sabato 27 giugno 2009

Neda, l'Iran e i silenzi

Iran: ora il regime ha paura di Neda, simbolo laico.

(AGI) - Teheran, 24 giu. - La famiglia di Neda e' stata costretta a lasciare l'appartamento in cui viveva, in via Meshkini, nella parte orientale di Teheran. La polizia, hanno detto i vicini, non ha restituito il corpo, il funerale e' stato cancellato, lei e' stata sepolta senza che la famiglia stessa lo sapesse e il governo ha vietato le cerimonie per ricordarla. Un giornale filogovernativo ha addirittura scritto che il corrispondente della BBC in Iran, poi espulso, aveva assunto dei "criminali" per ucciderla e fare cosi' uno scoop contro il governo. La famiglia della ragazza, in ossequio alla tradizione persiana, aveva messo un annuncio di lutto e appeso una striscia mera all'edificio. La polizia non lo ha permesso, il giorno dopo ha ordinato loro di andare e ai vicini ha intimato di non parlare. Per giorni, hanno raccontato i vicini, l'isolato e' stato praticamente assediato dai volontari basiji. "Abbiamo paura", ha detto un vicino al Guardian, "in Iran quando qualcuno muore, i vicini vanno a visitare la famiglia. Ma loro sono stati costretti alla solitudine. Nessuno ha potuto consolarli, la loro figlia era stata appena uccisa e nessuno ha potuto essere loro vicino". La famiglia di Neda e' stata costretta a lasciare l'appartamento in cui viveva, in via Meshkini, nella parte orientale di Teheran. La polizia, hanno detto i vicini, non ha restituito il corpo, il funerale e' stato cancellato, lei e' stata sepolta senza che la famiglia stessa lo sapesse e il governo ha vietato le cerimonie per ricordarla. Un giornale filogovernativo ha addirittura scritto che il corrispondente della BBC in Iran, poi espulso, aveva assunto dei "criminali" per ucciderla e fare cosi' uno scoop contro il governo. La famiglia della ragazza, in ossequio alla tradizione persiana, aveva messo un annuncio di lutto e appeso una striscia mera all'edificio. La polizia non lo ha permesso, il giorno dopo ha ordinato loro di andare e ai vicini ha intimato di non parlare. Per giorni, hanno raccontato i vicini, l'isolato e' stato praticamente assediato dai volontari basiji. "Abbiamo paura", ha detto un vicino al Guardian, "in Iran quando qualcuno muore, i vicini vanno a visitare la famiglia. Ma loro sono stati costretti alla solitudine. Nessuno ha potuto consolarli, la loro figlia era stata appena uccisa e nessuno ha potuto essere loro vicino".

«Così Neda è morta fra le mie braccia»

Ha sentito lo sparo, l’ha vista barcollare, cadere, morirgli tra le braccia. È successo sabato scorso, lo può raccontare solo ora. È arrivato a Londra la notte di giovedì, si è lasciato dietro l’Iran, l’incubo sanguinoso di quell’agonia, la paura di esser cercato e sbattuto in galera. E ora il dottor Arash Hejazi, medico trentottenne appassionato di letteratura e famoso per essere il traduttore di Paul Coelho in iraniano, può raccontare la sua verità. «Dopo quest’intervista rientrare nel mio paese sarà impossibile, ma glielo dovevo - spiega alla giornalista della Bbc che lo ascolta - Neda lottava per i diritti di tutti, il suo sangue non può venir sparso invano, lei rappresenta tutti noi, lei era una ragazza come tante... non sopportava più le ingiustizie e loro l’hanno uccisa per questo». Neda Agha Sultani è la martire dell’opposizione iraniana, la ragazza di 26 anni colpita da un proiettile durante le manifestazioni di sabato scorso a Teheran e spirata tra le braccia di Arash mentre lui tentava di soccorrerla. Da quel giorno Arash non dorme più. Il suo volto ripreso dal telefonino che filma la morte di Neda fa il giro del mondo. Paul Coelho lo riconosce, gli scrive, lo invita a fuggire. Lui lo ascolta, vola a Londra, ma intanto vive nel tormento. Risente l’urlo di Nada «mi brucia il petto», rivede il suo volto, i fiotti di sangue da naso e bocca, gli occhi rovesciati al cielo. «Premevo sulla ferita cercavo di fermare il sangue, ma usciva da ovunque, non avevo mai visto una cosa del genere, il proiettile deve esserle esploso nel petto, è morta in meno di un minuto». Dal racconto di Arash emerge anche la chiara, incontrovertibile responsabilità delle milizie Basiji, dei volontari di regime mandati a confrontare i dimostranti con moto, bastoni e armi da fuoco. Il dottore lo capisce quando inebetito si alza da quel cadavere e si mescola alla folla. «Mi guardavo i vestiti e le mani coperte di sangue, non mi davo pace per non esser riuscito a salvarla». Mentre tenta di scacciare orrore e senso di colpa, sente un urlo, assiste alla caccia ad un miliziano in fuga. «La gente intorno a me sembra impazzita, sbanda, corre urla poi sento altre grida “l’abbiamo preso, l’abbiamo preso”... vedo quell’uomo, lo stanno bloccando e disarmando qualcuno gli strappa la carta d’identità mostra che è proprio un volontario Basiji. Le persone tutt’attorno sembrano imbestialite, pronte a ucciderlo, lui per difendersi grida “non la volevo uccidere, non la volevo uccidere”». Quella frase, ripetuta senza motivo è la prova, secondo Arash, della sua colpevolezza, della sua responsabilità di cecchino mandato a sparare sulla folla, di esecutore materiale di Neda. «La gente a quel punto si domanda che fare - spiega Arash - sa che consegnarlo alla polizia è inutile, ma non vuole neppure farsi giustizia da sola... lo fotografano, si tengono i suoi documenti, lo cacciano via. Oggi però - ricorda Arash - sono in molti in Iran a ricordarsi il suo nome».

Il G8 con il freno tirato: niente condanna a Teheran di Alessandro M. Caprettini

Più che il diritto, poté la Realpolitik. E così, nonostante dichiarazioni verbali ferme nei toni e assicurazioni di non aver ingranato nessuna retromarcia, i ministri degli Esteri del G8 lasciano Trieste siglando un documentino appena allarmato per quanto è accaduto e accade in Iran nel dopo-voto, ma senza metterne in discussione l'esito. Ovvero: un riconoscimento di fatto della nuova presidenza di Mahmoud Ahmadinejad. «È chiaro che le posizioni non erano le stesse... » cercava di giustificare Bernard Kouchner, ministro degli Esteri francese, poco prima che trapelassero i testi messi a punto proprio sulle vicende di Teheran. Era effettivamente già noto che la Russia di Putin aveva storto a lungo il naso sulla possibilità di una dura condanna del regime teocratico - come avrebbero voluto i governi di Parigi, Londra, Berlino e anche Roma - ma non era stato messo in preventivo che alla fine Mosca avrebbe avuto la meglio nel rendere così soft il documento. E infatti nel testo messo a punto, come poi illustrava Frattini al termine della sessione di lavoro, il G8 si limitava ad avanzare la richiesta che le violenze «cessassero immediatamente», aggiungendo un «forte invito a cercare soluzioni pacifiche per la crisi in corso» e notando che i ministri degli Esteri del G8 erano «costernati e addolorati per le vite perdute». Non era un po' pochino? La deplorazione non era riduttiva rispetto alla condanna annunciata? Sempre Frattini lo escludeva seccamente: «Il G8 non ha rinunciato per niente a una propria espressione di forte condanna per la perdita di vite umane e per la repressione in atto». E teneva ad aggiungere: «Non si può ancora considerare chiusa a oggi la partita» sui risultati del voto. «Abbiamo usato un linguaggio chiaro per condannare le limitazioni della libertà» gli faceva eco il tedesco Frank-Walter Steinmeier. «Nessun cambio di linea!» giuravano altresì Kouchner e il britannico Milliband. In realtà i toni erano smorzati, e di parecchio, rispetto alle previsioni. Forse anche perché - al di là del niet russo - è un work in progress quello che si appresta sull'Iran. Intanto c'è da fare i conti con le richiese d'asilo di tanti oppositori che si affacciano nelle ambasciate occidentali a Teheran (Frattini ha confermato il rilascio di 50 visti individuali nei giorni scorsi, lasciando nel vago il resto, ma da fonti consolari sembra che cresca il numero di richieste e di quei 50 visti parecchi sarebbero stati dati a feriti negli scontri); e della questione visti si discuterà nella Ue già quest'oggi a Corfù, nel vertice Ue-Russia e in quello dell'Osce. In secondo luogo i toni non ultimativi si devono forse anche alla necessità di trovare spiragli nella spinosa questione del nucleare dei mullah. Frattini ha fatto sapere a nome del G8 tutto che resta «necessario» trovare una soluzione diplomatica ma che «il tempo non è illimitato». Da quel che è trapelato, gli 8 grandi si sono dati un nuovo appuntamento a New York a settembre (prima della consueta assemblea Onu) e se per quella data Teheran non sarà tornata disponibile ai controlli dell'Aiea si riservano di intervenire con sanzioni ancora più pesanti nei confronti del governo di Ahamadinejad. Morbidi o comunque cauti con gli iraniani, i ministri degli Esteri degli 8 grandi - dopo consulto del "quartetto" sul Medio Oriente guidato da Tony Blair giunto appositamente a Trieste per guidarne i lavori - sono apparsi invece molto più ultimativi con gli israeliani, specie sugli insediamenti dei coloni ultrà su territori palestinesi. Dopo aver chiesto infatti «a entrambe le parti di adempiere ai loro impegni nella Road Map», i ministri degli Esteri reclamano l'immediato «congelamento degli insediamenti, compresi quelli cresciuti naturalmente», nonché la fine della «insostenibile situazione di Gaza» e di atti terroristici. Duro il G8 anche con i nord-coreani, cui si chiede l'immediata cessazione di esperimenti nucleari e missilistici. Mentre sull'Afghanistan si pensa ad una serie di nuovi aiuti economici e militari in attesa del risultato del voto presidenziale di agosto, con i russi che contestano la strategia Nato e si candidano a guidare un nuovo processo di pace.

Teheran, "punire i rivoltosi anche con la morte". E per quanti non avessero ancora capito chi è il "moderato Moussavi", qui c'è un bell'articolo da leggere.

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