Milano - Uno si chiama Moez Fezzani, tunisino, quarant’anni, noto anche come Abu Nassim. L’altro è Riad Nasri, ovvero Abu Doujana, anche lui tunisino, quarantatré anni. Il terzo - e meno importante - è Ben Maboruk Adel, anch’egli tunisino. Manca la conferma ufficiale, che i nomi siano questi è però praticamente certo. Ma intorno ai tre ospiti di Guantanamo che l’America di Obama vuole consegnare all’Italia nell’ambito del piano di smantellamento progressivo del carcere sull’isola di Cuba - dopo il colloquio tra Silvio Berlusconi e Barack Obama alla Casa Bianca - rischia di innescarsi un groviglio diplomatico e giudiziario di soluzione tutt’altro che facile. Con, in fondo al percorso, il rischio che i due tunisini in Italia non arrivino mai. O che facciano la fine di Silvia Baraldini, consegnata all’Italia per scontare una lunga condanna e tornata libera in meno di due anni.La volontà politica c’è da entrambe le parti: anche se il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, resta perplesso, e quello degli Esteri Frattini assicura di non conoscere ancora i nomi. Ma poi, in concreto, si tratta di mettere in dialogo due sistemi giudiziari assai diversi tra di loro, governati da scale di valori diverse. Da una parte l’America del Patriot Act, la sospensione dei diritti civili per combattere a mani libere la guerra al terrorismo. Dall’altra l’Italia delle regole e delle garanzie processuali che la magistratura non intende abiurare.Sul peso specifico di Fezzani e Nasri nella galassia jihadista - va detto - i giudici italiani non hanno dubbi. Il 4 giugno 2007 il giudice milanese Guido Salvini ha colpito entrambi con ordinanza di custodia per associazione terrorista, accusandoli di essere le figure-chiave del flusso di combattenti mujaheddin che dalle moschee milanesi di viale Jenner e via Quaranta arrivavano nei campi di addestramento e combattimento. Erano loro, scrive Salvini, a gestire la «casa dei tunisini» a Jalalabad. Era Fezzani, si legge ancora nell’ordinanza, a «organizzare la logistica dei mujaheddin provenienti dall'Italia accogliendoli presso la “casa dei fratelli tunisini” per poi inviarli nei campi anche di Farouk e Kalden dove venivano addestrati all'uso delle armi e alla preparazione alle azioni suicide». Quando scattano gli ordini di custodia, i due risultano ufficialmente irreperibili. Ma segnalazioni dei nostri servizi segreti dicono già che fine hanno fatto: sono stati catturati in Afghanistan dalle truppe americane e portati a Guantanamo. La certezza arriva poco dopo, quando su Internet iniziano a girare gli elenchi dei reclusi nel carcere cubano. A questo punto, la Procura milanese decide di inviare all’autorità giudiziaria Usa una richiesta di estradizione. Ma in America la richiesta non arriverà mai. Si ferma in via Arenula, a Roma, al ministero della Giustizia. Perché? Secondo fonti ufficiali consultate dal Giornale, perché Guantanamo non è nel territorio americano, e sarebbe irrituale chiedere agli Stati Uniti l’estradizione di un detenuto che non si trova in America.L’offerta di Obama sembrerebbe fatta apposta a risolvere questo impasse. Ma le cose sono più complicate. Alla Procura di Milano, infatti, interessa sicuramente portare in carcere in Italia Fezzani e Nasri. Ma la Procura ritiene indispensabile che questo avvenga in un contesto di rispetto del diritto internazionale. E l’intera gestione di Guantanamo, dei tribunali speciali, degli interrogatori dei prigionieri è quanto più lontano si possa immaginare - anche dopo le aperture di Obama - dalle garanzie processuali come si intendono nei palazzi di giustizia italiani. Oltretutto, è capitato che i pm milanesi potessero interrogare in America militanti islamici passati per Guantanamo e restassero impressionati dal loro stato di prostrazione psichica.Come i pm milanesi ritengono inaccettabili le rendition, i sequestri organizzati qua e là nel mondo dalla Cia, così non intendono prestarsi alla consegna per vie di fatto da parte americana di due indagati catturati chissà dove, senza accuse precise. In assenza di una richiesta formale di estradizione, il presidente Obama potrebbe limitarsi a imbarcare Abu Nassim e Abu Doujana sul primo volo per l’Italia. Ma da questa parte dell’Atlantico i due potrebbero non trovare nessuno disposto ad arrestarli. O, quand’anche finissero in carcere, la magistratura potrebbe decidere che del carcere «illegale» già sofferto a Guantanamo si debba tenere conto per calcolare i tempi della custodia cautelare. E i due capiguerriglia potrebbero a quel punto tornare immediatamente liberi per decorrenza dei termini.
mercoledì 17 giugno 2009
Ospiti indesiderati
Guantanamo, ecco chi può arrivare in Italia di Luca Fazzo
Milano - Uno si chiama Moez Fezzani, tunisino, quarant’anni, noto anche come Abu Nassim. L’altro è Riad Nasri, ovvero Abu Doujana, anche lui tunisino, quarantatré anni. Il terzo - e meno importante - è Ben Maboruk Adel, anch’egli tunisino. Manca la conferma ufficiale, che i nomi siano questi è però praticamente certo. Ma intorno ai tre ospiti di Guantanamo che l’America di Obama vuole consegnare all’Italia nell’ambito del piano di smantellamento progressivo del carcere sull’isola di Cuba - dopo il colloquio tra Silvio Berlusconi e Barack Obama alla Casa Bianca - rischia di innescarsi un groviglio diplomatico e giudiziario di soluzione tutt’altro che facile. Con, in fondo al percorso, il rischio che i due tunisini in Italia non arrivino mai. O che facciano la fine di Silvia Baraldini, consegnata all’Italia per scontare una lunga condanna e tornata libera in meno di due anni.La volontà politica c’è da entrambe le parti: anche se il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, resta perplesso, e quello degli Esteri Frattini assicura di non conoscere ancora i nomi. Ma poi, in concreto, si tratta di mettere in dialogo due sistemi giudiziari assai diversi tra di loro, governati da scale di valori diverse. Da una parte l’America del Patriot Act, la sospensione dei diritti civili per combattere a mani libere la guerra al terrorismo. Dall’altra l’Italia delle regole e delle garanzie processuali che la magistratura non intende abiurare.Sul peso specifico di Fezzani e Nasri nella galassia jihadista - va detto - i giudici italiani non hanno dubbi. Il 4 giugno 2007 il giudice milanese Guido Salvini ha colpito entrambi con ordinanza di custodia per associazione terrorista, accusandoli di essere le figure-chiave del flusso di combattenti mujaheddin che dalle moschee milanesi di viale Jenner e via Quaranta arrivavano nei campi di addestramento e combattimento. Erano loro, scrive Salvini, a gestire la «casa dei tunisini» a Jalalabad. Era Fezzani, si legge ancora nell’ordinanza, a «organizzare la logistica dei mujaheddin provenienti dall'Italia accogliendoli presso la “casa dei fratelli tunisini” per poi inviarli nei campi anche di Farouk e Kalden dove venivano addestrati all'uso delle armi e alla preparazione alle azioni suicide». Quando scattano gli ordini di custodia, i due risultano ufficialmente irreperibili. Ma segnalazioni dei nostri servizi segreti dicono già che fine hanno fatto: sono stati catturati in Afghanistan dalle truppe americane e portati a Guantanamo. La certezza arriva poco dopo, quando su Internet iniziano a girare gli elenchi dei reclusi nel carcere cubano. A questo punto, la Procura milanese decide di inviare all’autorità giudiziaria Usa una richiesta di estradizione. Ma in America la richiesta non arriverà mai. Si ferma in via Arenula, a Roma, al ministero della Giustizia. Perché? Secondo fonti ufficiali consultate dal Giornale, perché Guantanamo non è nel territorio americano, e sarebbe irrituale chiedere agli Stati Uniti l’estradizione di un detenuto che non si trova in America.L’offerta di Obama sembrerebbe fatta apposta a risolvere questo impasse. Ma le cose sono più complicate. Alla Procura di Milano, infatti, interessa sicuramente portare in carcere in Italia Fezzani e Nasri. Ma la Procura ritiene indispensabile che questo avvenga in un contesto di rispetto del diritto internazionale. E l’intera gestione di Guantanamo, dei tribunali speciali, degli interrogatori dei prigionieri è quanto più lontano si possa immaginare - anche dopo le aperture di Obama - dalle garanzie processuali come si intendono nei palazzi di giustizia italiani. Oltretutto, è capitato che i pm milanesi potessero interrogare in America militanti islamici passati per Guantanamo e restassero impressionati dal loro stato di prostrazione psichica.Come i pm milanesi ritengono inaccettabili le rendition, i sequestri organizzati qua e là nel mondo dalla Cia, così non intendono prestarsi alla consegna per vie di fatto da parte americana di due indagati catturati chissà dove, senza accuse precise. In assenza di una richiesta formale di estradizione, il presidente Obama potrebbe limitarsi a imbarcare Abu Nassim e Abu Doujana sul primo volo per l’Italia. Ma da questa parte dell’Atlantico i due potrebbero non trovare nessuno disposto ad arrestarli. O, quand’anche finissero in carcere, la magistratura potrebbe decidere che del carcere «illegale» già sofferto a Guantanamo si debba tenere conto per calcolare i tempi della custodia cautelare. E i due capiguerriglia potrebbero a quel punto tornare immediatamente liberi per decorrenza dei termini.
Milano - Uno si chiama Moez Fezzani, tunisino, quarant’anni, noto anche come Abu Nassim. L’altro è Riad Nasri, ovvero Abu Doujana, anche lui tunisino, quarantatré anni. Il terzo - e meno importante - è Ben Maboruk Adel, anch’egli tunisino. Manca la conferma ufficiale, che i nomi siano questi è però praticamente certo. Ma intorno ai tre ospiti di Guantanamo che l’America di Obama vuole consegnare all’Italia nell’ambito del piano di smantellamento progressivo del carcere sull’isola di Cuba - dopo il colloquio tra Silvio Berlusconi e Barack Obama alla Casa Bianca - rischia di innescarsi un groviglio diplomatico e giudiziario di soluzione tutt’altro che facile. Con, in fondo al percorso, il rischio che i due tunisini in Italia non arrivino mai. O che facciano la fine di Silvia Baraldini, consegnata all’Italia per scontare una lunga condanna e tornata libera in meno di due anni.La volontà politica c’è da entrambe le parti: anche se il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, resta perplesso, e quello degli Esteri Frattini assicura di non conoscere ancora i nomi. Ma poi, in concreto, si tratta di mettere in dialogo due sistemi giudiziari assai diversi tra di loro, governati da scale di valori diverse. Da una parte l’America del Patriot Act, la sospensione dei diritti civili per combattere a mani libere la guerra al terrorismo. Dall’altra l’Italia delle regole e delle garanzie processuali che la magistratura non intende abiurare.Sul peso specifico di Fezzani e Nasri nella galassia jihadista - va detto - i giudici italiani non hanno dubbi. Il 4 giugno 2007 il giudice milanese Guido Salvini ha colpito entrambi con ordinanza di custodia per associazione terrorista, accusandoli di essere le figure-chiave del flusso di combattenti mujaheddin che dalle moschee milanesi di viale Jenner e via Quaranta arrivavano nei campi di addestramento e combattimento. Erano loro, scrive Salvini, a gestire la «casa dei tunisini» a Jalalabad. Era Fezzani, si legge ancora nell’ordinanza, a «organizzare la logistica dei mujaheddin provenienti dall'Italia accogliendoli presso la “casa dei fratelli tunisini” per poi inviarli nei campi anche di Farouk e Kalden dove venivano addestrati all'uso delle armi e alla preparazione alle azioni suicide». Quando scattano gli ordini di custodia, i due risultano ufficialmente irreperibili. Ma segnalazioni dei nostri servizi segreti dicono già che fine hanno fatto: sono stati catturati in Afghanistan dalle truppe americane e portati a Guantanamo. La certezza arriva poco dopo, quando su Internet iniziano a girare gli elenchi dei reclusi nel carcere cubano. A questo punto, la Procura milanese decide di inviare all’autorità giudiziaria Usa una richiesta di estradizione. Ma in America la richiesta non arriverà mai. Si ferma in via Arenula, a Roma, al ministero della Giustizia. Perché? Secondo fonti ufficiali consultate dal Giornale, perché Guantanamo non è nel territorio americano, e sarebbe irrituale chiedere agli Stati Uniti l’estradizione di un detenuto che non si trova in America.L’offerta di Obama sembrerebbe fatta apposta a risolvere questo impasse. Ma le cose sono più complicate. Alla Procura di Milano, infatti, interessa sicuramente portare in carcere in Italia Fezzani e Nasri. Ma la Procura ritiene indispensabile che questo avvenga in un contesto di rispetto del diritto internazionale. E l’intera gestione di Guantanamo, dei tribunali speciali, degli interrogatori dei prigionieri è quanto più lontano si possa immaginare - anche dopo le aperture di Obama - dalle garanzie processuali come si intendono nei palazzi di giustizia italiani. Oltretutto, è capitato che i pm milanesi potessero interrogare in America militanti islamici passati per Guantanamo e restassero impressionati dal loro stato di prostrazione psichica.Come i pm milanesi ritengono inaccettabili le rendition, i sequestri organizzati qua e là nel mondo dalla Cia, così non intendono prestarsi alla consegna per vie di fatto da parte americana di due indagati catturati chissà dove, senza accuse precise. In assenza di una richiesta formale di estradizione, il presidente Obama potrebbe limitarsi a imbarcare Abu Nassim e Abu Doujana sul primo volo per l’Italia. Ma da questa parte dell’Atlantico i due potrebbero non trovare nessuno disposto ad arrestarli. O, quand’anche finissero in carcere, la magistratura potrebbe decidere che del carcere «illegale» già sofferto a Guantanamo si debba tenere conto per calcolare i tempi della custodia cautelare. E i due capiguerriglia potrebbero a quel punto tornare immediatamente liberi per decorrenza dei termini.
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