con le ruote” non significa essere “nomadi”, che la cultura “nomade” non ha possibilità di esprimersi fingendo che un accampamento in città sia una tenda nella prateria, che rubare automobili sia prendere al laccio cavalli selvaggi… Fingono loro, pretendendo di “accamparsi” in una metropoli di milioni di abitanti come Milano, e fingiamo noi che sappiamo benissimo che si tratta di una ridicola, ma purtroppo anche tragica, finzione. Come dimostra anche la polemica di questi giorni fra la Lega e l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, accusato di non difendere il crocifisso e di fare appelli solo per l’accoglienza. Perché la Chiesa, dunque, non aiuta sia loro che noi a vivere nella “verità”? Sarebbe questo il suo compito, perché questa è l’essenza del messaggio di Gesù. Non può esserci carità senza verità.
La Chiesa si trova oggi in una situazione difficilissima, di cui, però, sembra non rendersi conto. La crisi interna, che ha drasticamente ridotto, a partire dal Concilio Vaticano II in poi, il numero degli appartenenti agli Ordini religiosi, sia uomini che donne, non ha influito soltanto sulle attività immediatamente legate al culto, come per esempio la gestione delle parrocchie; ma ha reso in qualche modo “invisibile” la vita stessa della Chiesa come organismo diverso dal corpo dei fedeli nella sua spiritualità e che un tempo era socialmente fortissimo, con la presenza ovunque dei Francescani, dei Domenicani, dei Cappuccini, dei Salesiani e delle loro opere. Lo scarso clero rimasto dimostra spesso, purtroppo, di essere culturalmente e intellettualmente povero; tanto più povero in quanto, perlomeno in Occidente, o ripete stanche parole di prediche sempre uguali che non servono a nulla; oppure, rinunciando agli argomenti religiosi, si immette nella discussione dei temi del giorno, quelli che tormentano la nostra vita quotidiana e che non possono essere risolti con il semplicismo della carità. Anzi, diciamolo chiaramente: la Chiesa è venuta meno, ormai da diversi anni, al compito della carità, perché questa richiede una profonda visione delle cause della miseria che affligge tante parti del mondo e una severa, chiarissima condanna dei comportamenti che l’hanno provocata e la provocano. La crisi dell’agricoltura in America Latina e in Africa, tanto per fare un solo esempio, è dovuta al liberalismo sfrenato del commercio che ha messo fuori dal giro le produzioni meno pregiate e quegli agricoltori non in grado di affrontare il mercato globale. L’Unione Europea è stata una delle prime cause della fame africana, non appena ha cominciato a stabilire quali dovessero essere le misure della frutta e degli ortaggi per poter accedere ai suoi mercati. Non abbiamo, però, mai sentito la Chiesa alzare neanche una voce di condanna sulle spietate regole del mercato. Le migrazioni dei popoli sono dovute, almeno in parte, proprio alle conseguenze del primato dell’economia su qualsiasi altro valore e c’è soltanto un modo per far sì che milioni di persone non debbano abbandonare il proprio paese riversandosi in Europa: ripristinare i mercati locali, senza costringere i limoni a viaggiare dall’Argentina fino all’Italia, come succede oggi, cosa che servirebbe anche a far diminuire l’inquinamento di cui tanto si parla in questi giorni. Certamente non sono i “preti d’assalto” che possono o sanno riflettere su queste cose; ma la Chiesa si deve convincere che non è con i preti d’assalto che servirà i poveri e, tanto meno, che aumenterà la sua autorità in Occidente. Senza l’Occidente, però, cosa ne sarà della Chiesa? Sono molti i laici, credenti e non credenti, che se lo chiedono con preoccupazione perché vedono sempre più un cristianesimo “morbido”, a poco a poco sommerso dall’ebraismo, dall’islamismo, o da quella tolleranza che si vuole far diventare la religione universale. Questa è, infatti, la verità: mischiando i popoli di diverse culture e religioni, si crede di poter giungere ad una coabitazione che scolori le tinte più vivide lasciando alla vista soltanto un comodo grigio. Ma i politici che lo credono, o che fingono di credervi, si sbagliano, così come si sbaglia la Chiesa se spera che un tale atteggiamento possa risparmiare i conflitti lasciando sopravvivere le credenze di tutti. Ne sono una prova evidente proprio quei “rom” che da tanti anni cerchiamo di “sistemare” senza riuscirci. I rom non si sono integrati. La loro “cultura” è morta ormai da moltissimo tempo. Se non ci fosse il “tabù” che vieta di affrontare questa “morte” con il normale buon senso, aiuteremmo davvero i rom inducendoli a riconoscere che vivere su una casa “con le ruote” non significa essere “nomadi”, che la cultura “nomade” non ha possibilità di esprimersi fingendo che un accampamento in città sia una tenda nella prateria, che rubare automobili sia prendere al laccio cavalli selvaggi… Fingono loro, pretendendo di “accamparsi” in una metropoli di milioni di abitanti come Milano, e fingiamo noi che sappiamo benissimo che si tratta di una ridicola, ma purtroppo anche tragica, finzione. Come dimostra anche la polemica di questi giorni fra la Lega e l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, accusato di non difendere il crocifisso e di fare appelli solo per l’accoglienza. Perché la Chiesa, dunque, non aiuta sia loro che noi a vivere nella “verità”? Sarebbe questo il suo compito, perché questa è l’essenza del messaggio di Gesù. Non può esserci carità senza verità.
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