È indagato per aver fatto il proprio dovere. E per aver fermato in acque internazionali un barcone con settantacinque clandestini a bordo. Per questa ragione, il comandante del pattugliatore Denaro è sotto inchiesta ed è accusato dalla Procura di Siracusa di violenza privata, un reato punito con una pena che può arrivare a 4 anni di carcere. Ma nel caso dell’ufficiale che guidava la motovedetta al largo delle coste siciliane alla fine di agosto scorso, la contestazione è ancora più grave: l’illecito è aggravato dall’abuso della qualifica di pubblico ufficiale. E la pena è, in linea teorica, ancora più alta. La riconsegna, come tecnicamente si chiama, è avvenuta fra il 30 e il 31 agosto 2008. Il Denaro ha bloccato in acque internazionali il barcone e l’ha riaccompagnato al punto di partenza: un porto della Libia. Pochi giorni dopo scatta l’inchiesta; si procede per un reato, appunto la violenza privata, previsto dall’articolo 610 del Codice penale che così recita: «Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». E quale sarebbe stata la violenza? Semplice, aver applicato la legge sull’immigrazione clandestina e aver dato esecuzione all’accordo stipulato fra Roma e Tripoli. Se una nostra unità intercetta un carico di clandestini provenienti da quel Paese e in navigazione verso le nostre coste, il suo compito è uno solo: riportare indietro i fuggitivi. Così funziona la norma, per tutti, ma evidentemente non per la Procura di Siracusa che contemporaneamente ha dato vita a un’altra operazione sconcertante: ha inviato a tutti i giudici di pace di Siracusa e dintorni una circolare in cui li si invitava a sollevare un’eccezione di legittimità costituzionale a proposito della norma che punisce l’immigrazione clandestina. Di più, la Procura ha preparato e diffuso una sorta di prestampato per facilitare il lavoro dei giudici di pace che di fatto potrebbero copiare quel che i colleghi hanno scritto. Attenzione: la Procura rappresenta l’accusa, non può inviare quesiti direttamente alla Consulta, tocca al giudice decidere se impacchettare gli eventuali punti di domanda e spedirli alla Corte costituzionale. È esattamente la strada aperta con l’invio dei moduli: i giudici non togati sono evidentemente in soggezione davanti ai colleghi con la toga. In ogni caso questo è quel che succede all’estremo sud dello stivale. Nell’ultimo lembo d’Italia, in prima linea davanti alle ondate di clandestini che cercano di uscire in qualche modo dalla trappola della miseria e della disperazione. Il Procuratore di Siracusa si chiama Ugo Rossi e i giornali locali hanno già riportato le sue dichiarazioni infiammate contro il premier. Quando a fine ottobre Berlusconi attaccò i giudici a testa bassa a Ballarò, Rossi gli rispose per le rime definendo le sue parole «un fatto gravissimo». «Quando indaghiamo sull’alta politica - aggiunse il magistrato - diventiamo comunisti, mentre quando svolgiamo il lavoro sul territorio che non tocca i grossi interessi economici e politici siamo invece magistrati bravi». Ora la polemica con la maggioranza di governo si sposta sul fronte dei clandestini che la Procura di Siracusa chiama, con linguaggio da Caritas, migranti. Certo, le domande rivolte dalla magistratura ai militari in servizio sul pattugliatore sembrano proprio voler scandagliare eventuali passi falsi nelle procedure seguite dalla Guardia di finanza: «Chi ha stabilito l’intervento?»; e ancora: «Il gommone è sempre rimasto in acque internazionali?», «Sa come è stata accertata la nazionalità e la provenienza dei migranti?». È chiaro che il quadro sarebbe cambiato se il barcone avesse raggiunto le acque italiane e d’altra parte certe etnie, provenienti da Paesi in guerra, vengono instradate su una corsia preferenziale, in vista dell’asilo politico. Dunque, la Procura prova a capire se l’operazione sia stata compiuta a regola d’arte oppure no. In ogni caso, l’ipotesi della violenza privata indica che, secondo la magistratura, la legge è stata violata. Ma, in ultima analisi, è proprio la norma ad essere contestata dai pm di Siracusa. La legge sull’immigrazione clandestina farebbe a pugni con il principio di uguaglianza. E non contrasterebbe con alcun principio tutelato dal legislatore. Paradossalmente, almeno a queste latitudini, rischiano di essere fuorilegge proprio i militari che rischiano la vita per difendere il Paese.
martedì 8 dicembre 2009
Fare il proprio dovere...
Respingono i clandestini: indagati i militari di Stefano Zurlo
È indagato per aver fatto il proprio dovere. E per aver fermato in acque internazionali un barcone con settantacinque clandestini a bordo. Per questa ragione, il comandante del pattugliatore Denaro è sotto inchiesta ed è accusato dalla Procura di Siracusa di violenza privata, un reato punito con una pena che può arrivare a 4 anni di carcere. Ma nel caso dell’ufficiale che guidava la motovedetta al largo delle coste siciliane alla fine di agosto scorso, la contestazione è ancora più grave: l’illecito è aggravato dall’abuso della qualifica di pubblico ufficiale. E la pena è, in linea teorica, ancora più alta. La riconsegna, come tecnicamente si chiama, è avvenuta fra il 30 e il 31 agosto 2008. Il Denaro ha bloccato in acque internazionali il barcone e l’ha riaccompagnato al punto di partenza: un porto della Libia. Pochi giorni dopo scatta l’inchiesta; si procede per un reato, appunto la violenza privata, previsto dall’articolo 610 del Codice penale che così recita: «Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». E quale sarebbe stata la violenza? Semplice, aver applicato la legge sull’immigrazione clandestina e aver dato esecuzione all’accordo stipulato fra Roma e Tripoli. Se una nostra unità intercetta un carico di clandestini provenienti da quel Paese e in navigazione verso le nostre coste, il suo compito è uno solo: riportare indietro i fuggitivi. Così funziona la norma, per tutti, ma evidentemente non per la Procura di Siracusa che contemporaneamente ha dato vita a un’altra operazione sconcertante: ha inviato a tutti i giudici di pace di Siracusa e dintorni una circolare in cui li si invitava a sollevare un’eccezione di legittimità costituzionale a proposito della norma che punisce l’immigrazione clandestina. Di più, la Procura ha preparato e diffuso una sorta di prestampato per facilitare il lavoro dei giudici di pace che di fatto potrebbero copiare quel che i colleghi hanno scritto. Attenzione: la Procura rappresenta l’accusa, non può inviare quesiti direttamente alla Consulta, tocca al giudice decidere se impacchettare gli eventuali punti di domanda e spedirli alla Corte costituzionale. È esattamente la strada aperta con l’invio dei moduli: i giudici non togati sono evidentemente in soggezione davanti ai colleghi con la toga. In ogni caso questo è quel che succede all’estremo sud dello stivale. Nell’ultimo lembo d’Italia, in prima linea davanti alle ondate di clandestini che cercano di uscire in qualche modo dalla trappola della miseria e della disperazione. Il Procuratore di Siracusa si chiama Ugo Rossi e i giornali locali hanno già riportato le sue dichiarazioni infiammate contro il premier. Quando a fine ottobre Berlusconi attaccò i giudici a testa bassa a Ballarò, Rossi gli rispose per le rime definendo le sue parole «un fatto gravissimo». «Quando indaghiamo sull’alta politica - aggiunse il magistrato - diventiamo comunisti, mentre quando svolgiamo il lavoro sul territorio che non tocca i grossi interessi economici e politici siamo invece magistrati bravi». Ora la polemica con la maggioranza di governo si sposta sul fronte dei clandestini che la Procura di Siracusa chiama, con linguaggio da Caritas, migranti. Certo, le domande rivolte dalla magistratura ai militari in servizio sul pattugliatore sembrano proprio voler scandagliare eventuali passi falsi nelle procedure seguite dalla Guardia di finanza: «Chi ha stabilito l’intervento?»; e ancora: «Il gommone è sempre rimasto in acque internazionali?», «Sa come è stata accertata la nazionalità e la provenienza dei migranti?». È chiaro che il quadro sarebbe cambiato se il barcone avesse raggiunto le acque italiane e d’altra parte certe etnie, provenienti da Paesi in guerra, vengono instradate su una corsia preferenziale, in vista dell’asilo politico. Dunque, la Procura prova a capire se l’operazione sia stata compiuta a regola d’arte oppure no. In ogni caso, l’ipotesi della violenza privata indica che, secondo la magistratura, la legge è stata violata. Ma, in ultima analisi, è proprio la norma ad essere contestata dai pm di Siracusa. La legge sull’immigrazione clandestina farebbe a pugni con il principio di uguaglianza. E non contrasterebbe con alcun principio tutelato dal legislatore. Paradossalmente, almeno a queste latitudini, rischiano di essere fuorilegge proprio i militari che rischiano la vita per difendere il Paese.
È indagato per aver fatto il proprio dovere. E per aver fermato in acque internazionali un barcone con settantacinque clandestini a bordo. Per questa ragione, il comandante del pattugliatore Denaro è sotto inchiesta ed è accusato dalla Procura di Siracusa di violenza privata, un reato punito con una pena che può arrivare a 4 anni di carcere. Ma nel caso dell’ufficiale che guidava la motovedetta al largo delle coste siciliane alla fine di agosto scorso, la contestazione è ancora più grave: l’illecito è aggravato dall’abuso della qualifica di pubblico ufficiale. E la pena è, in linea teorica, ancora più alta. La riconsegna, come tecnicamente si chiama, è avvenuta fra il 30 e il 31 agosto 2008. Il Denaro ha bloccato in acque internazionali il barcone e l’ha riaccompagnato al punto di partenza: un porto della Libia. Pochi giorni dopo scatta l’inchiesta; si procede per un reato, appunto la violenza privata, previsto dall’articolo 610 del Codice penale che così recita: «Chiunque, con violenza o minaccia costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni». E quale sarebbe stata la violenza? Semplice, aver applicato la legge sull’immigrazione clandestina e aver dato esecuzione all’accordo stipulato fra Roma e Tripoli. Se una nostra unità intercetta un carico di clandestini provenienti da quel Paese e in navigazione verso le nostre coste, il suo compito è uno solo: riportare indietro i fuggitivi. Così funziona la norma, per tutti, ma evidentemente non per la Procura di Siracusa che contemporaneamente ha dato vita a un’altra operazione sconcertante: ha inviato a tutti i giudici di pace di Siracusa e dintorni una circolare in cui li si invitava a sollevare un’eccezione di legittimità costituzionale a proposito della norma che punisce l’immigrazione clandestina. Di più, la Procura ha preparato e diffuso una sorta di prestampato per facilitare il lavoro dei giudici di pace che di fatto potrebbero copiare quel che i colleghi hanno scritto. Attenzione: la Procura rappresenta l’accusa, non può inviare quesiti direttamente alla Consulta, tocca al giudice decidere se impacchettare gli eventuali punti di domanda e spedirli alla Corte costituzionale. È esattamente la strada aperta con l’invio dei moduli: i giudici non togati sono evidentemente in soggezione davanti ai colleghi con la toga. In ogni caso questo è quel che succede all’estremo sud dello stivale. Nell’ultimo lembo d’Italia, in prima linea davanti alle ondate di clandestini che cercano di uscire in qualche modo dalla trappola della miseria e della disperazione. Il Procuratore di Siracusa si chiama Ugo Rossi e i giornali locali hanno già riportato le sue dichiarazioni infiammate contro il premier. Quando a fine ottobre Berlusconi attaccò i giudici a testa bassa a Ballarò, Rossi gli rispose per le rime definendo le sue parole «un fatto gravissimo». «Quando indaghiamo sull’alta politica - aggiunse il magistrato - diventiamo comunisti, mentre quando svolgiamo il lavoro sul territorio che non tocca i grossi interessi economici e politici siamo invece magistrati bravi». Ora la polemica con la maggioranza di governo si sposta sul fronte dei clandestini che la Procura di Siracusa chiama, con linguaggio da Caritas, migranti. Certo, le domande rivolte dalla magistratura ai militari in servizio sul pattugliatore sembrano proprio voler scandagliare eventuali passi falsi nelle procedure seguite dalla Guardia di finanza: «Chi ha stabilito l’intervento?»; e ancora: «Il gommone è sempre rimasto in acque internazionali?», «Sa come è stata accertata la nazionalità e la provenienza dei migranti?». È chiaro che il quadro sarebbe cambiato se il barcone avesse raggiunto le acque italiane e d’altra parte certe etnie, provenienti da Paesi in guerra, vengono instradate su una corsia preferenziale, in vista dell’asilo politico. Dunque, la Procura prova a capire se l’operazione sia stata compiuta a regola d’arte oppure no. In ogni caso, l’ipotesi della violenza privata indica che, secondo la magistratura, la legge è stata violata. Ma, in ultima analisi, è proprio la norma ad essere contestata dai pm di Siracusa. La legge sull’immigrazione clandestina farebbe a pugni con il principio di uguaglianza. E non contrasterebbe con alcun principio tutelato dal legislatore. Paradossalmente, almeno a queste latitudini, rischiano di essere fuorilegge proprio i militari che rischiano la vita per difendere il Paese.
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