Obama di qui, Obama di là e poi ti ritrovi, col megafono alla bocca, Oreste Scalzone. Cioè quanto ci sia, sul mercato delle idee, di più intellettualmente e culturalmente sclerotico. Anticaglia. E l’altro, Adriano Sofri, che ha smesso di scendere in piazza per accomodarsi in cattedra. E da lì tenere lezioni considerandosi, assieme al compagno Oreste, un maestro di vita. Il primo era ieri alla testa della processione dei ragazzotti dei centri sociali che sono andati a zonzo per Milano sbraitando e imbrattando qualche muro. Il secondo si concedeva a Mirella Serri della Stampa raccontandole dei suoi ticchi letterari e indicando nel dolce stil novo il canone per le future rivoluzioni. Entrambi, sopravvissuti a se stessi, non hanno intenzione di mollare, di smetterla di ritenersi il sale della terra. E di fare, ciascuno a modo proprio, del moralismo canaglia. Il compagno Oreste arringava ieri lo sparuto drappello degli «antagonisti» spiegando loro che lo sciopero è «elemento di dinamismo e di umanità». Pertanto, lotta dura. L’abate Sofri, evidentemente a secco di idee, erudiva spiegando che fra i «pellegrini» - così egli chiama i clandestini, pellegrini - che sbarcano a Lampedusa ci potrebbe essere, ma guarda un po’ quando si dice il caso, «il padre del presidente degli Stati Uniti» (se viene a saperlo il babbo di Obama, sbarcato negli Stati Uniti con regolare visto per seguire i corsi alla Columbia University, gli tira il collo, a Sofri). «Contro le logiche securitarie», questa la ragione della mobilitazione milanese dei quattro gatti dei centri sociali. Scalzone, di logiche securitarie è maestro. Condannato a sedici anni, reso temporaneamente libero per motivi di salute, mostrò invece d’esser sano come un pesce tanto da squagliarsela a Parigi soggiornandovi da latitante fino alla prescrizione della pena. Ovvio che abbia condiviso gli slogan - e le scritte - «Abbasso gli sbirri» e «Nassirya festa nazionale». L’odio per la polizia - gli sbirri - è connaturato in chi abbia la naturale inclinazionea violare la legge. E poi fa tanto Sessantotto, che Scalzone cavalcò da leader e che i pischelli del «Conchetta» vagheggiano come a un amore mancato causa anagrafe. Ma che i diciannove soldati italiani morti per mano di un kamikaze islamico debbano rappresentare un’occasione per festeggiare, meglio se tutti insieme, è una rivendicazione torva, marcia come marcia è la testa dei piccoli teppisti «antagonisti» e del loro livoroso maestro Scalzone. Anche in Sofri spumeggia il livore e il disprezzo, ma da smaliziato moralista dissimula la sua natura coi baffi ela barba finta del mite e saggio buonuomo: «Fui un bravo lettore del libro Cuore», confessava a Mirella Serri (zitta e, probabilmente, soggiogata). «Se i tempi si fossero prestati, sarei stato un buon tamburino sardo, o una piccola vedetta lombarda». Le solite smorfiose melensaggini di uno che vuol far dimenticare d’esser stato condannato a 22 anni di galera per concorso morale - mandante - nell’omicidio Calabresi. Altro che tamburino sardo. Eppure l’uno el’altro dovrebbero essere grati a questo Stato e a questa società talmente tollerante e paziente da consentire loro di professare uno sgangherato reducismo (Scalzone) e di sermoneggiare alluvionandola con ipocriti perbenismi (Sofri). Lasciando, nel contempo, che assumano sempre più i tratti di quel Shoichi Yokoi, l’ultimo dei giapponesi ad essersi «arreso» dopo aver trascorso trent’anni in armi nella giungla di Guam perché non sapeva che la guerra era finita. L’ultimo, e il più fesso.
domenica 1 marzo 2009
Vergogne italiane, gli imbecilli
Sofri e Scalzone cattivi maestri in cattedra di Paolo Granzotto
Obama di qui, Obama di là e poi ti ritrovi, col megafono alla bocca, Oreste Scalzone. Cioè quanto ci sia, sul mercato delle idee, di più intellettualmente e culturalmente sclerotico. Anticaglia. E l’altro, Adriano Sofri, che ha smesso di scendere in piazza per accomodarsi in cattedra. E da lì tenere lezioni considerandosi, assieme al compagno Oreste, un maestro di vita. Il primo era ieri alla testa della processione dei ragazzotti dei centri sociali che sono andati a zonzo per Milano sbraitando e imbrattando qualche muro. Il secondo si concedeva a Mirella Serri della Stampa raccontandole dei suoi ticchi letterari e indicando nel dolce stil novo il canone per le future rivoluzioni. Entrambi, sopravvissuti a se stessi, non hanno intenzione di mollare, di smetterla di ritenersi il sale della terra. E di fare, ciascuno a modo proprio, del moralismo canaglia. Il compagno Oreste arringava ieri lo sparuto drappello degli «antagonisti» spiegando loro che lo sciopero è «elemento di dinamismo e di umanità». Pertanto, lotta dura. L’abate Sofri, evidentemente a secco di idee, erudiva spiegando che fra i «pellegrini» - così egli chiama i clandestini, pellegrini - che sbarcano a Lampedusa ci potrebbe essere, ma guarda un po’ quando si dice il caso, «il padre del presidente degli Stati Uniti» (se viene a saperlo il babbo di Obama, sbarcato negli Stati Uniti con regolare visto per seguire i corsi alla Columbia University, gli tira il collo, a Sofri). «Contro le logiche securitarie», questa la ragione della mobilitazione milanese dei quattro gatti dei centri sociali. Scalzone, di logiche securitarie è maestro. Condannato a sedici anni, reso temporaneamente libero per motivi di salute, mostrò invece d’esser sano come un pesce tanto da squagliarsela a Parigi soggiornandovi da latitante fino alla prescrizione della pena. Ovvio che abbia condiviso gli slogan - e le scritte - «Abbasso gli sbirri» e «Nassirya festa nazionale». L’odio per la polizia - gli sbirri - è connaturato in chi abbia la naturale inclinazionea violare la legge. E poi fa tanto Sessantotto, che Scalzone cavalcò da leader e che i pischelli del «Conchetta» vagheggiano come a un amore mancato causa anagrafe. Ma che i diciannove soldati italiani morti per mano di un kamikaze islamico debbano rappresentare un’occasione per festeggiare, meglio se tutti insieme, è una rivendicazione torva, marcia come marcia è la testa dei piccoli teppisti «antagonisti» e del loro livoroso maestro Scalzone. Anche in Sofri spumeggia il livore e il disprezzo, ma da smaliziato moralista dissimula la sua natura coi baffi ela barba finta del mite e saggio buonuomo: «Fui un bravo lettore del libro Cuore», confessava a Mirella Serri (zitta e, probabilmente, soggiogata). «Se i tempi si fossero prestati, sarei stato un buon tamburino sardo, o una piccola vedetta lombarda». Le solite smorfiose melensaggini di uno che vuol far dimenticare d’esser stato condannato a 22 anni di galera per concorso morale - mandante - nell’omicidio Calabresi. Altro che tamburino sardo. Eppure l’uno el’altro dovrebbero essere grati a questo Stato e a questa società talmente tollerante e paziente da consentire loro di professare uno sgangherato reducismo (Scalzone) e di sermoneggiare alluvionandola con ipocriti perbenismi (Sofri). Lasciando, nel contempo, che assumano sempre più i tratti di quel Shoichi Yokoi, l’ultimo dei giapponesi ad essersi «arreso» dopo aver trascorso trent’anni in armi nella giungla di Guam perché non sapeva che la guerra era finita. L’ultimo, e il più fesso.
Obama di qui, Obama di là e poi ti ritrovi, col megafono alla bocca, Oreste Scalzone. Cioè quanto ci sia, sul mercato delle idee, di più intellettualmente e culturalmente sclerotico. Anticaglia. E l’altro, Adriano Sofri, che ha smesso di scendere in piazza per accomodarsi in cattedra. E da lì tenere lezioni considerandosi, assieme al compagno Oreste, un maestro di vita. Il primo era ieri alla testa della processione dei ragazzotti dei centri sociali che sono andati a zonzo per Milano sbraitando e imbrattando qualche muro. Il secondo si concedeva a Mirella Serri della Stampa raccontandole dei suoi ticchi letterari e indicando nel dolce stil novo il canone per le future rivoluzioni. Entrambi, sopravvissuti a se stessi, non hanno intenzione di mollare, di smetterla di ritenersi il sale della terra. E di fare, ciascuno a modo proprio, del moralismo canaglia. Il compagno Oreste arringava ieri lo sparuto drappello degli «antagonisti» spiegando loro che lo sciopero è «elemento di dinamismo e di umanità». Pertanto, lotta dura. L’abate Sofri, evidentemente a secco di idee, erudiva spiegando che fra i «pellegrini» - così egli chiama i clandestini, pellegrini - che sbarcano a Lampedusa ci potrebbe essere, ma guarda un po’ quando si dice il caso, «il padre del presidente degli Stati Uniti» (se viene a saperlo il babbo di Obama, sbarcato negli Stati Uniti con regolare visto per seguire i corsi alla Columbia University, gli tira il collo, a Sofri). «Contro le logiche securitarie», questa la ragione della mobilitazione milanese dei quattro gatti dei centri sociali. Scalzone, di logiche securitarie è maestro. Condannato a sedici anni, reso temporaneamente libero per motivi di salute, mostrò invece d’esser sano come un pesce tanto da squagliarsela a Parigi soggiornandovi da latitante fino alla prescrizione della pena. Ovvio che abbia condiviso gli slogan - e le scritte - «Abbasso gli sbirri» e «Nassirya festa nazionale». L’odio per la polizia - gli sbirri - è connaturato in chi abbia la naturale inclinazionea violare la legge. E poi fa tanto Sessantotto, che Scalzone cavalcò da leader e che i pischelli del «Conchetta» vagheggiano come a un amore mancato causa anagrafe. Ma che i diciannove soldati italiani morti per mano di un kamikaze islamico debbano rappresentare un’occasione per festeggiare, meglio se tutti insieme, è una rivendicazione torva, marcia come marcia è la testa dei piccoli teppisti «antagonisti» e del loro livoroso maestro Scalzone. Anche in Sofri spumeggia il livore e il disprezzo, ma da smaliziato moralista dissimula la sua natura coi baffi ela barba finta del mite e saggio buonuomo: «Fui un bravo lettore del libro Cuore», confessava a Mirella Serri (zitta e, probabilmente, soggiogata). «Se i tempi si fossero prestati, sarei stato un buon tamburino sardo, o una piccola vedetta lombarda». Le solite smorfiose melensaggini di uno che vuol far dimenticare d’esser stato condannato a 22 anni di galera per concorso morale - mandante - nell’omicidio Calabresi. Altro che tamburino sardo. Eppure l’uno el’altro dovrebbero essere grati a questo Stato e a questa società talmente tollerante e paziente da consentire loro di professare uno sgangherato reducismo (Scalzone) e di sermoneggiare alluvionandola con ipocriti perbenismi (Sofri). Lasciando, nel contempo, che assumano sempre più i tratti di quel Shoichi Yokoi, l’ultimo dei giapponesi ad essersi «arreso» dopo aver trascorso trent’anni in armi nella giungla di Guam perché non sapeva che la guerra era finita. L’ultimo, e il più fesso.
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5 commenti:
Ma Adriano Sofri non dovrebbe essere moribondo da 4 anni ?
Per tale motivo non ha scontato tutti i 22 anni di galera cui è stato condannato !
Si, dicevano che stava per morire, ma accidenti, una volta uscito di carcere s'è ringalluzzito. O meglio, ha ritirato fuori la bestia che è dentro di se.
Ma perchè questi personaggi non incontrano mai sulla loro strada qualcuno di quegli extracomunitari che tanto adorano? Ad esempio un galantuomo rumeno, fresco della bevuta etnica, a 100km/h in contromano in piena zona residenziale. Sofri: possibile che non abbia mai da attraversare la strada mentre il ciausco etilico di turno si prepara alla mietitura quotidiana?
Il problema è che, anche se per grazia divina li incontrano, vedi Tornatore rapinato e pestato dai romeni nell'estate del 2007... poi li difendono lo stesso!!!
«Parole come "tolleranza zero", in bocca a uomini di sinistra, proprio non mi piacciono. Perché sottendono una cultura che non ci appartiene: fare di ogni erba un fascio, equiparare un lavavetri a un malfattore, guardare a ogni immigrato come a un perditempo che se va bene ci innervosisce se va male ci deruba. E considerare i romeni tutti delinquenti solo perché due di loro ti hanno fatto del male»
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C'E' POCO DA FARE, SONO PROPRIO MALATI NEL CERVELLO...
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