domenica 16 maggio 2010

Il declino dell'onu


Quand’è che l’implausibile comportamento dell’Onu renderà impraticabile la sua stessa esistenza nella forma attuale? È il caso di chiederselo di nuovo, a così pochi giorni dall’immissione dell’Iran nel Csw, la Commission for the Status of Women, ovvero il suo maggiore organismo per la condizione femminile, perché siamo di fronte a un altro evento incredibile, se non nella logica «onusiana». Infatti lo Hrc, il Consiglio per i diritti umani, ha felicemente accettato che ne siano parte a gestire i temi del diritto di ogni uomo alla libertà e alla giustizia la Libia, l’Angola, la Malesia, il Qatar, l’Uganda. Non sarebbe stato impossibile impedire l’ennesimo paradosso, se l’opposizione avesse avuto meno di 97 voti, ovvero anche un voto meno della maggioranza dei membri dell’Assemblea. Ma l’Organizzazione della Conferenza Islamica (Oic) ha il 70 per cento dei voti nei gruppi africano e asiatico e insieme ai Paesi non allineati che ancora esistono nonostante la supposta fine della Guerra Fredda raggiungono facili vittorie e in pratica determinano tutta la politica del Consiglio dei Diritti umani.

Ci se la sarebbe potuta fare se a qualcuno fosse stato a cuore la credibilità dell’Onu, se gli Usa si fossero impegnati perché il Consiglio non diventasse solo uno scherzo. I diritti umani dopo tutto sono una fissazione mondiale che va dalle regole per gli immigrati, alle code dei cani (i diritti animali sono senz’altro una frontiera importante) all’abolizione delle croci nelle aule, al burka inteso come diritto (lo disse il presidente della commissione per i diritti umani del Consiglio d’Europa). Ma nel consiglio ci sono anche l’Arabia Saudita, la Cina, Cuba. E l’ambasciatrice all’Onu Susan Rice ha evitato di essere in aula al momento dell’annuncio, ai giornalisti che le chiedevano informazioni ha detto semplicemente che non voleva fare nomi e che il risultato in vista, tuttavia, era «un buon riflesso del potenziale dell’Hrc. Una posizione che fa pensare che per l’amministrazione Obama la questione della libertà nel mondo sia sacrificabile ai progetti di denuclearizzazione e a un disegno di appeasement col mondo islamico che nelle intenzioni dell’Amministrazione vorrebbe piegare le aspirazioni nucleari l’Iran col consenso del mondo musulmano.

Eppure furono proprio gli Usa che nel 2006 stabilirono che era venuto il momento di ricostruire da zero il Consiglio, che prima si chiamava Commissione per i Diritti Umani, perché la sua funzione era diventare ridicola come ammise anche Kofi Hannan, una specie di macchina per risoluzioni antisraeliane mentre i peggiori dittatori non venivano mai messi in questione. Purtroppo le cose non sono cambiate, se non per lievi ritocchi formali. George W. Bush chiese allora, seguito solo a Israele, che per accedere al Consiglio si dovessero presentare determinate credenziali nel campo del rispetto della persona. Macché. La forza dei Paesi dittatoriali è troppo forte. Tutto quello che gli Usa che entrarono in Consiglio riuscirono a ottenere fu che ogni Stato che si candida debba presentare una dichiarazione. Così abbiamo adesso quella della Libia che dichiara che la Jamahiriya Araba è impegnata nella protezione e promozione dei diritti umani, a migliorare le prigioni, a garantire la neutralità dei giudici. E aggiunge che la legge per le prigioni è fra le più moderne del mondo e che alle donne e ai bambini viene garantita grande attenzione. La verità com’è noto è ben diversa: i giudici subiscono grandi interferenze, il sistema pratica tortura, amputazioni e frustate, le donne violentate possono restare indefinitamente in prigione per violazione del codice morale. L’Angola che pratica la minaccia e l’arresto dei dissidenti e delle Ong, l’Uganda che pratica la tortura e repressione della libertà d’opinione, il Qatar che ha 80 condannati a morte e pratica un potere indiscutibile, la Malesia che arresta e punisce terribilmente chi devia dalla «retta via» della sharia, sappiamo che sarà ben difficile che proteggano i diritti umani nel mondo. L’Onu tramonta velocemente, ed è ora di affrontare il problema del potere delle democrazie, che declina mentre ci riempiamo la bocca di giustizia e libertà.

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