ROMA - Tra i ballottaggi e la questione leadership. Gli argomenti di dibattito interno al Pd non mancano di certo. Ma secondo il segretario, Dario Franceschini, bisogna prima di tutto concentrarsi sul prossimo impegno elettorale del 21 giugno: «Adesso ho invitato tutti a concentrarsi sui ballottaggi, che sono una sfida importante in molte città e province italiane - ribadisce Franceschini - poi comincerà il percorso congressuale nei tempi fissati, e lì non avrò nessuna reticenza a dire cosa penso di fare».
VELTRONI - Intanto, c'è da registrare il ritorno in campo di Walter Veltroni. L'ex segretario precisa di voler restare fuori «da un certo tipo di battaglia politica», ma chiede di evitare «ritorni al passato» e per questo, «due anni dopo il Lingotto», convoca un'iniziativa per il prossimo due luglio a Roma. «Sarà, appunto, due anni dopo il Lingotto», dice Veltroni nella lettera di convocazione della manifestazione pubblicata su Facebbok. «Sarà il modo per dire che i grandi obiettivi attorno ai quali ci eravamo ritrovati allora, "fare un'Italia nuova", unire gli italiani, aprire una nuova stagione di governo per il Paese, sono gli stessi di quelli che oggi attendono il Partito Democratico. Dovremo tutti esserne all'altezza». All'iniziativa, che sarà presieduta da Luigi Zanda, parteciperanno Francesca Barracciu, Sergio Chiamparino, Paolo Gentiloni, Pietro Ichino, Andrea Martella, David Sassoli, Aldo Schiavone e Debora Serracchiani.
GRANDE FORZA - Veltroni dice che dal discorso del Lingotto il tempo non è trascorso «invano», sottolinea che «il popolo delle primarie ha fatto nascere il Partito democratico» e che «in Italia c’è finalmente una grande forza che unisce le tradizioni e le nuove idee dei riformisti. Il sogno che alcuni di noi coltivavano da anni si è realizzato». Il problema è che il progetto del Pd sembra ora essere a rischio: «Ma se ritengo opportuno, in questo momento, tornare a dire quel che penso, è perché avverto che il nostro progetto, il progetto del Partito democratico, è messo in discussione. È perché sento che attorno ad esso si muovono richiami antichi, perché le tensioni tornano e aumentano, perché si arriva dire che forse sarebbe meglio lasciar perdere il Pd oppure ridurne le ambizioni». «Vorrei essere chiaro - avverte - io sono e rimarrò fuori da un certo tipo di battaglia politica. Una cosa, però, sento di doverla sottolineare: di tutto abbiamo bisogno, tranne che di ritorni ad un passato che ha poco da dire. Ci vuole più riformismo, più modernità, non il ritorno ad antiche e inesistenti certezze». Davanti al Pd, continua, ci sono «possibilità enormi, molto più grandi di quanto il quadro complessivo e la nostra attuale situazione potrebbero far pensare. Una lunga stagione, per la destra e i conservatori, si sta chiudendo. Anche, se non soprattutto, in Italia, dove molti segnali stanno dimostrando che il "berlusconismo" ha iniziato la sua parabola discendente». «Guai, però, - avverte Veltroni - a pensare che questo significhi automaticamente, come per inerzia, successo dei riformisti. Non c'è risultato che non passi attraverso il lavoro, le idee, la capacità di innovazione, la responsabilità».
CORREGGERE GLI ERRORI - «In questo senso il Partito Democratico deve fare ancora molto, davvero molto - prosegue Veltroni. - Non tornando indietro, ma andando avanti. Evitando di ripetere gli errori compiuti e correggendo radicalmente un modo di essere e di fare che ci ha fatto solo male. Penso ovviamente ai mesi successivi alle elezioni politiche di un anno fa. Una sconfitta è una sconfitta, e questo ha significato, per la sfida di governo lanciata dal Pd, il risultato di quel voto. Ma da una sconfitta un partito, in particolare se è nato da pochi mesi e se raggiunge il 33% e oltre dei voti, può tranquillamente ripartire, per radicarsi e per affermare le proprie idee. Soprattutto se a sostenerle ci sono la passione di milioni di persone che hanno appena dimostrato, con una straordinaria campagna elettorale, di esserci, di voler partecipare, di crederci. Invece questa passione è stata delusa, queste persone sono state disorientate. Il Partito Democratico è apparso subito impegnato più in laceranti e troppo spesso sotterranei scontri interni, più in un gioco perverso di posizionamenti individuali e di manovre di corrente, che in un convinto e unitario lavoro comune. Io queste dinamiche, forse per una certa estraneità ad esse, non sono riuscito ad impedirle come avrei voluto. E per non essere riuscito a garantire la loro fine, ho scelto di dimettermi, assumendomi responsabilità anche non mie, come si fa quando si intende così la politica: come un servizio, con le ambizioni personali messe decisamente al secondo posto rispetto agli obiettivi comuni. Anche per questo, nei mesi passati, ho evitato ogni polemica, ogni recriminazione, ogni atteggiamento di distanza, ogni intervista malevola. E ho voluto assicurare a Dario Franceschini, al suo sforzo intelligente, un sostegno leale e sincero».
1 commenti:
Non vediamo l'ora che arrivi il 2 luglio ... :-D
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