Vi dirò questa volta quel che ho sempre pensato. E mai scritto. Perché era troppo presto. Sono passati quindici anni. E per tanti versi è ancora presto. Ma la questione è sempre quella. Chiunque sappia vedere in profondità i guai irrisolti e i terribili rischi – se siete un moderato, la pensate così, altrimenti è ovvio che il discorso non vi riguarda e non vi convincerà mai – dei quali la discesa in campo di Berlusconi fu il prodotto, sa che il punto è questo. Sin dal primo giorno. In un vuoto creato per via giudiziaria, un capo politico di un neonato centrodestra a propria volta esposto, per la sua attività di imprenditore, alle indagini giudiziarie, per definizione non avrebbe avuto vita facile. Più il tempo trascorreva e più le traversie del centrosinistra ogni due elezioni rimettevano Berlusconi nella posizione di leader nazionale, meno probabile diventava dare una risposta ordinamentale al problema d’origine, cioè separare le carriere di pm e giudici, riformare il Csm e l’obbligatorietà dell’azione penale. Così Berlusconi ha pensato per anni di arginare il fenomeno con interventi ad hoc sui tempi del processo. Poi sulla improcedibilità a tempo, coi lodi Schifani e Alfano. Caduto anche quest’ultimo sotto il no della Corte costituzionale – e personalmente non ho mai capito su che cosa potesse fondarsi l’aspettativa che non facesse quella fine – siamo entrati nell’arena finale. Potrà durare anche anni, ma ormai è la lizza decisiva. Politicamente ed elettoralmente, Berlusconi ha mostrato che potrebbe continuare a mettere alternativamente sotto la sinistra, forse per altri quindici anni. Ed ecco perché risiamo a bomba. Giudiziaria è stata l’origine, giudiziaria è la resa dei conti. La magistratura non mollerà. Lo dimostrano decisioni giuridicamente temerarie come quella sul lodo Mondadori. E alla fine oltre al processo Mills verranno gli opportuni pentiti di Palermo, lo sappiamo da anni a che cosa puntano le famose e reiterate domande sui capitali iniziali delle fiduciarie di controllo della Fininvest, nell’era pre-quotazione in Borsa. Ha a che vedere qualcosa con l’operato di Berlusconi politico, tutto ciò? Niente di niente. Si riscrive la storia degli anni Settanta e Ottanta, invece. Ma non se ne esce. Il partito virtuista, Repubblica e l’Anm ormai indistinta per colore politico, più lo ha subìto vincente nelle urne e più ha pensato che Berlusconi fosse in realtà un’escrescenza di malaffare. Non è mio compito dare consigli al premier. Ma oscillare, tra nuovi provvedimenti sui tempi del processo e sfoghi colmi d’irritazione, rischia solo di accrescere le tensioni istituzionali e di creare ulteriori scollamenti nel Pdl. Cioè di fare il gioco dell’avversario. Francamente penso che quand’anche vi fossero elezioni anticipate – e non vedo un Quirinale facile a concederle, se non costretto da comportamenti istituzionali che sarebbero senza precedenti nella storia repubblicana – in ogni caso all’indomani saremmo punto e a capo. A Berlusconi tocca andare avanti. Pubblichi sul sito di palazzo Chigi un orologio che aggiorni ogni settimana le decine di ore che è costretto a dedicare ai processi. Trasformi le udienze del caso Mills in una tribuna permanente. Con due punti di riferimento, però. Quanto più si inoltra nella plaza de toros decisiva, tanto più dovrebbe usare un tono sobrio e misurato: tenendo conto che c’è anche una parte crescente di opinione pubblica moderata che inizia davvero a non poterne più, delle cronache quotidiane infittite di schermaglie giudiziarie e di eccessi personali. In più, un caveat che riguarda il Pdl. Chiunque pensi di guidarlo dopo Berlusconi giostrando in prima persona sui dossier giudiziari mostra di non capire l’origine stessa della storia. Finirebbe per essere solo un Romolo Augustolo, a capo di una forza men che dimidiata. Perché qualcuno possa diventare leader del Pdl non basta che parli di programmi. Deve avere il fegato di offrire egli per primo una soluzione giudiziaria che vada bene a Berlusconi, e che non suoni alla controparte e all’elettorato moderato come un resa furbesca. Altrimenti non è Berlusconi a perdere, ma il Pdl a sparire.
domenica 6 dicembre 2009
Riflessioni
Se Berlusconi si arrende ai giudici, il Pdl perirà insieme a lui di Oscar Giannino
Vi dirò questa volta quel che ho sempre pensato. E mai scritto. Perché era troppo presto. Sono passati quindici anni. E per tanti versi è ancora presto. Ma la questione è sempre quella. Chiunque sappia vedere in profondità i guai irrisolti e i terribili rischi – se siete un moderato, la pensate così, altrimenti è ovvio che il discorso non vi riguarda e non vi convincerà mai – dei quali la discesa in campo di Berlusconi fu il prodotto, sa che il punto è questo. Sin dal primo giorno. In un vuoto creato per via giudiziaria, un capo politico di un neonato centrodestra a propria volta esposto, per la sua attività di imprenditore, alle indagini giudiziarie, per definizione non avrebbe avuto vita facile. Più il tempo trascorreva e più le traversie del centrosinistra ogni due elezioni rimettevano Berlusconi nella posizione di leader nazionale, meno probabile diventava dare una risposta ordinamentale al problema d’origine, cioè separare le carriere di pm e giudici, riformare il Csm e l’obbligatorietà dell’azione penale. Così Berlusconi ha pensato per anni di arginare il fenomeno con interventi ad hoc sui tempi del processo. Poi sulla improcedibilità a tempo, coi lodi Schifani e Alfano. Caduto anche quest’ultimo sotto il no della Corte costituzionale – e personalmente non ho mai capito su che cosa potesse fondarsi l’aspettativa che non facesse quella fine – siamo entrati nell’arena finale. Potrà durare anche anni, ma ormai è la lizza decisiva. Politicamente ed elettoralmente, Berlusconi ha mostrato che potrebbe continuare a mettere alternativamente sotto la sinistra, forse per altri quindici anni. Ed ecco perché risiamo a bomba. Giudiziaria è stata l’origine, giudiziaria è la resa dei conti. La magistratura non mollerà. Lo dimostrano decisioni giuridicamente temerarie come quella sul lodo Mondadori. E alla fine oltre al processo Mills verranno gli opportuni pentiti di Palermo, lo sappiamo da anni a che cosa puntano le famose e reiterate domande sui capitali iniziali delle fiduciarie di controllo della Fininvest, nell’era pre-quotazione in Borsa. Ha a che vedere qualcosa con l’operato di Berlusconi politico, tutto ciò? Niente di niente. Si riscrive la storia degli anni Settanta e Ottanta, invece. Ma non se ne esce. Il partito virtuista, Repubblica e l’Anm ormai indistinta per colore politico, più lo ha subìto vincente nelle urne e più ha pensato che Berlusconi fosse in realtà un’escrescenza di malaffare. Non è mio compito dare consigli al premier. Ma oscillare, tra nuovi provvedimenti sui tempi del processo e sfoghi colmi d’irritazione, rischia solo di accrescere le tensioni istituzionali e di creare ulteriori scollamenti nel Pdl. Cioè di fare il gioco dell’avversario. Francamente penso che quand’anche vi fossero elezioni anticipate – e non vedo un Quirinale facile a concederle, se non costretto da comportamenti istituzionali che sarebbero senza precedenti nella storia repubblicana – in ogni caso all’indomani saremmo punto e a capo. A Berlusconi tocca andare avanti. Pubblichi sul sito di palazzo Chigi un orologio che aggiorni ogni settimana le decine di ore che è costretto a dedicare ai processi. Trasformi le udienze del caso Mills in una tribuna permanente. Con due punti di riferimento, però. Quanto più si inoltra nella plaza de toros decisiva, tanto più dovrebbe usare un tono sobrio e misurato: tenendo conto che c’è anche una parte crescente di opinione pubblica moderata che inizia davvero a non poterne più, delle cronache quotidiane infittite di schermaglie giudiziarie e di eccessi personali. In più, un caveat che riguarda il Pdl. Chiunque pensi di guidarlo dopo Berlusconi giostrando in prima persona sui dossier giudiziari mostra di non capire l’origine stessa della storia. Finirebbe per essere solo un Romolo Augustolo, a capo di una forza men che dimidiata. Perché qualcuno possa diventare leader del Pdl non basta che parli di programmi. Deve avere il fegato di offrire egli per primo una soluzione giudiziaria che vada bene a Berlusconi, e che non suoni alla controparte e all’elettorato moderato come un resa furbesca. Altrimenti non è Berlusconi a perdere, ma il Pdl a sparire.
Vi dirò questa volta quel che ho sempre pensato. E mai scritto. Perché era troppo presto. Sono passati quindici anni. E per tanti versi è ancora presto. Ma la questione è sempre quella. Chiunque sappia vedere in profondità i guai irrisolti e i terribili rischi – se siete un moderato, la pensate così, altrimenti è ovvio che il discorso non vi riguarda e non vi convincerà mai – dei quali la discesa in campo di Berlusconi fu il prodotto, sa che il punto è questo. Sin dal primo giorno. In un vuoto creato per via giudiziaria, un capo politico di un neonato centrodestra a propria volta esposto, per la sua attività di imprenditore, alle indagini giudiziarie, per definizione non avrebbe avuto vita facile. Più il tempo trascorreva e più le traversie del centrosinistra ogni due elezioni rimettevano Berlusconi nella posizione di leader nazionale, meno probabile diventava dare una risposta ordinamentale al problema d’origine, cioè separare le carriere di pm e giudici, riformare il Csm e l’obbligatorietà dell’azione penale. Così Berlusconi ha pensato per anni di arginare il fenomeno con interventi ad hoc sui tempi del processo. Poi sulla improcedibilità a tempo, coi lodi Schifani e Alfano. Caduto anche quest’ultimo sotto il no della Corte costituzionale – e personalmente non ho mai capito su che cosa potesse fondarsi l’aspettativa che non facesse quella fine – siamo entrati nell’arena finale. Potrà durare anche anni, ma ormai è la lizza decisiva. Politicamente ed elettoralmente, Berlusconi ha mostrato che potrebbe continuare a mettere alternativamente sotto la sinistra, forse per altri quindici anni. Ed ecco perché risiamo a bomba. Giudiziaria è stata l’origine, giudiziaria è la resa dei conti. La magistratura non mollerà. Lo dimostrano decisioni giuridicamente temerarie come quella sul lodo Mondadori. E alla fine oltre al processo Mills verranno gli opportuni pentiti di Palermo, lo sappiamo da anni a che cosa puntano le famose e reiterate domande sui capitali iniziali delle fiduciarie di controllo della Fininvest, nell’era pre-quotazione in Borsa. Ha a che vedere qualcosa con l’operato di Berlusconi politico, tutto ciò? Niente di niente. Si riscrive la storia degli anni Settanta e Ottanta, invece. Ma non se ne esce. Il partito virtuista, Repubblica e l’Anm ormai indistinta per colore politico, più lo ha subìto vincente nelle urne e più ha pensato che Berlusconi fosse in realtà un’escrescenza di malaffare. Non è mio compito dare consigli al premier. Ma oscillare, tra nuovi provvedimenti sui tempi del processo e sfoghi colmi d’irritazione, rischia solo di accrescere le tensioni istituzionali e di creare ulteriori scollamenti nel Pdl. Cioè di fare il gioco dell’avversario. Francamente penso che quand’anche vi fossero elezioni anticipate – e non vedo un Quirinale facile a concederle, se non costretto da comportamenti istituzionali che sarebbero senza precedenti nella storia repubblicana – in ogni caso all’indomani saremmo punto e a capo. A Berlusconi tocca andare avanti. Pubblichi sul sito di palazzo Chigi un orologio che aggiorni ogni settimana le decine di ore che è costretto a dedicare ai processi. Trasformi le udienze del caso Mills in una tribuna permanente. Con due punti di riferimento, però. Quanto più si inoltra nella plaza de toros decisiva, tanto più dovrebbe usare un tono sobrio e misurato: tenendo conto che c’è anche una parte crescente di opinione pubblica moderata che inizia davvero a non poterne più, delle cronache quotidiane infittite di schermaglie giudiziarie e di eccessi personali. In più, un caveat che riguarda il Pdl. Chiunque pensi di guidarlo dopo Berlusconi giostrando in prima persona sui dossier giudiziari mostra di non capire l’origine stessa della storia. Finirebbe per essere solo un Romolo Augustolo, a capo di una forza men che dimidiata. Perché qualcuno possa diventare leader del Pdl non basta che parli di programmi. Deve avere il fegato di offrire egli per primo una soluzione giudiziaria che vada bene a Berlusconi, e che non suoni alla controparte e all’elettorato moderato come un resa furbesca. Altrimenti non è Berlusconi a perdere, ma il Pdl a sparire.
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