Alberto Stasi, il 13 agosto 2007, non ha ucciso Chiara Poggi. E’ innocente. I processi, noi, non li facciamo in piazza, e neanche sui giornali. Né prima, né durante, né dopo. Questa vicenda processuale, però, impone considerazioni ruvide e parole urticanti, perché è ora di finirla con lo spettacolo dell’accusa, con l’inciviltà che oltraggia la presunzione d’innocenza. Ed è anche ora di cancellare le ipocrisie della nostra giustizia, a cominciare dall’articolo 358 del codice di procedura penale. Con quel che segue. Per due anni Alberto Stati è stato il colpevole annunciato. Al contrario di altri, non ha vissuto questa sua, involontaria, fama come l’occasione per dar sfogo all’esibizionismo. Ha taciuto e s’è difeso. Eppure noi siamo stati informati dei suoi gusti e delle sue abitudini. Siamo stati chiamati ad entrare nell’intimità del suo rapporto con la ragazza uccisa, fino a conoscere le inquadrature delle foto che si scambiavano. Come se l’assoluta normalità di un’intimità potesse essere la pista offerta all’inquisizione generale, al ludibrio superficiale, al crucifige popolare. Abbiamo saputo dei suoi studi, come se l’impegno sui libri fosse la prova della freddezza, già testimoniata dagli “occhi di ghiaccio”. Lo abbiamo visto fotografato con una “nuova ragazza”, come se l’esistenza della vita fosse dimostrazione dell’aver procurato la morte. Sul palcoscenico si sono esibiti in tanti: dai procuratori ai periti, agli avvocati. Può darsi che la voglia di vendere una copia in più, o l’avere un telespettatore in più, vellicando il colpevolismo forcaiolo di chi tende a perdonare se stesso, abbia distratto tanti impiegati dell’informazione, orami ridotti a replicanti del pettegolezzo, a megafoni della maldicenza. Ma sono distratti da lustri, sicché dovrebbero sbrigarsi a cambiar registro. Se non altro, perché hanno stufato, con il loro conformismo velinaro, con il loro abbeverarsi in procura, con il loro compitare mattinali di questura. Stasi è innocente. Ma non finisce qui. La sua colpevolezza è stata a lungo annunciata, perché quella era la tesi della procura, che si pretendeva vera e “scientificamente” avallata. Poi, però, il giudice, dovendo sentenziare con rito abbreviato, s’accorse che le indagini erano “incomplete”. Scrisse così: “incomplete”. Erano fatte male, tirate via. Dispose altre quattro perizie, rinviando una sentenza che era attesa lo scorso aprile. Grazie a quelle, oggi ci restituisce la sua verità: è innocente. Vuol dire che va cancellato l’articolo 358 del codice di procedura, che recita: «Il pubblico ministero (…) svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Non succede, è una presa in giro. Il pubblico ministero interpreta il ruolo dell’accusa, fin dal primo momento. Quella cancellazione non è solo un provvedimento di pulizia, è anche la necessaria premessa per la separazione delle carriere. Difatti, i magistrati sono contrari (non tutti, solo quelli corporativizzati e politicizzati) perché affermano che, senza l’unità, va a finire che il pm è solo un accusatore. E’ già così, si sveglino. Quindi, cancelliamo il 358 e separiamo le carriere, entrando nel mondo della civiltà. Non finisce qui, anche perché la procura farà ricorso. Ricorre sempre, la procura, tanto non le costa niente e non rischia niente. Anche di questo si deve tenere conto, ove si voglia restaurare il nostro diroccato diritto. Lo trovo ingiusto, e anche contraddittorio con quel che stabilisce l’articolo 533 dello stesso codice di procedura. Leggiamo: «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». Posto ciò, e posto che l’imputato è stato assolto, come fa il giudice di seconda istanza a condannare, escludendo il dubbio, laddove il suo collega, che prima di lui ha esaminato i fatti, si è espresso per l’innocenza? E’ evidente che, da quando è stato introdotta l’attuale formulazione del 533, il ricorso dell’accusa dovrebbe potere essere solo per cassazione, lamentando l’eventuale violazione del diritto. Così, saggiamente, stabilì una legge. Ma fu la Corte Costituzionale a cancellarla, con una sentenza che grida vendetta, vergata da Giovanni Maria Flick, quello che ne fu presidente per un solo mese, a ferragosto. Tanto per darne lo spessore. Sostennero che il processo è uno solo, ma nei tre gradi, e chiusero gli occhi e le menti innanzi all’evidente tortura cui l’innocente è condannato. Cos’è, sono un eversore, se lo scrivo? O non sono forse quei giudici, ad avere perso dignità scientifica, abbandonandosi alla passione politica? (La legge era stata approvata dal centro destra, e Flick era stato ministro di Prodi). Già sento la domanda: allora, chi ha ucciso Chiara Poggi? Non lo so. Nessuno lo sa, perché gli inquirenti non hanno saputo fare il loro mestiere. E non lo sapremo, se passeremo i prossimi anni a riprocessare Stasi. Il pubblico ministero ha chiesto trenta anni di carcere, il giudice ha stabilito che l’imputato è innocente. Sarebbe la normale logica del processo, niente di scandaloso. Se non fosse che chi è stato incapace di fare le indagini, e di sostenere la propria tesi processuale, farà carriera. Come se niente fosse.
sabato 19 dicembre 2009
Alberto Stasi
Stasi è innocente, la procura no di Davide Giacalone
Alberto Stasi, il 13 agosto 2007, non ha ucciso Chiara Poggi. E’ innocente. I processi, noi, non li facciamo in piazza, e neanche sui giornali. Né prima, né durante, né dopo. Questa vicenda processuale, però, impone considerazioni ruvide e parole urticanti, perché è ora di finirla con lo spettacolo dell’accusa, con l’inciviltà che oltraggia la presunzione d’innocenza. Ed è anche ora di cancellare le ipocrisie della nostra giustizia, a cominciare dall’articolo 358 del codice di procedura penale. Con quel che segue. Per due anni Alberto Stati è stato il colpevole annunciato. Al contrario di altri, non ha vissuto questa sua, involontaria, fama come l’occasione per dar sfogo all’esibizionismo. Ha taciuto e s’è difeso. Eppure noi siamo stati informati dei suoi gusti e delle sue abitudini. Siamo stati chiamati ad entrare nell’intimità del suo rapporto con la ragazza uccisa, fino a conoscere le inquadrature delle foto che si scambiavano. Come se l’assoluta normalità di un’intimità potesse essere la pista offerta all’inquisizione generale, al ludibrio superficiale, al crucifige popolare. Abbiamo saputo dei suoi studi, come se l’impegno sui libri fosse la prova della freddezza, già testimoniata dagli “occhi di ghiaccio”. Lo abbiamo visto fotografato con una “nuova ragazza”, come se l’esistenza della vita fosse dimostrazione dell’aver procurato la morte. Sul palcoscenico si sono esibiti in tanti: dai procuratori ai periti, agli avvocati. Può darsi che la voglia di vendere una copia in più, o l’avere un telespettatore in più, vellicando il colpevolismo forcaiolo di chi tende a perdonare se stesso, abbia distratto tanti impiegati dell’informazione, orami ridotti a replicanti del pettegolezzo, a megafoni della maldicenza. Ma sono distratti da lustri, sicché dovrebbero sbrigarsi a cambiar registro. Se non altro, perché hanno stufato, con il loro conformismo velinaro, con il loro abbeverarsi in procura, con il loro compitare mattinali di questura. Stasi è innocente. Ma non finisce qui. La sua colpevolezza è stata a lungo annunciata, perché quella era la tesi della procura, che si pretendeva vera e “scientificamente” avallata. Poi, però, il giudice, dovendo sentenziare con rito abbreviato, s’accorse che le indagini erano “incomplete”. Scrisse così: “incomplete”. Erano fatte male, tirate via. Dispose altre quattro perizie, rinviando una sentenza che era attesa lo scorso aprile. Grazie a quelle, oggi ci restituisce la sua verità: è innocente. Vuol dire che va cancellato l’articolo 358 del codice di procedura, che recita: «Il pubblico ministero (…) svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Non succede, è una presa in giro. Il pubblico ministero interpreta il ruolo dell’accusa, fin dal primo momento. Quella cancellazione non è solo un provvedimento di pulizia, è anche la necessaria premessa per la separazione delle carriere. Difatti, i magistrati sono contrari (non tutti, solo quelli corporativizzati e politicizzati) perché affermano che, senza l’unità, va a finire che il pm è solo un accusatore. E’ già così, si sveglino. Quindi, cancelliamo il 358 e separiamo le carriere, entrando nel mondo della civiltà. Non finisce qui, anche perché la procura farà ricorso. Ricorre sempre, la procura, tanto non le costa niente e non rischia niente. Anche di questo si deve tenere conto, ove si voglia restaurare il nostro diroccato diritto. Lo trovo ingiusto, e anche contraddittorio con quel che stabilisce l’articolo 533 dello stesso codice di procedura. Leggiamo: «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». Posto ciò, e posto che l’imputato è stato assolto, come fa il giudice di seconda istanza a condannare, escludendo il dubbio, laddove il suo collega, che prima di lui ha esaminato i fatti, si è espresso per l’innocenza? E’ evidente che, da quando è stato introdotta l’attuale formulazione del 533, il ricorso dell’accusa dovrebbe potere essere solo per cassazione, lamentando l’eventuale violazione del diritto. Così, saggiamente, stabilì una legge. Ma fu la Corte Costituzionale a cancellarla, con una sentenza che grida vendetta, vergata da Giovanni Maria Flick, quello che ne fu presidente per un solo mese, a ferragosto. Tanto per darne lo spessore. Sostennero che il processo è uno solo, ma nei tre gradi, e chiusero gli occhi e le menti innanzi all’evidente tortura cui l’innocente è condannato. Cos’è, sono un eversore, se lo scrivo? O non sono forse quei giudici, ad avere perso dignità scientifica, abbandonandosi alla passione politica? (La legge era stata approvata dal centro destra, e Flick era stato ministro di Prodi). Già sento la domanda: allora, chi ha ucciso Chiara Poggi? Non lo so. Nessuno lo sa, perché gli inquirenti non hanno saputo fare il loro mestiere. E non lo sapremo, se passeremo i prossimi anni a riprocessare Stasi. Il pubblico ministero ha chiesto trenta anni di carcere, il giudice ha stabilito che l’imputato è innocente. Sarebbe la normale logica del processo, niente di scandaloso. Se non fosse che chi è stato incapace di fare le indagini, e di sostenere la propria tesi processuale, farà carriera. Come se niente fosse.
Alberto Stasi, il 13 agosto 2007, non ha ucciso Chiara Poggi. E’ innocente. I processi, noi, non li facciamo in piazza, e neanche sui giornali. Né prima, né durante, né dopo. Questa vicenda processuale, però, impone considerazioni ruvide e parole urticanti, perché è ora di finirla con lo spettacolo dell’accusa, con l’inciviltà che oltraggia la presunzione d’innocenza. Ed è anche ora di cancellare le ipocrisie della nostra giustizia, a cominciare dall’articolo 358 del codice di procedura penale. Con quel che segue. Per due anni Alberto Stati è stato il colpevole annunciato. Al contrario di altri, non ha vissuto questa sua, involontaria, fama come l’occasione per dar sfogo all’esibizionismo. Ha taciuto e s’è difeso. Eppure noi siamo stati informati dei suoi gusti e delle sue abitudini. Siamo stati chiamati ad entrare nell’intimità del suo rapporto con la ragazza uccisa, fino a conoscere le inquadrature delle foto che si scambiavano. Come se l’assoluta normalità di un’intimità potesse essere la pista offerta all’inquisizione generale, al ludibrio superficiale, al crucifige popolare. Abbiamo saputo dei suoi studi, come se l’impegno sui libri fosse la prova della freddezza, già testimoniata dagli “occhi di ghiaccio”. Lo abbiamo visto fotografato con una “nuova ragazza”, come se l’esistenza della vita fosse dimostrazione dell’aver procurato la morte. Sul palcoscenico si sono esibiti in tanti: dai procuratori ai periti, agli avvocati. Può darsi che la voglia di vendere una copia in più, o l’avere un telespettatore in più, vellicando il colpevolismo forcaiolo di chi tende a perdonare se stesso, abbia distratto tanti impiegati dell’informazione, orami ridotti a replicanti del pettegolezzo, a megafoni della maldicenza. Ma sono distratti da lustri, sicché dovrebbero sbrigarsi a cambiar registro. Se non altro, perché hanno stufato, con il loro conformismo velinaro, con il loro abbeverarsi in procura, con il loro compitare mattinali di questura. Stasi è innocente. Ma non finisce qui. La sua colpevolezza è stata a lungo annunciata, perché quella era la tesi della procura, che si pretendeva vera e “scientificamente” avallata. Poi, però, il giudice, dovendo sentenziare con rito abbreviato, s’accorse che le indagini erano “incomplete”. Scrisse così: “incomplete”. Erano fatte male, tirate via. Dispose altre quattro perizie, rinviando una sentenza che era attesa lo scorso aprile. Grazie a quelle, oggi ci restituisce la sua verità: è innocente. Vuol dire che va cancellato l’articolo 358 del codice di procedura, che recita: «Il pubblico ministero (…) svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». Non succede, è una presa in giro. Il pubblico ministero interpreta il ruolo dell’accusa, fin dal primo momento. Quella cancellazione non è solo un provvedimento di pulizia, è anche la necessaria premessa per la separazione delle carriere. Difatti, i magistrati sono contrari (non tutti, solo quelli corporativizzati e politicizzati) perché affermano che, senza l’unità, va a finire che il pm è solo un accusatore. E’ già così, si sveglino. Quindi, cancelliamo il 358 e separiamo le carriere, entrando nel mondo della civiltà. Non finisce qui, anche perché la procura farà ricorso. Ricorre sempre, la procura, tanto non le costa niente e non rischia niente. Anche di questo si deve tenere conto, ove si voglia restaurare il nostro diroccato diritto. Lo trovo ingiusto, e anche contraddittorio con quel che stabilisce l’articolo 533 dello stesso codice di procedura. Leggiamo: «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio». Posto ciò, e posto che l’imputato è stato assolto, come fa il giudice di seconda istanza a condannare, escludendo il dubbio, laddove il suo collega, che prima di lui ha esaminato i fatti, si è espresso per l’innocenza? E’ evidente che, da quando è stato introdotta l’attuale formulazione del 533, il ricorso dell’accusa dovrebbe potere essere solo per cassazione, lamentando l’eventuale violazione del diritto. Così, saggiamente, stabilì una legge. Ma fu la Corte Costituzionale a cancellarla, con una sentenza che grida vendetta, vergata da Giovanni Maria Flick, quello che ne fu presidente per un solo mese, a ferragosto. Tanto per darne lo spessore. Sostennero che il processo è uno solo, ma nei tre gradi, e chiusero gli occhi e le menti innanzi all’evidente tortura cui l’innocente è condannato. Cos’è, sono un eversore, se lo scrivo? O non sono forse quei giudici, ad avere perso dignità scientifica, abbandonandosi alla passione politica? (La legge era stata approvata dal centro destra, e Flick era stato ministro di Prodi). Già sento la domanda: allora, chi ha ucciso Chiara Poggi? Non lo so. Nessuno lo sa, perché gli inquirenti non hanno saputo fare il loro mestiere. E non lo sapremo, se passeremo i prossimi anni a riprocessare Stasi. Il pubblico ministero ha chiesto trenta anni di carcere, il giudice ha stabilito che l’imputato è innocente. Sarebbe la normale logica del processo, niente di scandaloso. Se non fosse che chi è stato incapace di fare le indagini, e di sostenere la propria tesi processuale, farà carriera. Come se niente fosse.
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