La visita di Gheddafi a Roma è stata come minimo imbarazzante. Imbarazzante per gli italiani, si intende. Da parte sua, Gheddafi ha avuto tutto quello che si aspettava di avere (è stato lui a non volere far visita al presidente della Camera, quindi non possiamo neanche consolarci con il fatto che Fini non l’ha aspettato oltre le due ore), ma anche molto di più di ciò che noi crediamo di avergli dato. Questo è il punto, infatti: non siamo in grado di valutare fino in fondo quello che è successo perché c’è un’assoluta distanza fra il modello culturale dell’Occidente, un Occidente come quello italiano, imbevuto di Storia, della civiltà giuridica romana, di un cristianesimo e di un umanesimo raffinatissimo in tutte le sue espressioni, assertore del valore e della uguaglianza di ogni «persona» e il modello culturale musulmano, fedele alle leggi e ai costumi fissati da Maometto sulla falsariga di quelli dell’Antico Testamento, ossia di circa 8000 anni fa. A questa distanza bisogna poi aggiungere il gusto africano per l’esibizione, per l’ampliamento del significato del proprio corpo attraverso abiti, acconciature, colori, cui nessun uomo di potere, stregone, sciamano, capo tribù rinuncerebbe mai in quanto ne certifica la dimensione trascendente e la superiorità davanti ai sudditi. Bisogna supporre, da quanto è avvenuto in questi giorni, che il nostro governo abbia creduto che sotto le apparenze (per esempio, la pretesa installazione della tenda da nomade), ci fosse comunque un normale Capo di Stato in visita a Roma, per il quale quindi fosse un onore tenere una lezione all’Università La Sapienza e affacciarsi dal balcone del Campidoglio ad ammirare l’antica Roma. Nulla di più grottesco. O meglio di più grottescamente tragico per noi, gli italiani. Il signor Gheddafi disprezza altamente, e ha ben ragione di farlo, la nostra storia, la nostra civiltà, nella quale non vede nulla che gli sembri migliore di quello che possiede lui, e i cosiddetti «onori» che ha ricevuto, gli sono apparsi semplicemente il segno della sottomissione, della piaggeria, della nostra debolezza nei suoi confronti. Insomma, non ha bisogno di bombe o di missili per esibirci al popolo musulmano, a tutto il popolo musulmano, non soltanto a quello africano, come suoi accoliti, ed è questo che sta preparando da lungo tempo e che ha ormai quasi ottenuto: aggregare l’Africa e diventare la guida politica dei musulmani sparsi nel mondo. L’Italia (non dimentichiamocelo mai) è stata sempre ed è ancora adesso la terra di conquista indispensabile per la conquista dell’Europa. Naturalmente questo viaggio è stato presentato come un grande affare economico, e può darsi che lo sia (anche se sussiste qualche dubbio a rigor di cifre). Ma l’onore di un popolo, la sua dignità, non possono essere scambiati con il denaro, e credo che si possa essere sicuri che non era nelle intenzioni dei nostri politici questo tipo di scambio. L’errore di non valutare le differenze culturali è tipico di tutto l’Occidente, inclusa l’America. È rimasto nella memoria dell’antropologo come prova di un madornale errore di questo tipo, la precisa scadenza di tempo data dal Presidente degli Stati Uniti a Saddam come «ultimatum» prima dell’attacco. Norme di civiltà bellica prive di senso per popoli presso i quali è del tutto diverso il senso del tempo e che non possono non considerare stupido preavvertire di un attacco. Errori, però, che dipendono sempre dalla nostra arroganza, dall’antica convinzione che la nostra sia l’unica vera civiltà alla quale tutti dovrebbero conformarsi. Fa parte di questa errata prospettiva farsi prendere in giro da un dittatore che mantiene ferma la legge dell’antico testamento sull’assoluto potere maschile, sull’inferiorità delle donne, sulla lapidazione delle adultere, preparandogli un incontro con 700 rappresentanti delle nostre associazioni femminili. Certamente si sarà molto divertito nell’affermare che ci vuole una rivoluzione, visto che in Libia nessuno si può azzardare neanche ad aprire bocca, figurarsi le donne. Possiamo soltanto sperare che l’esperienza di questa umiliazione abbia aperto gli occhi ai politici, convincendoli a tenere sempre presenti le differenze culturali e la difficoltà di superarne le barriere.
domenica 14 giugno 2009
La riflessione
Disprezzo beduino di Ida Magli
La visita di Gheddafi a Roma è stata come minimo imbarazzante. Imbarazzante per gli italiani, si intende. Da parte sua, Gheddafi ha avuto tutto quello che si aspettava di avere (è stato lui a non volere far visita al presidente della Camera, quindi non possiamo neanche consolarci con il fatto che Fini non l’ha aspettato oltre le due ore), ma anche molto di più di ciò che noi crediamo di avergli dato. Questo è il punto, infatti: non siamo in grado di valutare fino in fondo quello che è successo perché c’è un’assoluta distanza fra il modello culturale dell’Occidente, un Occidente come quello italiano, imbevuto di Storia, della civiltà giuridica romana, di un cristianesimo e di un umanesimo raffinatissimo in tutte le sue espressioni, assertore del valore e della uguaglianza di ogni «persona» e il modello culturale musulmano, fedele alle leggi e ai costumi fissati da Maometto sulla falsariga di quelli dell’Antico Testamento, ossia di circa 8000 anni fa. A questa distanza bisogna poi aggiungere il gusto africano per l’esibizione, per l’ampliamento del significato del proprio corpo attraverso abiti, acconciature, colori, cui nessun uomo di potere, stregone, sciamano, capo tribù rinuncerebbe mai in quanto ne certifica la dimensione trascendente e la superiorità davanti ai sudditi. Bisogna supporre, da quanto è avvenuto in questi giorni, che il nostro governo abbia creduto che sotto le apparenze (per esempio, la pretesa installazione della tenda da nomade), ci fosse comunque un normale Capo di Stato in visita a Roma, per il quale quindi fosse un onore tenere una lezione all’Università La Sapienza e affacciarsi dal balcone del Campidoglio ad ammirare l’antica Roma. Nulla di più grottesco. O meglio di più grottescamente tragico per noi, gli italiani. Il signor Gheddafi disprezza altamente, e ha ben ragione di farlo, la nostra storia, la nostra civiltà, nella quale non vede nulla che gli sembri migliore di quello che possiede lui, e i cosiddetti «onori» che ha ricevuto, gli sono apparsi semplicemente il segno della sottomissione, della piaggeria, della nostra debolezza nei suoi confronti. Insomma, non ha bisogno di bombe o di missili per esibirci al popolo musulmano, a tutto il popolo musulmano, non soltanto a quello africano, come suoi accoliti, ed è questo che sta preparando da lungo tempo e che ha ormai quasi ottenuto: aggregare l’Africa e diventare la guida politica dei musulmani sparsi nel mondo. L’Italia (non dimentichiamocelo mai) è stata sempre ed è ancora adesso la terra di conquista indispensabile per la conquista dell’Europa. Naturalmente questo viaggio è stato presentato come un grande affare economico, e può darsi che lo sia (anche se sussiste qualche dubbio a rigor di cifre). Ma l’onore di un popolo, la sua dignità, non possono essere scambiati con il denaro, e credo che si possa essere sicuri che non era nelle intenzioni dei nostri politici questo tipo di scambio. L’errore di non valutare le differenze culturali è tipico di tutto l’Occidente, inclusa l’America. È rimasto nella memoria dell’antropologo come prova di un madornale errore di questo tipo, la precisa scadenza di tempo data dal Presidente degli Stati Uniti a Saddam come «ultimatum» prima dell’attacco. Norme di civiltà bellica prive di senso per popoli presso i quali è del tutto diverso il senso del tempo e che non possono non considerare stupido preavvertire di un attacco. Errori, però, che dipendono sempre dalla nostra arroganza, dall’antica convinzione che la nostra sia l’unica vera civiltà alla quale tutti dovrebbero conformarsi. Fa parte di questa errata prospettiva farsi prendere in giro da un dittatore che mantiene ferma la legge dell’antico testamento sull’assoluto potere maschile, sull’inferiorità delle donne, sulla lapidazione delle adultere, preparandogli un incontro con 700 rappresentanti delle nostre associazioni femminili. Certamente si sarà molto divertito nell’affermare che ci vuole una rivoluzione, visto che in Libia nessuno si può azzardare neanche ad aprire bocca, figurarsi le donne. Possiamo soltanto sperare che l’esperienza di questa umiliazione abbia aperto gli occhi ai politici, convincendoli a tenere sempre presenti le differenze culturali e la difficoltà di superarne le barriere.
La visita di Gheddafi a Roma è stata come minimo imbarazzante. Imbarazzante per gli italiani, si intende. Da parte sua, Gheddafi ha avuto tutto quello che si aspettava di avere (è stato lui a non volere far visita al presidente della Camera, quindi non possiamo neanche consolarci con il fatto che Fini non l’ha aspettato oltre le due ore), ma anche molto di più di ciò che noi crediamo di avergli dato. Questo è il punto, infatti: non siamo in grado di valutare fino in fondo quello che è successo perché c’è un’assoluta distanza fra il modello culturale dell’Occidente, un Occidente come quello italiano, imbevuto di Storia, della civiltà giuridica romana, di un cristianesimo e di un umanesimo raffinatissimo in tutte le sue espressioni, assertore del valore e della uguaglianza di ogni «persona» e il modello culturale musulmano, fedele alle leggi e ai costumi fissati da Maometto sulla falsariga di quelli dell’Antico Testamento, ossia di circa 8000 anni fa. A questa distanza bisogna poi aggiungere il gusto africano per l’esibizione, per l’ampliamento del significato del proprio corpo attraverso abiti, acconciature, colori, cui nessun uomo di potere, stregone, sciamano, capo tribù rinuncerebbe mai in quanto ne certifica la dimensione trascendente e la superiorità davanti ai sudditi. Bisogna supporre, da quanto è avvenuto in questi giorni, che il nostro governo abbia creduto che sotto le apparenze (per esempio, la pretesa installazione della tenda da nomade), ci fosse comunque un normale Capo di Stato in visita a Roma, per il quale quindi fosse un onore tenere una lezione all’Università La Sapienza e affacciarsi dal balcone del Campidoglio ad ammirare l’antica Roma. Nulla di più grottesco. O meglio di più grottescamente tragico per noi, gli italiani. Il signor Gheddafi disprezza altamente, e ha ben ragione di farlo, la nostra storia, la nostra civiltà, nella quale non vede nulla che gli sembri migliore di quello che possiede lui, e i cosiddetti «onori» che ha ricevuto, gli sono apparsi semplicemente il segno della sottomissione, della piaggeria, della nostra debolezza nei suoi confronti. Insomma, non ha bisogno di bombe o di missili per esibirci al popolo musulmano, a tutto il popolo musulmano, non soltanto a quello africano, come suoi accoliti, ed è questo che sta preparando da lungo tempo e che ha ormai quasi ottenuto: aggregare l’Africa e diventare la guida politica dei musulmani sparsi nel mondo. L’Italia (non dimentichiamocelo mai) è stata sempre ed è ancora adesso la terra di conquista indispensabile per la conquista dell’Europa. Naturalmente questo viaggio è stato presentato come un grande affare economico, e può darsi che lo sia (anche se sussiste qualche dubbio a rigor di cifre). Ma l’onore di un popolo, la sua dignità, non possono essere scambiati con il denaro, e credo che si possa essere sicuri che non era nelle intenzioni dei nostri politici questo tipo di scambio. L’errore di non valutare le differenze culturali è tipico di tutto l’Occidente, inclusa l’America. È rimasto nella memoria dell’antropologo come prova di un madornale errore di questo tipo, la precisa scadenza di tempo data dal Presidente degli Stati Uniti a Saddam come «ultimatum» prima dell’attacco. Norme di civiltà bellica prive di senso per popoli presso i quali è del tutto diverso il senso del tempo e che non possono non considerare stupido preavvertire di un attacco. Errori, però, che dipendono sempre dalla nostra arroganza, dall’antica convinzione che la nostra sia l’unica vera civiltà alla quale tutti dovrebbero conformarsi. Fa parte di questa errata prospettiva farsi prendere in giro da un dittatore che mantiene ferma la legge dell’antico testamento sull’assoluto potere maschile, sull’inferiorità delle donne, sulla lapidazione delle adultere, preparandogli un incontro con 700 rappresentanti delle nostre associazioni femminili. Certamente si sarà molto divertito nell’affermare che ci vuole una rivoluzione, visto che in Libia nessuno si può azzardare neanche ad aprire bocca, figurarsi le donne. Possiamo soltanto sperare che l’esperienza di questa umiliazione abbia aperto gli occhi ai politici, convincendoli a tenere sempre presenti le differenze culturali e la difficoltà di superarne le barriere.
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