I danni che il finismo sta provocando qui giù, al Nord, sono enormi. Con una qualche difficoltà ma con buoni risultati si era creato un ceto di governo di centrodestra non leghista: Enzo Ghigo pur dopo avere perso con Mercedes Bresso, soprattutto a causa del peso della Torino di Sergio Chiamparino, aveva mantenuto un saldo rapporto con la società di quest’area del Nord ovest italiano. Giancarlo Galan non ha mancato negli anni di combinare pasticci politici intervendo in varie città venete, da Verona a Vicenza, da Padova a Venezia, regalando alla sinistra prima e alla Lega poi amministrazioni che un centrodestra liberale meglio ispirato avrebbe potuto mantenere o conquistare. Eppure il presidente della Regione veneta è stato un ottimo governatore, rispettato dai suoi cittadini che non solo godono di un perfetto sistema di gestione della sanità (funzione centrale dell’attività regionale) ma anche di una buona capacità di programmazione nel campo infrastrutturale (al di là di qualche lentezza). In Lombardia non solo c’è l’esperienza eccellente di Roberto Formigoni ma sono cresciuti anche altri amministratori di centro destra, compreso un nucleo di provenienza missina-aennina con ottime qualità di governo (da Riccardo De Corato a Carlo Borsani, da Viviana Beccalossi a Massimo Corsaro). Eppure questo ceto politico è oggi in difficoltà ed essenzialmente grazie all’azione disarticolatrice di Gianfranco Fini. Se era opportuno aprire una polemica verso le forme più rozze di polemiche anti-immigrati dei leghisti (i maestri spia, i medici della mutua spia, l’apartheid nel metrò) l’idea di trascurare diffusi sentimenti popolari che chiedono il massimo di prudenza nel trattare la questione immigrazione è una scelta suicida. Qualcuno, all’interno della compagnia messa insieme dal presidente della Camera, ha notato come in questo periodo non solo i leghisti ma anche Nicolas Sarkozy abbia assunto una linea più severa verso la vasta immigrazione ospitata sul suolo francese, e ha commentato questa nuova tendenza dicendo, con aria di superiorità e di deplorazione, che il presidente francese si comporta così perché sente l’aria delle vicine elezioni. Invece i finiani non si curano delle prossime elezioni? Le considerano dei ludi cartacei? Un problema dei berlusconiani, questi omini affannati nella ricerca del consenso popolare? Sono decisi – come sta spiegando con un’articolata inchiesta La Stampa – a cedere gran parte dei loro elettori ai leghisti? La Lega Nord era stata subito dopo il 1992 il ricettacolo degli spaventati dalla vittoria della sinistra (pur sbandata dai vari Occhetto e Martinazzoli) per via giudiziaria. Poi i consensi erano calati di fronte ai limiti programmatici degli uomini di Umberto Bossi. Man mano vi è stata un ripresa, prima nel fronte subalpino, poi tra i ceti medi, poi tra i lavoratori. Oggi si avvicinano alla Lega anche ceti professionali urbani dei centri maggiori, quelli che erano più distanti dal bossismo. E questo innanzi tutto grazie a Fini che è riuscito a trasmettere il messaggio che potrebbe ripartire l’antica politica oligarchica romana che se ne impippa della gente. Un ottimo risultato, di cui non si coglie la meta strategica. Forse l’ipotesi di un ritorno alla stagnazione proporzionalista potrebbe dare una qualche razionalità a queste mosse. Naturalmente questo non farebbe che aumentare i consensi alla Lega, in una prospettiva sempre più allarmante per l’unità stessa dell’Italia.
lunedì 7 dicembre 2009
Giù al nord
Vento del nord. Le mosse di Fini al Nord rafforzano la Lega e indeboliscono il Pdl di Lodovico Festa
I danni che il finismo sta provocando qui giù, al Nord, sono enormi. Con una qualche difficoltà ma con buoni risultati si era creato un ceto di governo di centrodestra non leghista: Enzo Ghigo pur dopo avere perso con Mercedes Bresso, soprattutto a causa del peso della Torino di Sergio Chiamparino, aveva mantenuto un saldo rapporto con la società di quest’area del Nord ovest italiano. Giancarlo Galan non ha mancato negli anni di combinare pasticci politici intervendo in varie città venete, da Verona a Vicenza, da Padova a Venezia, regalando alla sinistra prima e alla Lega poi amministrazioni che un centrodestra liberale meglio ispirato avrebbe potuto mantenere o conquistare. Eppure il presidente della Regione veneta è stato un ottimo governatore, rispettato dai suoi cittadini che non solo godono di un perfetto sistema di gestione della sanità (funzione centrale dell’attività regionale) ma anche di una buona capacità di programmazione nel campo infrastrutturale (al di là di qualche lentezza). In Lombardia non solo c’è l’esperienza eccellente di Roberto Formigoni ma sono cresciuti anche altri amministratori di centro destra, compreso un nucleo di provenienza missina-aennina con ottime qualità di governo (da Riccardo De Corato a Carlo Borsani, da Viviana Beccalossi a Massimo Corsaro). Eppure questo ceto politico è oggi in difficoltà ed essenzialmente grazie all’azione disarticolatrice di Gianfranco Fini. Se era opportuno aprire una polemica verso le forme più rozze di polemiche anti-immigrati dei leghisti (i maestri spia, i medici della mutua spia, l’apartheid nel metrò) l’idea di trascurare diffusi sentimenti popolari che chiedono il massimo di prudenza nel trattare la questione immigrazione è una scelta suicida. Qualcuno, all’interno della compagnia messa insieme dal presidente della Camera, ha notato come in questo periodo non solo i leghisti ma anche Nicolas Sarkozy abbia assunto una linea più severa verso la vasta immigrazione ospitata sul suolo francese, e ha commentato questa nuova tendenza dicendo, con aria di superiorità e di deplorazione, che il presidente francese si comporta così perché sente l’aria delle vicine elezioni. Invece i finiani non si curano delle prossime elezioni? Le considerano dei ludi cartacei? Un problema dei berlusconiani, questi omini affannati nella ricerca del consenso popolare? Sono decisi – come sta spiegando con un’articolata inchiesta La Stampa – a cedere gran parte dei loro elettori ai leghisti? La Lega Nord era stata subito dopo il 1992 il ricettacolo degli spaventati dalla vittoria della sinistra (pur sbandata dai vari Occhetto e Martinazzoli) per via giudiziaria. Poi i consensi erano calati di fronte ai limiti programmatici degli uomini di Umberto Bossi. Man mano vi è stata un ripresa, prima nel fronte subalpino, poi tra i ceti medi, poi tra i lavoratori. Oggi si avvicinano alla Lega anche ceti professionali urbani dei centri maggiori, quelli che erano più distanti dal bossismo. E questo innanzi tutto grazie a Fini che è riuscito a trasmettere il messaggio che potrebbe ripartire l’antica politica oligarchica romana che se ne impippa della gente. Un ottimo risultato, di cui non si coglie la meta strategica. Forse l’ipotesi di un ritorno alla stagnazione proporzionalista potrebbe dare una qualche razionalità a queste mosse. Naturalmente questo non farebbe che aumentare i consensi alla Lega, in una prospettiva sempre più allarmante per l’unità stessa dell’Italia.
I danni che il finismo sta provocando qui giù, al Nord, sono enormi. Con una qualche difficoltà ma con buoni risultati si era creato un ceto di governo di centrodestra non leghista: Enzo Ghigo pur dopo avere perso con Mercedes Bresso, soprattutto a causa del peso della Torino di Sergio Chiamparino, aveva mantenuto un saldo rapporto con la società di quest’area del Nord ovest italiano. Giancarlo Galan non ha mancato negli anni di combinare pasticci politici intervendo in varie città venete, da Verona a Vicenza, da Padova a Venezia, regalando alla sinistra prima e alla Lega poi amministrazioni che un centrodestra liberale meglio ispirato avrebbe potuto mantenere o conquistare. Eppure il presidente della Regione veneta è stato un ottimo governatore, rispettato dai suoi cittadini che non solo godono di un perfetto sistema di gestione della sanità (funzione centrale dell’attività regionale) ma anche di una buona capacità di programmazione nel campo infrastrutturale (al di là di qualche lentezza). In Lombardia non solo c’è l’esperienza eccellente di Roberto Formigoni ma sono cresciuti anche altri amministratori di centro destra, compreso un nucleo di provenienza missina-aennina con ottime qualità di governo (da Riccardo De Corato a Carlo Borsani, da Viviana Beccalossi a Massimo Corsaro). Eppure questo ceto politico è oggi in difficoltà ed essenzialmente grazie all’azione disarticolatrice di Gianfranco Fini. Se era opportuno aprire una polemica verso le forme più rozze di polemiche anti-immigrati dei leghisti (i maestri spia, i medici della mutua spia, l’apartheid nel metrò) l’idea di trascurare diffusi sentimenti popolari che chiedono il massimo di prudenza nel trattare la questione immigrazione è una scelta suicida. Qualcuno, all’interno della compagnia messa insieme dal presidente della Camera, ha notato come in questo periodo non solo i leghisti ma anche Nicolas Sarkozy abbia assunto una linea più severa verso la vasta immigrazione ospitata sul suolo francese, e ha commentato questa nuova tendenza dicendo, con aria di superiorità e di deplorazione, che il presidente francese si comporta così perché sente l’aria delle vicine elezioni. Invece i finiani non si curano delle prossime elezioni? Le considerano dei ludi cartacei? Un problema dei berlusconiani, questi omini affannati nella ricerca del consenso popolare? Sono decisi – come sta spiegando con un’articolata inchiesta La Stampa – a cedere gran parte dei loro elettori ai leghisti? La Lega Nord era stata subito dopo il 1992 il ricettacolo degli spaventati dalla vittoria della sinistra (pur sbandata dai vari Occhetto e Martinazzoli) per via giudiziaria. Poi i consensi erano calati di fronte ai limiti programmatici degli uomini di Umberto Bossi. Man mano vi è stata un ripresa, prima nel fronte subalpino, poi tra i ceti medi, poi tra i lavoratori. Oggi si avvicinano alla Lega anche ceti professionali urbani dei centri maggiori, quelli che erano più distanti dal bossismo. E questo innanzi tutto grazie a Fini che è riuscito a trasmettere il messaggio che potrebbe ripartire l’antica politica oligarchica romana che se ne impippa della gente. Un ottimo risultato, di cui non si coglie la meta strategica. Forse l’ipotesi di un ritorno alla stagnazione proporzionalista potrebbe dare una qualche razionalità a queste mosse. Naturalmente questo non farebbe che aumentare i consensi alla Lega, in una prospettiva sempre più allarmante per l’unità stessa dell’Italia.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento