lunedì 17 maggio 2010
Gianfranco Fini e la cittadinanza
Diritti e sicurezza. Fini pensa a dare la cittadinanza agli immigrati, gli Usa a come toglierla di Roberto Santoro
Venerdì scorso il Presidente della Camera, Gianfranco Fini, è tornato a parlare di cittadinanza. I ragazzi stranieri hanno il diritto di diventare italiani se completano il ciclo scolastico, ha detto, così come gli immigrati adulti potrebbero diventarlo se dimostrassero di “riconoscersi nei valori fondanti della nostra società”. Il Fini-pensiero può essere ricondotto al paper della Fondazione FareFuturo su Immigrazione integrata e cittadinanza di qualità dell'ottobre 2009, e alla proposta di legge Granata-Sarubbi, che ha generato un consenso bipartisan tra i finiani del Pdl, esponenti del Pd, dell’Udc, dell’Italia dei Valori, guadagnandosi l'autorevole endorsement dello storico Ernesto Galli della Loggia dalle pagine del Corriere della Sera.
L’impianto della Granata-Sarubbi si basa su un principio interessante. Diventare italiano d'ora in poi dovrebbe essere un percorso “attivo”, in cui si viene valutati qualitativamente non soltanto burocraticamente (il documento di FareFuturo liquida il multiculturalismo, l’assimilazionismo, eccetera). A questo, i finiani aggiungono una riduzione netta del tempo necessario ad ottenere la cittadinanza stessa (da 10 a 5 anni). A nostro parere, questa valutazione qualitativa andrebbe fatta principalmente nell’ottica di tutelare la sicurezza oltre che l'interesse nazionale. Un po’ come ha proposto l’ex premier inglese Brown legando l’attribuzione della cittadinanza a un sistema a punti, dove se dimostri di aver studiato la lingua e la storia del Paese in cui ti trovi, di aver lavorato (sodo) ed essere vissuto onestamente per un certo periodo di tempo, alla fine entri a far parte della comunità.
Se il mondo fosse un luogo pacifico, e i processi di mobilità legati alla globalizzazione non contenessero dei gravi pericoli, il discorso dei finiani in fin dei conti potrebbe reggere: una riforma in Italia serve, meglio se in chiave selettiva e meritocratica. Il problema è che non viviamo in tempi pacifici. L’esito ultimo della globalizzazione è stato l’11 Settembre cioè uno stato di guerra permanente. E dunque non ci sembra di fare terrorismo psicologico se diciamo che l’attribuzione della cittadinanza dovrebbe essere legata con più attenzione alla questione della sicurezza nazionale, che non può essere intesa solo come una forma di contrasto alla immigrazione clandestina.
I recenti attentati, riusciti sventati o falliti, in America, dimostrano che questo rapporto non è un tema di importanza secondaria. Gli attacchi, infatti, sono stati tutti condotti da cittadini degli Stati Uniti. Ha un passaporto Usa il mago informatico del terrore, Anwar al-Awlaki, che dalla sua ridotta yemenita ha avviato al martirio il maggiore Hasan, l'autore della strage di Fort Hood (13 morti), e Faisal Shahzad, il pakistano con passaporto americano che ha piazzato la Nissan carica di esplosivo a Times Square. Lo scorso aprile Shahzad partecipava alla commovente celebrazione che negli Stati Uniti rinnova ogni volta il patto di fiducia fra l’America e coloro che vogliono viverci e prosperare. Nel momento stesso in cui alzava la mano destra per giurare fedeltà al suo Paese, l'uomo stava pensando a come colpirlo nel modo più sanguinoso possibile. Shahzad è un giovane pakistano di buona famiglia che ha studiato brillantemene negli Usa, dove si è sposato e guadagnava un mucchio di soldi lavorando come analista finanziario. Un "immigrato di qualità", apparententemente.
Ma un musulmano non ha altra nazionalità eccetto la sua Fede, come ha scritto una volta il padre del moderno islamismo, Sayed Qutb. Shahzad e Hasan erano imbevuti delle teorie di Qutb, letture consigliate via web dal sedicente imam al-Awlaki. Avere la cittadinanza americana è un grande vantaggio se devi viaggiare in Pakistan per ‘tornare alle origini’ e addestrarti nei campi talebani, anche se, probabilmente, a Shahzad è stato sufficiente connettersi a Internet per “completare il suo ciclo scolastico”. Non sappiamo se sia vero o sia semplicemente propaganda, ma una fonte talebana intervistata recentemente da Newsweek ha rivelato che "Da quando gli Stati Uniti hanno invaso il Paese il numero delle persone come Shahzad, che odiamo l’America e l’Occidente, e vengono qui, è aumentato costantemente". I Talebani riescono a farsi molta più pubblicità con attentati come quello di Times Square che non con 100 bombe in Afghanistan. Con le nuove tecnologie, non è difficile reclutare gente in Occidente. I siti dei fondamentalisti ricevono centinaia di richieste di persone che sono pronte a unirsi a loro.
Non ci sembra di essere andati fuori tema parlando di Afghanistan e Talebani. Non abbiamo evocato scenari "eurabici" e neppure detto che da oggi i musulmani non potranno più entrare in Italia. Sappiamo che l'immigrazione è un fenomeno epocale con cui dovremo imparare a convivere ma ci limitiamo a constatare che mentre in Italia si discute su come dare la cittadinanza agli immigrati, in America ci si interroga su quali sarebbero le difficoltà costituzionali derivate dal toglierla a chi minaccia gli Stati Uniti. Fini ha fatto della cittadinanza la pietra angolare di ogni politica sulla immigrazione, eppure la storia di Shazhad dimostra che oggi è sempre più complesso parlare di identità, frontiere e nazionalità.
Chissà se a Fini capita qualche volta di entrare in internet... e chissà se qualche volta capita anche in forum del genere. A pensare male si fa peccato... eppure l'impressione, leggendo quel post, è di una chiamata "alle armi".
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