mercoledì 10 giugno 2009

Strategie americane

Obama continua a dettare regole a Israele per accattivarsi gli arabi di Emiliano Albensi

Due Stati per due popoli, in due anni. E’ questa la formula pensata da Barack Obama per risolvere la tormentata questione mediorientale. A rivelarlo è stato, ieri, il quotidiano arabo edito a Londra ‘al Sharq al Awast’, secondo cui il presidente americano avrebbe illustrato il piano al premier israeliano, Benjamin Netanyahu, durante l’incontro a Washington del 18 maggio scorso, chiedendo una risposta entro il 16 luglio (una scadenza che Obama ha fissato dopo il discorso tenuto all’università del Cairo). Sempre secondo il giornale egiziano, il piano sarebbe stato sottoposto anche al governo egiziano, in particolare al capo dell’intelligence Omar Suleiman e al ministro degli Esteri del Cairo Ahmed Abul Gheit, che hanno promesso una risposta in tempi brevi. Intanto, ieri mattina, l’emissario statunitense per il Medio Oriente, George Mitchell, è arrivato a Gerusalemme per una serie di incontri con il presidente israeliano Shimon Peres ed esponenti del governo di Tel Aviv, tra cui il premier Netanyahu, il ministro della Difesa Barak e quello degli esteri Avigdor Lieberman. “Prima di tutto voglio ribadire che gli Stati Uniti e Israele sono e rimarranno amici e alleati”, ha dichiarato Mitchell, rivolgendosi a Peres. “Il nostro impegno per la sicurezza israeliana resta immutato, ma allo stesso tempo vogliamo esercitare ogni sforzo per far ripartire il negoziato di pace e accelerare il cammino verso la prospettiva di uno Stato palestinese al fianco di Israele”, ha confermato il plenipotenziario di Washington. L'intento americano è quello di rilanciare immediatamente il negoziato fra israeliani e palestinesi, ma ci sono diversi scogli da superare. Uno su tutti gli insediamenti di coloni ebraici in Cisgiordania e a est di Gerusalemme, dove vivono ormai 500mila abitanti. Il blocco degli insediamenti rappresenta la precondizione, avanzata dai palestinesi, senza la quale ogni inizio di trattativa sarebbe impossibile. L’amministrazione Obama chiede a Israele l’immediato congelamento delle colonie e oggi Mitchell ne ha parlato anche con il ministro della difesa Barak. “Siamo tutti d’accordo che bisogna evacuare gli insediamenti illegali e impedire la nascita di nuove colonie. Tuttavia, il naturale sviluppo degli insediamenti è un argomento che deve continuare a essere discusso per arrivare a un accordo,” è stato il commento di Peres. “Focalizzarsi su un singolo aspetto non giova comunque a un più ampio processo di pace, che si suppone sia in programma per Israele e i suoi vicini,” ha aggiunto il presidente israeliano. Netanyahu e il suo staff, da parte loro, si oppongono al congelamento delle colonie e nutrono più di un sospetto sui reali scopi del piano Obama. “Secondo Netanyahy – ha scritto ieri il quotidiano israeliano Haaretz, citando fonti vicine al primo ministro – gli americani ritengono che una controversia aperta con Israele sulle colonie sarebbe in grado di favorire il principale obiettivo dell’amministrazione Obama che è quello di migliorare le relazioni tra gli Stati Uniti e il mondo arabo”. La risposta di Netanyahu dovrebbe arrivare domenica prossima, quando il capo del governo illustrerà la politica diplomatica e di sicurezza del governo. Un discorso che il presidente statunitense è “ansioso di ascoltare”, come ha spiegato domenica sera in un colloquio telefonico proprio con il capo del governo israeliano. Un dialogo giudicato “positivamente” dalla Casa Bianca, durante il quale i due hanno concordato di "mantenere un contatto aperto e continuo". Ma, a parte lo scetticismo israeliano, c’è un terzo grande ostacolo da superare: il cronico antagonismo tra i due movimenti palestinesi di Hamas e Fatah. L’Egitto e le altre capitali arabe stanno facendo pressioni sulle due fazioni per cercare di porre fine alle divisioni inter-palestinesi e hanno convocato un incontro urgente – fissato per il 17 giugno al Cairo – tra i ministeri degli Esteri della Lega Araba. E dopo, Obama dovrà confrontarsi anche con la sfida di Al Qaeda e con la laboriosa strategia atomica e terrorista dell’Iran. Il mondo mediorientale non è ancora quello dipinto dal presidente Usa.

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