domenica 9 maggio 2010

Roberto Maroni


ROMA — Di sabato Roberto Maroni è a casa, a Varese, anche per festeggiare San Vittore martire, il patrono della città: «Era un guerriero proveniente dalla Mauritania, un extracomunitario, convertito al cristianesimo, che arrivò qui e fu trucidato dai romani. Ma vendette cara la pelle...», racconta il ministro dell’Interno dopo aver ricevuto il premio «Girometta d’oro» che lo riporta agli anni in cui lui, da consigliere comunale dell’opposizione, muoveva i primi passi in politica.

Oggi, però, quell’immigrato della Mauritania avrebbe seri problemi a prendere il passaporto italiano. Per questo, ministro, siamo allo scontro sulla cittadinanza breve con i finiani che accusano la Lega di sparare «balle demagogiche a buon mercato». «Non c’è nessun duello. Ci sono due visioni diverse del problema. Il nodo non sono i 5 anni in più o i 5 anni in meno per l’acquisizione della cittadinanza. Questo è un falso problema tant’è vero che il ministro leghista dell’Interno, contrario a ridurre i tempi da 10 a 5 anni, nel 2009 ha il record di richieste evase positivamente rispetto a tutti gli anni precedenti: 42 mila nel 2009, 40 mila nel 2008, 37 mila nel 2007. E questo grazie a procedure più snelle».

Perché, allora, la Lega sta "sabotando" la proposta bipartisan Granata (Pdl)-Sarubbi (Pd) che mira a dimezzare l’attesa per la cittadinanza? «Il problema è il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli. La cittadinanza non si può acquisire solo per il fatto di essere nati in Italia anche perché — con la crisi economica, il terrorismo internazionale e le pressioni migratorie così forti — qualcuno mi spieghi perché dovremmo spingere su questo tasto che non è una priorità».

Quindi, par di capire che finché al Viminale ci sarà un ministro della Lega è inutile parlare di jus soli? «Questa dello ius soli è una campagna demagogica perché non si hanno argomenti per contrastare le politiche del governo che stanno dando buoni risultati anche in tema di integrazione».

Oltre allo slittamento del fronte dell’immigrazione sulla costa libica, può indicare altri risultati ottenuti? «E’ crollato il numero dei minori non accompagnati sbarcati e questo ha permesso ai comuni di utilizzare in altro modo le risorse per l’integrazione. Su questo inviterei chi definisce noi della Lega come dei cinici buzzurri a leggersi una ricerca della Bocconi, curata dal professor Tito Boeri, dalla quale emerge un dato interessante sulle città che integrano di più gli stranieri: al primo posto, sorpresa, c’è Verona (amministrata dal leghista Tosi, ndr) che ha applicato politiche di rigore nei confronti dei clandestini ma anche di disponibilità sul tema della cittadinanza».

Per un immigrato regolare, dunque, è più vantaggioso vivere in un comune amministrato dalla Lega? «Nella gestione del territorio, là dove noi ci siamo e dove sono assenti molti di quelli che parlano a Roma, i sindaci della Lega hanno sviluppato un sistema di eccellenza nell’integrazione. A Verona, il sindaco ha fatto sparire i vu cumprà dalle strade e ha stroncato le occupazioni abusive delle case. Per questo, i regolari si sentono più sicuri».

Non accettereste neanche una via di mezzo: niente jus soli per far passare la cittadinanza dopo 5 anni? «Questo nel programma di governo non c’è. Le priorità sono altre: la crisi economica, il contrasto alla mafia, l’aiuto ai sindaci e il federalismo fiscale».

A proposito di federalismo fiscale, non è che la crisi dell’euro rischia di far svanire il vostro sogno? «Sarebbe una tragedia. Però io dico che la via maestra per rientrare dal debito pubblico e per migliorare i conti è quella del federalismo fiscale. Per cui questa crisi dell’euro sarà un acceleratore per l’attuazione del federalismo».

La manovra correttiva è in arrivo? «Non ci sono notizie. L’altra sera sono stato a cena con Bossi e con Tremonti ma non ne abbiamo parlato».

Se i finiani insistono sulla cittadinanza, la Lega fa il controcanto sul ddl Alfano che prevede gli arresti domiciliari per circa diecimila carcerati. «Né controcanti né imboscate della Lega. Io so solo che noi siamo coerenti a differenza di altri che cambiano idea».

Gianfranco Fini è sponsor autorevole della cittadinanza. «Fini disse queste cose già 10 anni fa. Non le condivido. Ma riconosco la sua coerenza».

Sul ddl carceri, però, lei si è rimangiato il voto favorevole espresso in consiglio dei ministri? «L’ho votato quel ddl perché sul principio della riabilitazione del condannato siamo tutti d’accordo. Poi, però, i responsabili della polizia hanno fatto le verifiche e si sono allarmati. Uscirebbero 10.500 detenuti che, aggiunti agli attuali 3.500, porterebbero la quota dei domiciliari a 14 mila. Il che significa riorganizzare il sistema di controllo con un impiego notevole di uomini e mezzi. La Lega presenterà un emendamento alla Camera per chiedere l’assunzione di un contingente straordinario di poliziotti per effettuare i controlli sui domiciliari. Ho bisogno di più uomini e di più volanti, altrimenti non se ne fa niente. Inoltre, se si tratta di 2000-3000 detenuti si può ragionare ma chi ha condanne brevi per reati di grave allarme sociale non può cavarsela senza un giorno di carcere. Se ne è parlato in consiglio dei ministri: le nostre ragioni le ha esposte Calderoli. So che Berlusconi ha riconosciuto l’esigenza di una correzione».

Dino Martirano

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