martedì 15 dicembre 2009

Le radici

Le radici dell'odio di Jim Momo

L'aggressione di ieri a Berlusconi è l'ulteriore dimostrazione – ma chi se ne è già accorto non aveva bisogno di conferme e chi si ostina a non riconoscerlo non c'è speranza che lo faccia ora – che in Italia l'unica istituzione "a rischio", cui spesso le altre istituzioni e i partiti di opposizione mancano di "rispetto" (lo stesso che Fini invoca ad ogni occasione per bacchettare il premier), è quella del governo nella figura e nella persona del presidente del Consiglio. Se infatti l'aggressore è risultato uno squilibrato che ha agito presumibilmente in solitudine, tuttavia per sua stessa ammissione è stato mosso da un'ostilità politica e non si può certo ritenere una casualità il fatto che abbia deciso di agire ieri sera, al termine cioè di due settimane in cui il clima di demonizzazione – per mezzo stampa, tv e procure – nei confronti di Berlusconi ha raggiunto forse i livelli più alti di questi ultimi quindici anni. I "cattivi maestri" che avvelenano il clima e negli anni intere generazioni, armando esaltati e squilibrati, o gruppi di facinorosi, fornendo loro coperture politiche e intellettuali, sono da sempre numerosi in Italia. L'anomalia italiana – non ci stancheremo di ripeterlo – non è Berlusconi, ma un'offensiva mediatico-giudiziaria antidemocratica, che trova in Parlamento la sponda di Di Pietro e il tacito e vile assenso del Pd-Pds, volta a delegittimare con ogni mezzo il premier dipingendolo come dittatore e mafioso. Gli artefici di questo clima li conosciamo tutti. Da la Repubblica alle procure di Milano e Palermo; da Il Fatto quotidiano ad Annozero. Mentre Berlusconi non fa altro che denunciare questo stato di cose, constatare che tre presidenti di sinistra hanno determinato uno squilibrio a sinistra nella Consulta, nei suoi confronti si scatena una delegittimazione e una demonizzazione costante a cui lavorano da anni pezzi di un ordine – non di un potere – dello Stato, sottraendo il loro impegno alla vera lotta alla criminalità organizzata. Il meccanismo è fin troppo evidente: magistrati politicizzati forniscono elementi che si riveleranno falsi o senza alcun riscontro, ma che vengono "lavorati" dal Partito Repubblica, dai Travaglio, dai Santoro, dai Di Pietro, e dati in pasto ad ampi settori, seppur minoritari, di opinione pubblica disposti a crederci. Se in linea teorica è ammissibile, per esempio, cioè può capitare, che un pentito di mafia accusi il premier, è tuttavia inammissibile che un'accusa di questa gravità sia portata in un'aula di tribunale priva di qualsiasi riscontro. Ed è inammissibile che rimanga sospesa per giorni, settimane e mesi senza alcun riscontro, senza che il procuratore che ha deciso di concederle quella tribuna sia chiamato a risponderne. Su quanti, e perché, sono disposti a crederci, si potrebbe aprire un'indagine psico-sociologica, ma in grandi linee a me pare che si tratti di drogati in cerca di dosi sempre più massicce d'odio per alleviare le loro frustrazioni esistenziali. Per molti di loro l'ossessione per Berlusconi deriva dalla frustrazione di aver visto l'ideologia a cui hanno consacrato tutta la vita crollare come un castello di carte, sostituita solo da vaghe pulsioni anticapitalistiche e moralistiche. Imbevuti di varie dottrine antidemocratiche non riescono ad afferrare e ad accettare il senso più profondo della democrazia. Sono convinti che il governo del Paese spetti di diritto ai moralmente e antropologicamente superiori, cui naturalmente ritengono di far parte. Non riescono quindi a risolvere l'inevitabile contraddizione che si apre, e sempre più si allarga, tra la loro malsana idea di democrazia e la democrazia reale, che conduce sistematicamente a esiti opposti, per loro inconcepibili prim'ancora che inaccettabili. Da qui frustrazione, ossessione e violenza. Era prevedibile che Di Pietro sostenesse che il premier se l'è cercata. Meno prevedibile, ma non sorprendente, che alle sue parole si associasse in pratica la presidente del Pd, Rosy Bindi. Inutili le prese di distanza dei leader del Pd dall'ex pm, che solo pochi giorni fa evocava la possibilità di un'azione violenta contro Berlusconi. Il problema politico rimane, dal momento che il Pd si ripresenterà dinanzi agli elettori alleato con Di Pietro. Prima il problema era Bertinotti, che costringeva l'Ulivo in una coalizione troppo vicina all'antagonismo no global, dalla politica economica contraddittoria e, quindi, incapace di governare. Veltroni ha sì liberato il Pd da Bertinotti, ma sostituendolo con Di Pietro. Di fatto quindi il Pd continua ad essere schiavo di un alleato incompatibile con il governo del Paese, a cui per altro ha regalato le chiavi dell'opposizione. Quanti anni passeranno ora prima che il Pd riesca a liberarsi anche di Di Pietro? Non importano i distinguo dei suoi leader. Finché rimarranno alleati di Di Pietro e succubi del Partito Repubblica, finché si consoleranno della loro irrilevanza con i guai giudiziari di Berlusconi, perché tutto sommato servono a tenerlo sotto scacco, rimarranno schiavi del dipietrismo e, ciò che è più grave, dell'antiberlusconismo della loro base e dei loro quadri intermedi. Inconsapevolmente o meno anche Fini e Casini si sono prestati a questo tipo di operazioni. Il presidente della Camera non perdendo occasione per richiamare il presidente del Consiglio al «rispetto» delle altre istituzioni, anche quando era evidente che da quelle partivano attacchi illegittimi contro il governo; Casini recentemente ha addirittura lanciato la proposta di un fronte democratico contro Berlusconi, sottintendendo l'idea pericolosissima, e falsa, che sia un dittatore da cui liberare l'Italia. C'è da chiedersi se il vero fronte, o piuttosto argine democratico, non sia invece dalla parte di Berlusconi. Qui l'unica dittatura che rischiamo è quella di certe procure che cercano di delegittimare, e quindi far cadere, governi scelti democraticamente. Siamo costantemente sull'orlo del golpe giudiziario, come nel 1994, e ieri sera siamo andati vicini all'eliminazione fisica del presidente del Consiglio voluto dalla maggioranza degli italiani. E' ora di riconoscere dove sono i nemici della democrazia. Riguardo la falla nel sistema di sicurezza che dovrebbe proteggere il premier mi sembra dica tutto Fiorenza Sarzanini, sul Corriere della Sera. E d'altra parte, già dalle immagini di ieri in televisione mi era sembrato incredibile che subito dopo l'aggressione l'auto con dentro il premier ferito non sfrecciasse via a sirene spiegate ma rimanesse lì in mezzo alla folla, anzi bloccata dalla folla, con chiunque che poteva tranquillamente sbirciare all'interno. Rivedendo le immagini dell'aggressione si vede distintamente Tartaglia mimare due o tre volte il lancio della statuetta per prendere la mira e darsi lo slancio, ma nessuna delle guardie del corpo lo ha notato, perché tutte erano rivolte verso il premier e non verso la folla, come il buon senso richiederebbe in tali circostanze. Per non parlare del precedente del tiro del treppiedi nel 2004 e del gruppo di violenti contestatori cui ieri era stato permesso di avvicinarsi al premier. Se qualche giornale volesse fare della dietrologia si dovrebbe chiedere come mai ieri sera Berlusconi appariva solo e indifeso in piazza Duomo, e se si sia trattato di semplice dilettantismo o di qualcos'altro di più preoccupante. Se invece di una statuina l'aggressore avesse avuto una pistola, lo avrebbe quasi certamente ucciso. Avrebbe retto la nostra fragile democrazia?

0 commenti: