giovedì 20 maggio 2010

La vittima

Piange, poverino, ma intanto si becca un bel pacco di soldi pubblici per le sue consulenze esterne. Ed è già la seconda volta che fa la vittima... ampiamente risarcita.


ROMA — «Ragazzi, non potevo continuare a lavorare accerchiato come il generale Custer. Non si può vivere bene in un’azienda che ti considera un nemico interno. Se digito il mio nome sulla banca dati Rai esce fuori l’espressione "in causa"». Michele Santoro, il giorno dopo. È ieri mattina, mercoledì, quando si fa il punto in vista della serata di oggi su Raidue e si esaminano tutti i dettagli di «Annozero». L’atmosfera è tesa. Santoro spiega le sue ragioni. A farlo decidere definitivamente per la fine del suo rapporto con la Rai, racconta, è stata la decisione dell’azienda di ricorrere in Cassazione contro la famosa sentenza con cui il 26 gennaio 2005 il giudice del lavoro obbligava la tv pubblica e restituire al conduttore un programma di prima serata (sentenza poi confermata successivamente). Santoro butta lì: «Scelta condivisa da tutti. La sinistra nel Consiglio Rai non si è opposta... E nemmeno il presidente Paolo Garimberti...».

Quando dice «azienda» indica tutti, inclusi i consiglieri di area pd e il presidente di garanzia. Ragionamento di Santoro: «Annozero» va benissimo, l’ascolto quest’anno supera largamente il 20,3%, ci sono state punte del 30%, la trasmissione viene considerata merce pregiata dalla Sipra, cioè la concessionaria della pubblicità Rai, perché la prima serata di Raidue raramente supera il 10-12%. Una prova? Chiede retoricamente Santoro. Lui la fornisce subito. La stagione è cominciata con due blocchi di pubblicità, adesso siamo a quattro: in un periodo in cui la pubblicità latita ovunque, insiste Santoro, è la riprova che «Annozero» funziona bene. Quanto? L’azienda non svela cifre. Ma i Centri Media calcolano che ogni puntata di «Annozero» vale sui 350.000 euro (1 milione e 200.000 euro al mese). E che di questi 350.000, circa 100.000 sono ascrivibili al valore aggiunto di «Annozero» poiché Raidue venderebbe comunque due spot in prima serata. In quanto al quarto, c’è chi in azienda fa notare come il conduttore di «Annozero» calcoli anche quello di coda. Che tecnicamente non «apparterrebbe» a lui. Torniamo a Santoro. E allora? «Allora, invece di avere appoggio, aiuti, sostegno dai vertici Rai ti arriva il ricorso in Cassazione. Io mi sarei aspettato ben altro. Cioè la proposta di trovare un accordo e chiudere il contenzioso giudiziario, dopo un’annata così. Al contrario, dovrei aspettare altri tre anni...». Cioè almeno altri tre anni di una nuova causa in attesa della sentenza: «Come posso lavorare così?».

Tre anni in cui, ha confidato Michele ai suoi, la Rai avrebbe «continuato a farmi oggetto di mobbing. Altri tre anni di immobilità professionale». Meglio altre avventure. Meglio docu-fiction da sperimentare. Meglio proseguire nel solco di «Rai per una notte» e vedere se esiste uno spazio alternativo, tra web e satellite, alla tv generalista. E i soldi? E l’accordo milionario? Santoro ricorda di avere un contratto da direttore, di avere altri sei anni di Rai davanti a sé, di aver chiuso con uno scivolo di tre anni di retribuzione «così come avviene con i dipendenti che raggiungono certi accordi». Vespa (che non consegna «Porta a porta» chiavi in mano, come avverrà con le docu-fiction di Santoro, ma ha solo un contratto di collaborazione) ridacchia: «E dire che io, nel 2001, dopo 39 anni di azienda, ebbi una liquidazione di 300 milioni, pari a 150.000 euro di oggi...».

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