Roma - Meno anni per ottenere la cittadinanza italiana e passaporto concesso in automatico ai figli degli immigrati che frequentano le scuole patrie. Sono questi i cardini della proposta bipartisan sull’immigrazione, il terreno sul quale si sono incontrati parlamentari finiani e del Partito democratico. Cambiamenti arrivati sotto forma di emendamenti ad un disegno di legge che porta il timbro Pdl, prima firmataria Isabella Bertolini, che prevede un percorso preciso per diventare italiani. Il disegno di legge prevede che ci vogliano dieci anni in tutto. Otto di attesa e altri due durante i quali si devono frequentare dei corsi di storia e cultura italiana ed europea. La proposta bipartisan mira ad allargare i cordoni rispetto a quella della maggioranza. A prendere l’iniziativa politica per è stato il finiano Italo Bocchino, che ha chiesto la convergenza di altri gruppi parlamentari. Fini si era espresso mesi prima, in un incontro tra la sua fondazione FareFuturo e la dalemiana ItalianiEuropei. Il presidente della Camera fece un riferimento preciso al riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati. Dalla teoria ai fatti: Fabio Granata (deputato Pdl, vicino a Fini) e Andrea Sarubbi, che invece è del Pd, hanno presentato otto emendamenti che puntano, in primo luogo, a dimezzare i tempi, da 10 a 5 anni, e a concedere la cittadinanza ai figli di immigrati o ai minori stranieri che frequentano le scuole almeno fino alle medie. Cambiamenti radicali. Ancora più «avanzati», secondo la maggioranza, rispetto a quelli chiesti dal Partito democratico e nelle altre dodici proposte che giacciono in Commissione. In ballo non c’è solo l’accorciamento di un termine burocratico, quanto i principi stessi sulla base dei quali si concede il passaporto italiano. «Si parla di cittadinanza di qualità e siamo tutti d’accordo», spiega la Bertolini, «ma nella proposta bipartisan c’è una contraddizione enorme. Giusto dire che la cittadinanza deve essere legata a un atto di volontà, chi la chiede deve dimostrare di volere veramente appartenere a questa nazione, deve assorbirne la cultura e le tradizioni. Ma se questa scelta deve essere consapevole non può che farla un adulto». Tra i punti più critici degli emendamenti finiani-Pd c’è quindi quello della cittadinanza riconosciuta automaticamente ai bambini che sono nati all’estero, ma hanno fatto le scuole in Italia, salvo poi lasciargli diritto di ritornare a quella di origine quando compiranno 18 anni. «Sembra un po’ un’imposizione. Con una norma del genere, ci ritroveremo con famiglie di immigrati con i genitori che, magari, vogliono mantenere orgogliosamente la cittadinanza d’origine e figli che diventano italiani loro malgrado». Casi di scuola? No. Anche con la normativa in vigore si presentano casi simili. La Bertolini ricorda quello del ragazzo nato da genitori somali, e quindi con la cittadinanza italiana, che a 19 anni è stato spedito dalla famiglia nella terra d’origine a combattere con i fondamentalisti islamici. Senza contare - spiega - che per i figli degli immigrati non cambierebbe niente in concreto. I diritti sociali valgono anche per gli stranieri; la cittadinanza si traduce soprattutto nel diritto di voto, che, comunque, i minorenni non possono esercitare. Di queste contraddizioni - assicura la Bertolini che è relatore della riforma - si sono accorti anche i promotori degli emendamenti. E tutti sanno che bisognerà cercare un compromesso. Ad esempio, si potrebbe prevedere che i figli di immigrati, nati all’estero, possano ottenere la cittadinanza quando hanno frequentato le scuole italiane, ma solo quando hanno raggiunto la maggiore età. Un po’ come succede adesso per chi nasce in Italia da genitori stranieri. Il problema è ben presente anche al ministro della Difesa Ignazio la Russa che ha proposto di concedere la cittadinanza ai bambini al termine delle elementari, ma solo «con l’assenso dei genitori». Quindi non automaticamente. Per il Pdl, in generale, è importante capire che il punto non è tanto ottenere la cittadinanza. Il passaporto italiano non può diventare uno status. Il punto è integrare i cittadini stranieri che decidono di diventare italiani a tutti gli effetti. Se ne sono accorti in Inghilterra, patria del ragazzo che ha tentato di fare una strage a Detroit. Se ne sono accorti i tedeschi, che stanno affrontando il problema delle «terze generazioni» di immigrati turchi. Cittadini tedeschi a tutti gli effetti che però parlano esclusivamente la lingua dei nonni. E anche i francesi, che si sono ritrovati una mezza rivoluzione nelle periferie delle metropoli. A dare alle fiamme le banlieue non sono stati cittadini del nord Africa. Sono stati francesi, stranieri in patria.
martedì 29 dicembre 2009
Cittadinanza
Immigrati, ricetta di finiani e Pd: passaporto italiano in svendita di Antonio Signorini
Roma - Meno anni per ottenere la cittadinanza italiana e passaporto concesso in automatico ai figli degli immigrati che frequentano le scuole patrie. Sono questi i cardini della proposta bipartisan sull’immigrazione, il terreno sul quale si sono incontrati parlamentari finiani e del Partito democratico. Cambiamenti arrivati sotto forma di emendamenti ad un disegno di legge che porta il timbro Pdl, prima firmataria Isabella Bertolini, che prevede un percorso preciso per diventare italiani. Il disegno di legge prevede che ci vogliano dieci anni in tutto. Otto di attesa e altri due durante i quali si devono frequentare dei corsi di storia e cultura italiana ed europea. La proposta bipartisan mira ad allargare i cordoni rispetto a quella della maggioranza. A prendere l’iniziativa politica per è stato il finiano Italo Bocchino, che ha chiesto la convergenza di altri gruppi parlamentari. Fini si era espresso mesi prima, in un incontro tra la sua fondazione FareFuturo e la dalemiana ItalianiEuropei. Il presidente della Camera fece un riferimento preciso al riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati. Dalla teoria ai fatti: Fabio Granata (deputato Pdl, vicino a Fini) e Andrea Sarubbi, che invece è del Pd, hanno presentato otto emendamenti che puntano, in primo luogo, a dimezzare i tempi, da 10 a 5 anni, e a concedere la cittadinanza ai figli di immigrati o ai minori stranieri che frequentano le scuole almeno fino alle medie. Cambiamenti radicali. Ancora più «avanzati», secondo la maggioranza, rispetto a quelli chiesti dal Partito democratico e nelle altre dodici proposte che giacciono in Commissione. In ballo non c’è solo l’accorciamento di un termine burocratico, quanto i principi stessi sulla base dei quali si concede il passaporto italiano. «Si parla di cittadinanza di qualità e siamo tutti d’accordo», spiega la Bertolini, «ma nella proposta bipartisan c’è una contraddizione enorme. Giusto dire che la cittadinanza deve essere legata a un atto di volontà, chi la chiede deve dimostrare di volere veramente appartenere a questa nazione, deve assorbirne la cultura e le tradizioni. Ma se questa scelta deve essere consapevole non può che farla un adulto». Tra i punti più critici degli emendamenti finiani-Pd c’è quindi quello della cittadinanza riconosciuta automaticamente ai bambini che sono nati all’estero, ma hanno fatto le scuole in Italia, salvo poi lasciargli diritto di ritornare a quella di origine quando compiranno 18 anni. «Sembra un po’ un’imposizione. Con una norma del genere, ci ritroveremo con famiglie di immigrati con i genitori che, magari, vogliono mantenere orgogliosamente la cittadinanza d’origine e figli che diventano italiani loro malgrado». Casi di scuola? No. Anche con la normativa in vigore si presentano casi simili. La Bertolini ricorda quello del ragazzo nato da genitori somali, e quindi con la cittadinanza italiana, che a 19 anni è stato spedito dalla famiglia nella terra d’origine a combattere con i fondamentalisti islamici. Senza contare - spiega - che per i figli degli immigrati non cambierebbe niente in concreto. I diritti sociali valgono anche per gli stranieri; la cittadinanza si traduce soprattutto nel diritto di voto, che, comunque, i minorenni non possono esercitare. Di queste contraddizioni - assicura la Bertolini che è relatore della riforma - si sono accorti anche i promotori degli emendamenti. E tutti sanno che bisognerà cercare un compromesso. Ad esempio, si potrebbe prevedere che i figli di immigrati, nati all’estero, possano ottenere la cittadinanza quando hanno frequentato le scuole italiane, ma solo quando hanno raggiunto la maggiore età. Un po’ come succede adesso per chi nasce in Italia da genitori stranieri. Il problema è ben presente anche al ministro della Difesa Ignazio la Russa che ha proposto di concedere la cittadinanza ai bambini al termine delle elementari, ma solo «con l’assenso dei genitori». Quindi non automaticamente. Per il Pdl, in generale, è importante capire che il punto non è tanto ottenere la cittadinanza. Il passaporto italiano non può diventare uno status. Il punto è integrare i cittadini stranieri che decidono di diventare italiani a tutti gli effetti. Se ne sono accorti in Inghilterra, patria del ragazzo che ha tentato di fare una strage a Detroit. Se ne sono accorti i tedeschi, che stanno affrontando il problema delle «terze generazioni» di immigrati turchi. Cittadini tedeschi a tutti gli effetti che però parlano esclusivamente la lingua dei nonni. E anche i francesi, che si sono ritrovati una mezza rivoluzione nelle periferie delle metropoli. A dare alle fiamme le banlieue non sono stati cittadini del nord Africa. Sono stati francesi, stranieri in patria.
Roma - Meno anni per ottenere la cittadinanza italiana e passaporto concesso in automatico ai figli degli immigrati che frequentano le scuole patrie. Sono questi i cardini della proposta bipartisan sull’immigrazione, il terreno sul quale si sono incontrati parlamentari finiani e del Partito democratico. Cambiamenti arrivati sotto forma di emendamenti ad un disegno di legge che porta il timbro Pdl, prima firmataria Isabella Bertolini, che prevede un percorso preciso per diventare italiani. Il disegno di legge prevede che ci vogliano dieci anni in tutto. Otto di attesa e altri due durante i quali si devono frequentare dei corsi di storia e cultura italiana ed europea. La proposta bipartisan mira ad allargare i cordoni rispetto a quella della maggioranza. A prendere l’iniziativa politica per è stato il finiano Italo Bocchino, che ha chiesto la convergenza di altri gruppi parlamentari. Fini si era espresso mesi prima, in un incontro tra la sua fondazione FareFuturo e la dalemiana ItalianiEuropei. Il presidente della Camera fece un riferimento preciso al riconoscimento della cittadinanza ai figli degli immigrati. Dalla teoria ai fatti: Fabio Granata (deputato Pdl, vicino a Fini) e Andrea Sarubbi, che invece è del Pd, hanno presentato otto emendamenti che puntano, in primo luogo, a dimezzare i tempi, da 10 a 5 anni, e a concedere la cittadinanza ai figli di immigrati o ai minori stranieri che frequentano le scuole almeno fino alle medie. Cambiamenti radicali. Ancora più «avanzati», secondo la maggioranza, rispetto a quelli chiesti dal Partito democratico e nelle altre dodici proposte che giacciono in Commissione. In ballo non c’è solo l’accorciamento di un termine burocratico, quanto i principi stessi sulla base dei quali si concede il passaporto italiano. «Si parla di cittadinanza di qualità e siamo tutti d’accordo», spiega la Bertolini, «ma nella proposta bipartisan c’è una contraddizione enorme. Giusto dire che la cittadinanza deve essere legata a un atto di volontà, chi la chiede deve dimostrare di volere veramente appartenere a questa nazione, deve assorbirne la cultura e le tradizioni. Ma se questa scelta deve essere consapevole non può che farla un adulto». Tra i punti più critici degli emendamenti finiani-Pd c’è quindi quello della cittadinanza riconosciuta automaticamente ai bambini che sono nati all’estero, ma hanno fatto le scuole in Italia, salvo poi lasciargli diritto di ritornare a quella di origine quando compiranno 18 anni. «Sembra un po’ un’imposizione. Con una norma del genere, ci ritroveremo con famiglie di immigrati con i genitori che, magari, vogliono mantenere orgogliosamente la cittadinanza d’origine e figli che diventano italiani loro malgrado». Casi di scuola? No. Anche con la normativa in vigore si presentano casi simili. La Bertolini ricorda quello del ragazzo nato da genitori somali, e quindi con la cittadinanza italiana, che a 19 anni è stato spedito dalla famiglia nella terra d’origine a combattere con i fondamentalisti islamici. Senza contare - spiega - che per i figli degli immigrati non cambierebbe niente in concreto. I diritti sociali valgono anche per gli stranieri; la cittadinanza si traduce soprattutto nel diritto di voto, che, comunque, i minorenni non possono esercitare. Di queste contraddizioni - assicura la Bertolini che è relatore della riforma - si sono accorti anche i promotori degli emendamenti. E tutti sanno che bisognerà cercare un compromesso. Ad esempio, si potrebbe prevedere che i figli di immigrati, nati all’estero, possano ottenere la cittadinanza quando hanno frequentato le scuole italiane, ma solo quando hanno raggiunto la maggiore età. Un po’ come succede adesso per chi nasce in Italia da genitori stranieri. Il problema è ben presente anche al ministro della Difesa Ignazio la Russa che ha proposto di concedere la cittadinanza ai bambini al termine delle elementari, ma solo «con l’assenso dei genitori». Quindi non automaticamente. Per il Pdl, in generale, è importante capire che il punto non è tanto ottenere la cittadinanza. Il passaporto italiano non può diventare uno status. Il punto è integrare i cittadini stranieri che decidono di diventare italiani a tutti gli effetti. Se ne sono accorti in Inghilterra, patria del ragazzo che ha tentato di fare una strage a Detroit. Se ne sono accorti i tedeschi, che stanno affrontando il problema delle «terze generazioni» di immigrati turchi. Cittadini tedeschi a tutti gli effetti che però parlano esclusivamente la lingua dei nonni. E anche i francesi, che si sono ritrovati una mezza rivoluzione nelle periferie delle metropoli. A dare alle fiamme le banlieue non sono stati cittadini del nord Africa. Sono stati francesi, stranieri in patria.
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