sabato 29 maggio 2010
Rapine autorizzate
Privilegi: 200milioni per 2000 ex parlamentari di Antonio Signorini
Roma - Hanno persino un’organizzazione che assomiglia a un sindacato e si chiama Associazione ex parlamentari. Ma fare lobby non sembra servirgli molto, se è vero che di finestre chiuse e di pensioni calcolate sulla base dei contributi, non ne hanno viste. Gli ex parlamentari vivono ancora nell’età d’oro del sistema retributivo. Certo, ci sono state tre riforme che hanno messo un freno a situazioni limite, ma i privilegi sono intatti. Si capisce scorrendo le liste delle pensioni e dei relativi anni di contribuzione (quella che pubblichiamo sotto fotografa la situazione del 2007 e ne conta 2.238). Ma si capisce anche dai bilanci di Montecitorio e Palazzo Madama.
Nel 2008 la Camera ha speso 138 milioni e 200mila euro per gli «assegni vitalizi» a fronte di entrate contributive, pagate con le trattenute sugli stipendi dei parlamentari, di 10 milioni e 485mila euro. Uno sbilancio che metterebbe ko qualunque gestione previdenziale e, se proiettato all’economia di un paese, farebbe sembrare i conti greci virtuosi come quelli del Lussemburgo. Situazione simile al Senato, dove tra ritenute e cifre versate volontariamente per i riscatti, le entrate previdenziali sono di 5 milioni e 140mila, mentre per gli assegni vitalizi e per le reversibilità si spendono in tutto 81 milioni di euro. In tutto gli ex parlamentari valgono una posta di bilancio da 219 milioni di euro. Un giusto riconoscimento per chi ha dedicato la vita a una nobile attività, si dirà. Ma non si capisce perché la rendita da ex parlamentare, si cumuli con altri redditi da pensione (da un paio di anni non è possibile sommare l’assegno con compensi per cariche pubbliche) e non si debba semplicemente considerare il mandato come un periodo contributivo da cumulare con gli altri.
Che si tratti di un privilegio è dimostrato dal fatto che, a partire dagli anni Novanta, la normativa è stata cambiata tre volte. Prima, in caso di elezioni anticipate, era possibile pagare volontariamente i contributi per gli anni restanti al compimento di una legislatura e incassare la rendita già a 50 anni
Oggi i deputati versano un migliaio di euro al mese e incassano a 65 anni o a 60 se hanno svolto più legislature. L'importo dell'assegno varia da un minimo di circa 3.000 euro lordi a 9.000. E non si può più riscattare una legislatura a metà. Ma ne hanno fatto le spese solo i pochissimi neoeletti della scorsa legislatura non confermati. Rimane a pesare sul bilancio l’esercito di quelli che hanno maturato il diritto con le vecchie regole. Casi che hanno fatto storia, come Toni Negri, ex leader di Autonomia operaia, che i radicali misero in lista per sottrarlo al carcere. L’Aula la vide pochissimo. Si diede latitante, ma non ha mai rinunciato al vitalizio «minimo». Altri quattro radicali (Angelo Pezzana, Piero Graveri, Luca Boneschi e René Andreani), riuscirono a conquistare la rendita con un giorno a palazzo e il resto coperto con contributi volontari. Ma c’è anche Paolo Prodi, fratello di Romano che subentrò a Carlo Palermo, fece 5 mesi da deputato. Oggi, anche lui, è titolare di una pensione da ex rappresentante del popolo.
Stesso argomento: gli stipendi d'oro che le toghe non mollano.
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