C’è una strana coppia Nicolas Sarkozy-Daniel Cohn-Bendit che sta ritardando la conferma di José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione europea. I capi di stato e di governo dei Ventisette, ieri sera, erano sul punto di trovare un “accordo politico” per far tornare l’ex premier portoghese alla testa dell’esecutivo comunitario. “Il Consiglio europeo sostiene fortemente Barroso”, ha spiegato la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Ma, per ora, nessuna investitura formale: prima i leader europei intendono consultare l’Europarlamento, che sarà chiamato a ratificare la nomina di Barroso, probabilmente nella sua prima sessione di luglio. E, nonostante il successo alle elezioni del 7 giugno, il Partito popolare europeo da solo non ha la maggioranza necessaria a far passare il suo candidato. Serve un compromesso e l’accordo tecnico con i socialisti europei, che da sempre governa le istituzioni comunitarie, questa volta non è acquisito. Dopo la disfatta elettorale, buona parte del Partito socialista europeo ha deciso di inseguire i Verdi di Daniel Cohn-Bendit su chi è più anti Barroso. “Non è il buon candidato”, ha detto il capogruppo socialista a Strasburgo, Martin Schulz: “Il gruppo socialista non lo voterà in luglio”. In realtà i numeri all’Europarlamento sono dalla parte di Barroso. Al Partito popolare basterebbe un’alleanza politica con i liberal-democratici europei e i conservatori britannici, cui si aggiungerebbero i voti dei socialisti i cui leader nazionali sostengono il presidente della Commissione: Regno Unito, Spagna, Portogallo, Ungheria, Slovenia e Slovacchia. Ma l’Unione europea è sospesa tra il Trattato di Nizza e quello di Lisbona, che prevedono due procedure diverse per la nomina del presidente. E nelle sue logiche di funzionamento, alle maggioranze politiche, l’Ue preferisce il compromesso e il governo per consenso. Al presidente della Commissione e al Partito popolare europeo non conviene governare per cinque anni contro la sinistra. Così, a Barroso non rimane che aspettare che ai socialisti venga concesso qualche posto in più – la presidenza di Strasburgo al tedesco Schulz – oppure un contentino politico – il rinvio a settembre della sua nomina ufficiale. Tanto più che i popolari non hanno ancora trovato la quadratura per il loro candidato allo scranno dell’Europarlamento. Ieri l’incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco, Donald Tusk, si è concluso con un nulla di fatto nella competizione tra Mario Mauro e Jerzy Buzek. Anche se l’Italia potrebbe cedere, in cambio di un posto più autorevole: Franco Frattini alto rappresentante per la politica estera dell’Ue.Barroso è l’uomo giusto per guidare la Commissione? Qualsiasi governo nazionale risponde “sì”. Arrivato nel 2004 dopo i cinque anni grigi di Romano Prodi, aveva entusiasmato grazie a una retorica brillante e alla forza con cui esprimeva le sue idee. La sua agenda era di stampo britannico, come il suo grande elettore dell’epoca, Tony Blair: “Legiferare meno, legiferare meglio”. I suoi commissari chiave – Concorrenza e Mercato interno, i pilastri della costruzione comunitaria – erano degli zar di comprovata fede liberale. Poi, nel 2005, sono arrivati i “no” di francesi e olandesi al Trattato costituzionale e per Barroso tutto è cambiato. Fuori il presidente di una Commissione il cui principale compito era quello di difendere trattati e interesse europeo, ecco il nuovo Barroso “partner” dei governi, pragmatico, mediatore, uomo del compromesso, con un occhio particolarmente attento alle grandi capitali. Le crisi finanziaria ed economica hanno accelerato la deriva intergovernativa e Barroso si è adattato. La Commissione non ha avuto nulla da ridire sull’ondata di aiuti di stato concessi per salvare i settori della finanza e dell’auto, e sulle condizioni poste dai governi – il rimpatrio di capitali e posti di lavoro – in aperta violazione delle regole del mercato interno. Le “circostanze eccezionali della crisi” meritano flessibilità rispetto ai trattati, si giustificava Barroso. Salvo che già allora le capitali discutevano della sua conferma.A Bruxelles i diplomatici raccontano che l’ex premier portoghese è “ossessionato” dalla sua rielezione. Al punto che negli ultimi giorni ha moltiplicato i gesti in direzione di quello che considera l’unico leader in grado di impedirla: il presidente francese, Nicolas Sarkozy. Il giorno dopo le elezioni europee, la Commissione ha annunciato il ritiro della proposta che autorizzava la produzione di vino rosato “tagliato”: il rosé ottenuto da una miscela di vino bianco e rosso non piaceva alla Francia. Con una procedura d’urgenza, a Parigi sono stati concessi 109 milioni di euro di aiuti per i danni della tempesta Klaus dello scorso gennaio. Nelle ultime settimane i grandi paesi sono stati ricompensati con nomine ai vertici della burocrazia comunitaria, ma al francese Herbé Jouanjean è andata l’importante direzione generale del Bilancio. Ieri Barroso ha presentato ai capi di stato e di governo un programma per i cinque anni di legislatura che sembra la fotocopia dei desideri di Sarkozy: “Promuovere lo sviluppo della nostra agricoltura”, “guidare la regolazione e la supervisione dei mercati finanziari globali”, “proteggere e promuovere l’interesse europeo nel mondo” attraverso rappresaglie protezionistiche. Sarkozy ufficialmente garantisce “pieno sostegno” a Barroso. Ma dietro le quinte ha manovrato per tenerlo sotto ricatto. Prima l’Eliseo ha “condizionato” il suo appoggio alla presentazione di un programma. Poi ha lasciato intendere che Barroso dovrà essere confermato una seconda volta in autunno, dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona nel referendum in Irlanda. Un modo per metterlo in scacco: se la Commissione dovesse contestare alla Francia i provvedimenti anticrisi, gli aiuti di stato o i deficit eccessivi, e se Barroso non affiderà a Parigi il posto di commissario al Mercato interno, il presidente dell’esecutivo dell’Ue rischia il licenziamento anticipato. Ieri, prima di recarsi a Bruxelles, Sarkozy ha incontrato il leader dei Verdi, Cohn-Bendit, che in Francia ha conquistato il 16,3 per cento grazie alla campagna “stop Barroso”. La chiacchierata di tre quarti d’ora è stata “molto cool”, ha detto Cohn-Bendit. Il leader verde ha fatto sapere al presidente che è necessario “rinviare la nomina di Barroso, altrimenti sarà un voto negativo” a Strasburgo. E Sarkozy “ha portato questa informazione con lui al Consiglio europeo”. Un’informazione che fa comodo a entrambi: il presidente francese può prolungare il ricatto; Cohn-Bendit può continuare la sua campagna anti Barroso, in attesa del posto di inviato speciale dell’Ue in medio oriente che Sarkozy vorrebbe affidargli. Barroso oggi o Barroso domani, cambierà poco per l’Europa. Ieri i capi di stato e di governo si sono arrovellati per ore sulla forma giuridica delle garanzie all’Irlanda su questioni etiche, tassazione e neutralità militare, necessarie per convocare il referendum sul Trattato di Lisbona. Una lettera di impegni non basta a Dublino, ma un protocollo formale rischia di riaprire il processo di ratifica nel Regno Unito e in Repubblica ceca, ipotecando le riforme istituzionali. Se sulla crisi i governi hanno già dimostrato i loro egoismi nazionali, sulla regolazione finanziaria del dopo crisi continuano a litigare nonostante i solenni impegni del Vertice del G20: il premier inglese Brown ha detto “no” alla proposta della Commissione di creare supervisori finanziari europei che rischiano di danneggiare la City di Londra.
David Carretta
0 commenti:
Posta un commento