Un anno dopo, a pochi chilometri di distanza, sembra di essere in un altro partito, in un’altra politica. In un altro mondo. Se durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, il comizio di Walter Veltroni in piazza Matteotti a Genova aveva segnato il punto più alto nella strada di legittimazione dell’avversario e nel processo di depurazione dall’antiberlusconismo, l’altra notte, a Savona, il comizio di Massimo D’Alema in piazza Sisto IV, segna il punto più basso nel ritorno a ritroso.Persino nella scelta delle parole e nel modo di evitare il nome «Berlusconi» emerge il cambiamento antropologico prima ancora che semantico-linguistico. «Il principale leader dello schieramento politico avverso» schierato wertmullerianamente da Walter per non citare Silvio, spiegando ai suoi che il Pd era un’altra cosa e non viveva sulla contrapposizione, lascia spazio a «Lui». Un «Lui» dalemiano che, stavolta, non si preoccupa affatto di alternarsi con il cognome «Berlusconi», ma soprattutto un «Lui» dove Massimo riesce a dare il massimo del suo sarcasmo persino nella pronuncia delle tre lettere. Con corollari di aggettivi anche per altri esponenti del governo da «quella tristissima signora Gelmini che toglie ai bambini il tempo pieno» a «un cialtrone che fa il ministro dell’Interno che associa le mie parole ai piani eversivi delle Br». Ma sono solo variazioni sul tema. Stilettate ad altre figurine di quello che la piazza vive come il presepe berlusconiano, ma che portano sempre al bersaglio grosso, a «Lui». E infatti, ogni volta che dice «Lui», accompagnando la parola con ampi movimenti della mano (sì, i classici movimenti dalemiani, anch’essi capolavori di sarcasmo cattivo), D’Alema infiamma i suoi. La piazza chiede il sangue e Massimo dà il sangue alla piazza: «Dal consiglio di quartiere al mondo, c’è sempre un solo candidato ed è Lui. Anzi, c’è da stupirsi che non si sia candidato anche a presidente della Provincia di Savona, visto che dalle cronache che leggiamo in questi giorni risulta che Lui ha molto tempo libero». Boato. Oppure, la politica estera. «Berlusconi è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti per bere un caffè, con la necessaria rapidità. Come comprendo Obama...». E via con raffiche di esempi sulle differenze quasi antropologiche fra Silvio e Barack, con schizzi caricaturali: «Pensate alla crisi, le differenze sono visibili da tutti. Obama ha detto “rimbocchiamoci le maniche”, Berlusconi ha detto “bisogna stare allegri”. Non serve altro, diciamo...». Poi, fra una richiesta di tassare di più i ricchi e un’ironia sul taglio dell’Ici («Chi ha una casa lussuosa risparmia tanto, chi ha una casa modesta risparmia poco, chi non ha una casa e vive in affitto non risparmia niente. Altro che Robin Hood, Lui dà di più a quelli che hanno di più»), Massimo sfoggia un altro colpo di sarcasmo della collezione primavera-estate: «Lui prima ha detto che la crisi non c’era, poi ha detto che la crisi non c’è più. Ha saltato un passaggio, diciamo...». Del resto, D’Alema a Savona è alla centoventiduesima piazza e lo show dialettico è rodato. Anche se adattato al luogo. Ad esempio, a Savona, feudo del ministro Scajola, ironizza: «Ai loro candidati non importa essere scelti dagli elettori, ma scelti da Lui, unti dall’unto del Signore. Qui a Savona, poi, occorre fare un passaggio anche a Imperia, siamo all’unto di terzo grado... Spargono una tale quantità di grasso...». Certo, il repertorio è quello che è. Ma - fra una battuta e l’altra, fra un roteare di mani e l’altro - c’è anche la chiave politica per capire la strategia di Massimo prossima ventura. Partendo, ovviamente, sempre da Lui: «Quando giro queste nostre piazze italiane, a volte alzo lo sguardo e vedo sui tetti quei minacciosi ciuffi di antenne e so che Lui da lì entra nelle vostre case. Ma se noi entriamo dal portone, saliamo le scale, bussiamo alle porte, allora vinciamo noi e non Lui». Si sale progressivamente, fino alla confessione che i ballottaggi sono una sorta di arma finale, di «ripresa del cammino», se «domenica e lunedì metteremo un argine». Anche perché si prepara una nuova Unione, con l’Udc dentro: «Questi nuovi apparentamenti segnano la strada di una nuova possibile coalizione e si deve lavorare per questo. Del resto, le opposizioni divise hanno sempre perso, mentre nel 1996, con l’Ulivo unito riuscimmo ad andare al governo. È la politica che fa la differenza». Tradotto: «Se si sommano Udc, Pd, Idv e sinistra radicale, c’è una maggioranza. E già in Parlamento il 95 per cento delle volte votiamo assieme. L’opposizione è una buona scuola, l’opposizione affratella. Dobbiamo ripartire da qui». E ce n’è pure per Veltroni, seppure mai nominato: «Non esiste l’autosufficienza, servono alleanze e serve la politica. Serve un partito che non esista solo la domenica delle primarie, ma anche il lunedì, il martedì, il mercoledì...». Stavolta Lui non c’entra. Ce l’ha con lui.
sabato 20 giugno 2009
Il Lìder maximo
La svolta di D’Alema: dàgli a Berlusconi di Massimiliano Lussana
Un anno dopo, a pochi chilometri di distanza, sembra di essere in un altro partito, in un’altra politica. In un altro mondo. Se durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, il comizio di Walter Veltroni in piazza Matteotti a Genova aveva segnato il punto più alto nella strada di legittimazione dell’avversario e nel processo di depurazione dall’antiberlusconismo, l’altra notte, a Savona, il comizio di Massimo D’Alema in piazza Sisto IV, segna il punto più basso nel ritorno a ritroso.Persino nella scelta delle parole e nel modo di evitare il nome «Berlusconi» emerge il cambiamento antropologico prima ancora che semantico-linguistico. «Il principale leader dello schieramento politico avverso» schierato wertmullerianamente da Walter per non citare Silvio, spiegando ai suoi che il Pd era un’altra cosa e non viveva sulla contrapposizione, lascia spazio a «Lui». Un «Lui» dalemiano che, stavolta, non si preoccupa affatto di alternarsi con il cognome «Berlusconi», ma soprattutto un «Lui» dove Massimo riesce a dare il massimo del suo sarcasmo persino nella pronuncia delle tre lettere. Con corollari di aggettivi anche per altri esponenti del governo da «quella tristissima signora Gelmini che toglie ai bambini il tempo pieno» a «un cialtrone che fa il ministro dell’Interno che associa le mie parole ai piani eversivi delle Br». Ma sono solo variazioni sul tema. Stilettate ad altre figurine di quello che la piazza vive come il presepe berlusconiano, ma che portano sempre al bersaglio grosso, a «Lui». E infatti, ogni volta che dice «Lui», accompagnando la parola con ampi movimenti della mano (sì, i classici movimenti dalemiani, anch’essi capolavori di sarcasmo cattivo), D’Alema infiamma i suoi. La piazza chiede il sangue e Massimo dà il sangue alla piazza: «Dal consiglio di quartiere al mondo, c’è sempre un solo candidato ed è Lui. Anzi, c’è da stupirsi che non si sia candidato anche a presidente della Provincia di Savona, visto che dalle cronache che leggiamo in questi giorni risulta che Lui ha molto tempo libero». Boato. Oppure, la politica estera. «Berlusconi è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti per bere un caffè, con la necessaria rapidità. Come comprendo Obama...». E via con raffiche di esempi sulle differenze quasi antropologiche fra Silvio e Barack, con schizzi caricaturali: «Pensate alla crisi, le differenze sono visibili da tutti. Obama ha detto “rimbocchiamoci le maniche”, Berlusconi ha detto “bisogna stare allegri”. Non serve altro, diciamo...». Poi, fra una richiesta di tassare di più i ricchi e un’ironia sul taglio dell’Ici («Chi ha una casa lussuosa risparmia tanto, chi ha una casa modesta risparmia poco, chi non ha una casa e vive in affitto non risparmia niente. Altro che Robin Hood, Lui dà di più a quelli che hanno di più»), Massimo sfoggia un altro colpo di sarcasmo della collezione primavera-estate: «Lui prima ha detto che la crisi non c’era, poi ha detto che la crisi non c’è più. Ha saltato un passaggio, diciamo...». Del resto, D’Alema a Savona è alla centoventiduesima piazza e lo show dialettico è rodato. Anche se adattato al luogo. Ad esempio, a Savona, feudo del ministro Scajola, ironizza: «Ai loro candidati non importa essere scelti dagli elettori, ma scelti da Lui, unti dall’unto del Signore. Qui a Savona, poi, occorre fare un passaggio anche a Imperia, siamo all’unto di terzo grado... Spargono una tale quantità di grasso...». Certo, il repertorio è quello che è. Ma - fra una battuta e l’altra, fra un roteare di mani e l’altro - c’è anche la chiave politica per capire la strategia di Massimo prossima ventura. Partendo, ovviamente, sempre da Lui: «Quando giro queste nostre piazze italiane, a volte alzo lo sguardo e vedo sui tetti quei minacciosi ciuffi di antenne e so che Lui da lì entra nelle vostre case. Ma se noi entriamo dal portone, saliamo le scale, bussiamo alle porte, allora vinciamo noi e non Lui». Si sale progressivamente, fino alla confessione che i ballottaggi sono una sorta di arma finale, di «ripresa del cammino», se «domenica e lunedì metteremo un argine». Anche perché si prepara una nuova Unione, con l’Udc dentro: «Questi nuovi apparentamenti segnano la strada di una nuova possibile coalizione e si deve lavorare per questo. Del resto, le opposizioni divise hanno sempre perso, mentre nel 1996, con l’Ulivo unito riuscimmo ad andare al governo. È la politica che fa la differenza». Tradotto: «Se si sommano Udc, Pd, Idv e sinistra radicale, c’è una maggioranza. E già in Parlamento il 95 per cento delle volte votiamo assieme. L’opposizione è una buona scuola, l’opposizione affratella. Dobbiamo ripartire da qui». E ce n’è pure per Veltroni, seppure mai nominato: «Non esiste l’autosufficienza, servono alleanze e serve la politica. Serve un partito che non esista solo la domenica delle primarie, ma anche il lunedì, il martedì, il mercoledì...». Stavolta Lui non c’entra. Ce l’ha con lui.
Un anno dopo, a pochi chilometri di distanza, sembra di essere in un altro partito, in un’altra politica. In un altro mondo. Se durante la campagna elettorale per le elezioni politiche, il comizio di Walter Veltroni in piazza Matteotti a Genova aveva segnato il punto più alto nella strada di legittimazione dell’avversario e nel processo di depurazione dall’antiberlusconismo, l’altra notte, a Savona, il comizio di Massimo D’Alema in piazza Sisto IV, segna il punto più basso nel ritorno a ritroso.Persino nella scelta delle parole e nel modo di evitare il nome «Berlusconi» emerge il cambiamento antropologico prima ancora che semantico-linguistico. «Il principale leader dello schieramento politico avverso» schierato wertmullerianamente da Walter per non citare Silvio, spiegando ai suoi che il Pd era un’altra cosa e non viveva sulla contrapposizione, lascia spazio a «Lui». Un «Lui» dalemiano che, stavolta, non si preoccupa affatto di alternarsi con il cognome «Berlusconi», ma soprattutto un «Lui» dove Massimo riesce a dare il massimo del suo sarcasmo persino nella pronuncia delle tre lettere. Con corollari di aggettivi anche per altri esponenti del governo da «quella tristissima signora Gelmini che toglie ai bambini il tempo pieno» a «un cialtrone che fa il ministro dell’Interno che associa le mie parole ai piani eversivi delle Br». Ma sono solo variazioni sul tema. Stilettate ad altre figurine di quello che la piazza vive come il presepe berlusconiano, ma che portano sempre al bersaglio grosso, a «Lui». E infatti, ogni volta che dice «Lui», accompagnando la parola con ampi movimenti della mano (sì, i classici movimenti dalemiani, anch’essi capolavori di sarcasmo cattivo), D’Alema infiamma i suoi. La piazza chiede il sangue e Massimo dà il sangue alla piazza: «Dal consiglio di quartiere al mondo, c’è sempre un solo candidato ed è Lui. Anzi, c’è da stupirsi che non si sia candidato anche a presidente della Provincia di Savona, visto che dalle cronache che leggiamo in questi giorni risulta che Lui ha molto tempo libero». Boato. Oppure, la politica estera. «Berlusconi è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente degli Stati Uniti per bere un caffè, con la necessaria rapidità. Come comprendo Obama...». E via con raffiche di esempi sulle differenze quasi antropologiche fra Silvio e Barack, con schizzi caricaturali: «Pensate alla crisi, le differenze sono visibili da tutti. Obama ha detto “rimbocchiamoci le maniche”, Berlusconi ha detto “bisogna stare allegri”. Non serve altro, diciamo...». Poi, fra una richiesta di tassare di più i ricchi e un’ironia sul taglio dell’Ici («Chi ha una casa lussuosa risparmia tanto, chi ha una casa modesta risparmia poco, chi non ha una casa e vive in affitto non risparmia niente. Altro che Robin Hood, Lui dà di più a quelli che hanno di più»), Massimo sfoggia un altro colpo di sarcasmo della collezione primavera-estate: «Lui prima ha detto che la crisi non c’era, poi ha detto che la crisi non c’è più. Ha saltato un passaggio, diciamo...». Del resto, D’Alema a Savona è alla centoventiduesima piazza e lo show dialettico è rodato. Anche se adattato al luogo. Ad esempio, a Savona, feudo del ministro Scajola, ironizza: «Ai loro candidati non importa essere scelti dagli elettori, ma scelti da Lui, unti dall’unto del Signore. Qui a Savona, poi, occorre fare un passaggio anche a Imperia, siamo all’unto di terzo grado... Spargono una tale quantità di grasso...». Certo, il repertorio è quello che è. Ma - fra una battuta e l’altra, fra un roteare di mani e l’altro - c’è anche la chiave politica per capire la strategia di Massimo prossima ventura. Partendo, ovviamente, sempre da Lui: «Quando giro queste nostre piazze italiane, a volte alzo lo sguardo e vedo sui tetti quei minacciosi ciuffi di antenne e so che Lui da lì entra nelle vostre case. Ma se noi entriamo dal portone, saliamo le scale, bussiamo alle porte, allora vinciamo noi e non Lui». Si sale progressivamente, fino alla confessione che i ballottaggi sono una sorta di arma finale, di «ripresa del cammino», se «domenica e lunedì metteremo un argine». Anche perché si prepara una nuova Unione, con l’Udc dentro: «Questi nuovi apparentamenti segnano la strada di una nuova possibile coalizione e si deve lavorare per questo. Del resto, le opposizioni divise hanno sempre perso, mentre nel 1996, con l’Ulivo unito riuscimmo ad andare al governo. È la politica che fa la differenza». Tradotto: «Se si sommano Udc, Pd, Idv e sinistra radicale, c’è una maggioranza. E già in Parlamento il 95 per cento delle volte votiamo assieme. L’opposizione è una buona scuola, l’opposizione affratella. Dobbiamo ripartire da qui». E ce n’è pure per Veltroni, seppure mai nominato: «Non esiste l’autosufficienza, servono alleanze e serve la politica. Serve un partito che non esista solo la domenica delle primarie, ma anche il lunedì, il martedì, il mercoledì...». Stavolta Lui non c’entra. Ce l’ha con lui.
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