martedì 9 giugno 2009

Il sorpasso

Domenici: «Dobbiamo ripartire dalle sezioni e dalle tessere». Andreatta: «No, mandiamo via le nomenklature». Il Pd e lo smottamento nelle «terre rosse» «Noi non siamo più lo zoccolo duro». Lorenzetti: Bossi pesca tra i nostri. Sorpasso in Umbria e Marche, in Emilia e Toscana meno 7%

L’Umbria Felix, le marce della pace, Eurochocolate, l’università di Perugia «Oxford d’Italia», la «regina» Rita Lorenzetti, il governatore più popolare della penisola. E invece, improvviso, lo schiaffo: Pd meno 10 per cento, Pdl primo partito. Le Marche del «piccolo è bello», i distretti che reggono alla crisi, la buona amministrazione rossa: altro schiaffo, altro sorpasso di un Berlusconi altrove in fase calante, con la Lega oltre il 10% a Pesaro e a Urbino. E poi: Emilia e Toscana, le casseforti del partito, le cooperative e il Monte dei Paschi: meno 7 per cento. Quasi la stessa cifra della crescita imperiosa della Lega, che anche sotto il Po comincia a erodere il consenso della sinistra nei ceti operai e popolari. Il «partito appenninico» minacciato da Tremonti appare quasi una previsione benaugurante. In realtà, il Pd va meglio del temuto al Nord e nelle isole, e va peggio nelle sue roccaforti, le regioni un tempo rosse e ora al più rosa. Se a questo allarme si aggiunge il sorpasso nel recente feudo della Basilicata, che da quindici anni la scelta di Emilio Colombo per il Ppi aveva consegnato al centrosinistra, il partito democratico avverte il rischio di perdere alle regionali dell’anno prossimo anche là dove aveva sempre vinto. Che cos’è successo? Cos’è successo in Umbria, dove il colpo è particolarmente duro? «Si è frammentato in più parti il voto classico, costante nel tempo tra Pci, Ds, Ulivo — risponde la «regina» Lorenzetti, donna molto stimata da Massimo D’Alema —. Lo si vede dal risultato di Rifondazione, Vendola, Di Pietro, e anche dall’astensione». Poi c’è la Lega Nord al 4% in Umbria: quasi un ossimoro. «Ho il dubbio — si interroga la presidente della Regione — che pure Bossi possa aver pescato nel nostro bacino elettorale, almeno in certe zone. Penso all’alta valle del Tevere, centro della lavorazione del tabacco, che soffre la decisione europea di ritirare il premio ai coltivatori: la Lega è una forza antieuropea, e nell’alta valle del Tevere, che peraltro è vicina alla Romagna e quindi tradizionale zona di sinistra, la Lega va forte. A Foligno, la mia città, hanno preso 1.400 voti candidando un commerciante molto noto, anche per essere padre di Marta Cecchetto, la fidanzata di Luca Toni...». La Lorenzetti conosce il territorio fin dalla nascita e ne analizza le diverse situazioni: «Il Pd paga soprattutto là dove si è diviso. A Panicale e a Castiglion del Lago avevamo due liste, contro una sola del Pdl. A Terni c’è stata una discussione molto dura sulla scelta dei candidati a sindaco e a presidente della Provincia. Altrove si è presentata da sola l’area socialista. Sono tanti segni di frammentazione. Noi invece dobbiamo recuperare sia la capacità di governo, sia l’attitudine a dialogare con l’intera società umbra». Al di là delle situazioni minute, è l’egemonia a essere in gioco, sostiene la Lorenzetti, che ha un accenno appena polemico verso una compagna, quando ricorda che «l’Umbria è l’unica regione che un tempo si sarebbe definita rossa ad avere come segretario pd un’esponente della Margherita», Maria Pia Bruscolotti. «L’unica cosa certa — conclude la presidente — è che non esiste più nessuno zoccolo duro su cui adagiarci». Se n’è accorto, in Toscana, Leonardo Domenici, per otto anni sindaco di Firenze, presidente dell’Anci (l’Associazione dei comuni italiani), ora eletto a Strasburgo con 85 mila preferenze in un’elezione difficile in tutta la regione. A Livorno per la prima volta il Pd perde la maggioranza assoluta, a Massa è affiancato dal Pdl, a Carrara è superato, mentre a Prato è costretto al ballottaggio da un exploit della Lega nella città dell’immigrazione cinese, e nella cassaforte rossa di Siena Berlusconi supera il 30%. «Io però non ho avuto un’impressione negativa — racconta Domenici —. E dire che in campagna elettorale ho fatto 21 mila chilometri e 117 comuni. O li ho trovati tutti io, oppure la gente apprezza ancora la politica, il partito. Cose considerate un po’ vetero: che so, le sezioni, il tesseramento. Sarà un ragionamento storicista, ma questi ci chiedono di costruire un partito vero, radicato, che non rinneghi il suo patrimonio storico. Ho conosciuto ragazzi di 25 anni che si porgono nei confronti di noi "vecchi" con energie fresche ma anche in modo rispettoso, non conflittuale», in modo diverso insomma dal probabile successore di Domenici, il trentenne Matteo Renzi. «Per quanto ci siamo ingegnati, non siamo ancora riusciti a distruggere tutto quanto — sorride l’ex sindaco di Firenze, in partenza per Strasburgo —. La botta vera della crisi economica deve ancora arrivare. Nel muro di Berlusconi si è aperta una crepa. Noi del Pd dobbiamo tenerci pronti». A Bologna, invece, gli uomini che analizzano il voto locale per conto di Romano Prodi traggono considerazioni molto diverse, e parecchio più pessimiste. La Lega all’11% a Forlì e al 18 a Reggio Emilia, la città più rossa d’Italia. Il Pdl al 52% a Piacenza e al 40-42 a Parma e a Rimini. Il Pd che perde quasi dieci punti rispetto alle politiche a Bologna e, tra l’altro, cede la guida di Marzabotto. «Dati spaventosi. Uno smottamento, peggiorato dall’astensionismo. Un cedimento strutturale» commenta Filippo Andreatta, figlio di Nino, l’inventore dell’Ulivo, e padre di un altro Nino, nato da quindici giorni. «Sono ancora più significative, e più gravi, le cifre assolute. Alle Europee del 2004, il Pd aveva a Bologna 117 mila voti. Ora ne ha 91 mila. Un calo che coincide con la tendenza nazionale: la volta scorsa il cartello elettorale tra Ds e Margherita aveva dieci milioni di voti, adesso il partito nuovo ne ha persi due milioni». Andreatta sostiene che il Pd, quello locale e quello nazionale, paga ancora le divisioni che hanno portato alla caduta di Prodi, il pessimo retaggio di Cofferati «comandato dal partito prima al comune di Bologna, poi in cima alla lista per le Europee nel Nord-Ovest», e anche il carattere «freddo» della fusione tra le due nomenklature: «A Bologna il primo segretario del Pd, Andrea De Maria, è l’ultimo segretario dei Ds. A Roma abbiamo avuto Veltroni, ex segretario ds, e ora abbiamo Franceschini, ex vicesegretario ppi. Tutto si tiene: in Emilia, come nelle altre regioni già rosse, il Pd è un partito di raccolta dei voti che furono del Pci e della sinistra democristiana, ma non ha alcuna capacità di attrazione. Questo spiega il successo di Di Pietro, anche là dove il voto di sinistra è tradizionalmente più strutturato». Come in via Stalingrado, la strada che corre tra la Bolognina e l’Unipol.

Aldo Cazzullo

3 commenti:

Josh ha detto...

'dobbiamo ripartire dalle sezioni e dalle tessere' 'buona amministrazione rossa' ma dove?....uh mamma, Elly non se ne può più di sentire queste scemenze. Dovrebbero azzerare tutto e ripartire dalla realtà del paese, e cosa strana per la sinistra, anche fare l'interesse degli italiani. Non sono in grado. Si autodistruggano.

Sai che in Emilia hanno perso sonoramente anche nei paesi della Resistenza, dove ci sono ormai solo i 90enni che vanno alle case del popolo, un po' fuori della realtà, ma stufi pure loro degli stranieri? cfr. i risultati a Monzuno e a Marzabotto, teatri di battaglie tra resistenti e nazisti.
Non so se mi spiego.
Avevo dimenticato le marce della pace e Assisi: che ipocrisia, se ne sentivano di tutti i colori compresi tentativi di mix tra teologia cristiana e musulmana come fossero una cosa sola.

E quel che il pd ha mantenuto è dovuto solo a chi lavora in tali amministrazioni rosa, alle coop, all'Unipol, al Monte dei Paschi, negli apparati di partito, nel sindacato e basta. Cioè li hanno votati solo quelli che militano e sono dipendenti dai loro apparati.
Non ti può mancare il voto di Marzabotto al link:
http://notizie.virgilio.it/elezioni_2009/amministrative/amministrative.html?tipo=com&luogo=MARZABOTT

e l'orrore anche architettonico del capitalismo rosso: "Porta Europa" (un nome un programma) in Via Stalingrado (sic) a Bologna:

http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=702268

Josh ha detto...

A proposito, non ti può mancare questa intervista meno politica (o no) di un architetto di punta delle coop rosse, autore anche degli scempi di Via Stalingrado, che enuncia per bene i suoi ideali e modelli. Non è un vero OT perchè tutto è collegato nel mondo sinistro, architettura compresa, per intenti, fini e programmi. Prego al link

http://arte.stile.it/articoli/2001/06/20/133563.php

Elly ha detto...

No, no, linka pure che sono cose tutte collegate tra di loro. Se hanno mantenuto il potere finora è solo per i motivi che hai elencato tu. Come si chiama in termine tecnico? Clientelismo? Ecco. Ma ormai la gente è stufa del clientelismo fine a se stesso. E vota per altri che cominciano a pensare anche e soprattutto alle persone.