domenica 9 maggio 2010
Del predicare bene...
Mumbai (AsiaNews) – Abdul Rasheed, predicatore musulmano sunnita, crede nella reciprocità. E siccome lui è libero di venire in Europa a predicare l’islam, non vede nulla di male nel permettere ai cristiani di predicare il Vangelo nei Paesi islamici.
Abdul Rasheed, piccolo imprenditore del distretto di Thane (Maharashtra), è membro della Tablighi Jamaat, un’organizzazione internazionale per la rinascita dell’islam e la sua diffusione nel mondo. Nei mesi scorsi, per la seconda volta, egli ha viaggiato in Europa, predicando e insegnando a gruppi di musulmani in Svezia, Spagna ( Barcellona) e Portogallo.
“In questi Paesi – dice ad AsiaNews - non vi è alcuna restrizione sulla preghiera e non vi sono restrizioni governative nel seguire i precetti dell’islam. Anche il burqa non è proibito in queste tre nazioni”.
Rasheed specifica: “In Svezia la nostra gente prega in locali specifici. Anche il mio insegnamento è avvenuto in questi luoghi, all’interno di aree residenziali messi a disposizione delle amministrazioni per lo sport e l’intrattenimento”. Proprio in Svezia e a Barcellona egli ha potuto incontrare diversi svedesi convertiti all’islam, divenuti “musulmani devoti e praticanti”.
In tutti i Paesi islamici è proibito il proselitismo e la missione dei cristiani. In diversi è proibito perfino portare una croce al collo, o radunarsi in privato per la preghiera. Abdul Rasheed sostiene invece la reciprocità è afferma che è giusto che i cristiani abbiano libertà di annunciare il Vangelo, soprattutto in Medio oriente. “Purtroppo – egli dice – in queste restrizioni vi è mescolata tanta politica. In molti Paesi mediorientali, tante cose contrarie all’islam sono legali, come ad esempio vendere liquori, o permettere certe forme di intrattenimento. Se i governi permettono cose così, perché si scatenano contro il Vangelo predicato dai cristiani?”.
Il prossimo Sinodo delle Chiese del Medio oriente, che sarà celebrato in Vaticano in ottobre, avrà a tema anche la piena libertà religiosa per i cristiani nei Paesi islamici e il loro diritto a predicare la fede alla pari con i musulmani. Abdul Rasheed esprime apprezzamento per il Sinodo e per papa Benedetto XVI. “Rispettare i leader religiosi – spiega – fa parte dell’insegnamento di Maometto”.
Lahore (AsiaNews) – Cinque ragazzi cristiani, accusati in base alla famigerata legge sulla blasfemia, hanno dovuto abbandonare le loro case per evitare violenze da parte di estremisti islamici. Il fatto è avvenuto nell’area di Green Town, a Lahore, città del Pakistan orientale dove il 26 maggio prossimo si concluderà il processo per blasfemia a carico di Martha Bibi. Se riconosciuta colpevole, la donna rischia fino alla condanna a morte.
Sohail Johnson, coordinatore di Sharing Life Ministry Pakistan (SLMP), conferma ad Assist News Service (Ans) che “cinque ragazzi cristiani hanno dovuto abbandonare le loro case” nella zona di Green Town; in caso contrario, essi avrebbero dovuto “rispondere dell’accusa di blasfemia”. I giovani cristiani – Shoaib Ilyas, Chaman Ashraf, Ashar Masih, Neeta Masih e Sunny – sono serviti come capro espiatorio, nel contesto di una situazione già di tensione fra la maggioranza musulmana e la comunità cristiana.
I giovani cristiani sono accusati di aver “profanato” uno striscione contenente versetti tratti dal Corano. Secondo l’inchiesta condotta da SLMP, il 30 aprile scorso il gruppo si trovava nei pressi di un palo della corrente. Il forte vento ha fatto cadere lo striscione contenente i versetti coranici, che è stato raccolto da Shoaib e consegnato a un musulmano che si trovava nelle vicinanze. Questi, più tardi, ha accusato il giovane cristiano e i suoi amici di aver “profanato” lo stendardo.
Per stemperare la crescente tensione e la possibile accusa di blasfemia a carico dei giovani – reato che può costare l’ergastolo e anche la condanna a morte – i due fronti hanno raggiunto un accordo: la riconciliazione fra cristiani e musulmani è stata condizionata alla partenza dei cinque dall’area di Green Town.
Intanto un tribunale di Lahore ha fissato al 26 maggio prossimo la sentenza del processo per blasfemia a carico di Martha Bibi, 45enne cristiana, sposata e madre di sei figli. La donna è imputata in base alla sezione 295 C del Codice penale pakistano, con l’accusa di aver diffamato il profeta Maometto.
Il fatto risale al 22 gennaio 2007 e, se riconosciuta colpevole, Martha rischia la condanna a morte. Fonti cristiane spiegano che dietro il presunto caso di blasfemia, in realtà, vi sarebbero delle fatture non saldate da un musulmano alla donna e al marito per la fornitura di materiale edile.
Martha Bibi ha preso parte al dibattimento in aula coperta da un velo, nel timore di nuovi attacchi da parte di estremisti islamici. Sohail Johnson, che segue da vicino il processo, invita i cristiani di tutto il mondo a pregare per la “protezione di Martha” e “il proscioglimento dalle accuse”.
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