sabato 8 maggio 2010

Essere madri nell'IDV


Quando, l’anno scorso, quell’invasata di Dior dell’ex ministro della Giustizia francese, Rachida Dati, era tornata a lavorare dopo cinque giorni dal suo misterioso parto (cioè, il parto non aveva niente di misterioso, era la paternità della bambina a essere misteriosa), l’opinione pubblica si era scandalizzata. Quando la signora del calcio italiano, Ilaria D’Amico, un mesetto fa, ha rilasciato un’intervista in cui spiegava che era costretta a rientrare dopo un solo mese dalla nascita della sua creatura (cioè, veramente lei aveva usato il termine creatura per parlare del suo programma Exit), per non perdere il lavoro, apriti cielo. E quando, dieci giorni dopo aver dato alla luce Emma Wanda, il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha ripreso il suo posto spiegando «il congedo per maternità è un privilegio», anche lì la gente non l’ha presa bene.

’Ste Stachanov in gonnella che pensano che i figli si svezzino licenziando la balia... Le solite valchirie ingorde che non hanno ancora finito di bisticciare coi ruoli, una pletora di signore in montata di testosterone... Robe gentili così, hanno pensato in molti. Poi viene fuori che a Bologna, nel partito di Antonio Di Pietro, un’assessora è stata fatta fuori perché «non avrebbe avuto il tempo di seguire tutte le deleghe, è anche mamma...». La taglia-madre è donna pure lei, si chiama Silvana Mura ed è il braccio destro dell’ex magistrato in quella Provincia. Il partito si chiama Italia dei Valori ma bisognerebbe intendersi sui valori.

Sfoderando uno dei soliti termini dalla sua scarna cornucopia lessicale, Di Pietro, fiondatosi a Bologna nel tentativo di gestire la situazione, si è giustificato dall’accusa di maschilismo con un «che c’azzecca?». E le proteste, ovviamente, non si sono placate. Oltretutto la scaricata Maura Pozzati (al suo posto hanno messo il coordinatore del partito, Giuseppe De Biasi) ha risposto pubblicamente alla Mura: «Ero mamma anche quando ho dato il mio curriculum per entrare in giunta, si rischia di far passare il messaggio che essere mamma sia un disvalore. È stata una violenza, un metodo che non veniva usato nemmeno nel vecchio Pci. Hanno deciso di segarmi». A far problema, in effetti, è quell’eccesso di motivazione, quella frasetta aggiunta dopo «le deleghe» che la Mura si è accidentalmente lasciata sfuggire nell’entusiasmo della sostituzione di poltrone, nell’euforia da potere.

Che la mannaia sia stata abbattuta proprio dalla mano di una donna, in realtà, non stupisce più di tanto: a credere nella solidarietà femminile sono rimaste Candy Candy, Carly Simon ed Erica Jong. Stupisce piuttosto che ci sia ancora qualcuno che si lasci beccare in flagranza di discriminazione. Come se le donne, le mamme, non fossero discriminate anche quando il posto lo mantengono. Almeno fate il gesto di lasciarglielo, questo lavoro. Tanto per non prestare il fianco a fastidiose schegge legali, tanto per far finta di tener conto delle quote rosa (termine insopportabile che mette le donne alla stregua dei panda), tanto per non dar ragione alle Dati, alle D’Amico e alle Gelmini che si rialzano dal lettino dell’ostetrica e corrono dove la loro presenza è più richiesta.

Tanto per non rendere così palese il fatto che quando una diventa madre moltiplica in un solo istante le incombenze della sua vita, dimezza, in un solo istante il tempo a sua disposizione, ribalta, in un solo istante la terra che ha calpestato fino a quel giorno. Tanto per non rendere così palese il fatto che anche quando una torna alla sua bella scrivania (che ha recintato di filo spinato e disseminato di allarmi sonori prima di allontanarsi un attimo per partorire) ci torna sovraccarica, dimezzata e sfilacciata.

Fatele partorire, le donne, a stravolgersi provvederanno da sole. A produrre il doppio per colmare il gap (l’assenza, i chili da farsi perdonare, l’essere rimaste fuori dal giro, la depressione, la testa altrove) ci penseranno loro.

O almeno lasciate che le Dati, le D’Amico, le Gelmini, si mantengano in sella come possono, si difendano come possono, si tengano il posto come possono. Potrebbe sempre esserci una Mura, né femminista né femmina, ad attendere chiunque di noi con la mannaia in mano il giorno in cui, sistemato il neonato, ci apprestassimo a togliere il filo spinato per riaccomodarci alla nostra scrivania. Intanto è successo a Bologna. L’Italia di Di Pietro, coi valori, che c’azzecca?

0 commenti: