sabato 8 maggio 2010
Il ritorno degli Zombie
ROMA — Apre il costituzionalista Roberto D’Alimonte con un’analisi dei flussi elettorali. E non è un inizio rituale. Perché sottolinea i molti voti che dall’era veltroniana a oggi sono andati perduti. E perché, messaggio trasversale a D’Alema, fa notare come l’Udc dimezzi i propri voti quando si presenta con il centrosinistra. Anche da questi dati Area democratica, minoranza del Pd a congresso a Cortona, fa discendere conseguenze politiche importanti. Riassunte da Dario Franceschini: «Dobbiamo riprendere a camminare e se non ora quando? O si cambia o il Pd si spegne e si divide». Il monito dell’ex segretario diventa un vero e proprio j’accuse nell’intervento successivo di Pierluigi Castagnetti, che non usa giri di parole: «È il momento di dircelo chiaramente, non c’è qualcuno che se ne vuole andare: c’è qualcuno che vuole che qualcun altro esca»
Parole pesanti, pronunciate davanti a una folta platea che oggi assisterà all’intervento degli altri leader della minoranza del Pd: Walter Veltroni, Beppe Fioroni, Franco Marini, Piero Fassino e Paolo Gentiloni. Oltre a Ignazio Marino e Michele Meta, per la prima volta a Cortona. Unità delle minoranze (insieme rappresentano il 48 per cento del partito), ripresa simbolicamente da Franceschini quando cita uno slogan biblico usato più volte da Marino: «Vogliamo un partito capace di dire "sì, sì o no, no"». Relazione di una certa asprezza, quella dell’ex segretario, che non mette in discussione la leadership di Pier Luigi Bersani, ma fa aleggiare l’ombra lunga della scissione. Extrema ratio, certo, ma neanche da scartare. Gli ex popolari sono sul piede di guerra e Castagnetti spara ad alzo zero: qualcuno vuole «spaccare» il partito, basta guardare a «quello che accade nelle giunte regionali dove alla minoranza viene lasciato solo il diritto di platea». Se è così, è giusto rivolgersi direttamente a Bersani: «Poniamo la questione direttamente a lui. Se non se ne rende conto, dobbiamo farlo noi. Chiedere e offrire il disarmo delle divisioni ereditate dalle primarie».
Non sarà facile, visti gli equilibri. Ma non è solo questione di poltrone. «Spirito del Lingotto» e «riformismo necessario» animano Cortona e l’intervento di Franceschini. Che analizza l’avanzata della destra, non condivide l’entusiasmo per Fini («è e resterà un nostro avversario»), rivendica l’«antiberlusconismo» di quando era segretario e contesta il dialogo «una settimana sì e una no, a seconda degli ammiccamenti». Franceschini ammonisce sullo stato del partito in Calabria (dove chiede un commissariamento) e contesta la locuzione «partito sexy» usato da Enrico Letta, termine più «adatto alle categorie berlusconiane». Sulla legge elettorale ribadisce la preferenza per un sistema che rafforzi il bipolarismo e quindi dice no al sistema tedesco e al ritorno delle preferenze, «che portano inesorabilmente a costi altissimi delle campagne elettorali, con tutti i rischi connessi». Meglio una legge elettorale «che restituisca agli elettori il diritto di scegliersi gli eletti con collegi uninominali».
L’ex segretario, in sintonia con gli ex popolari, considera «irrinunciabili» le primarie. Proprio come i veltroniani. Anche se per Walter Verini «il segretario del Pd deve coincidere con il leader che candidiamo a governare». Franceschini svaria anche in altri campi, chiedendo, causa crisi economica, «una moratoria nell’acquisto di sistemi d’arma» da parte del governo. Poi conclude, affondando il coltello nella piaga: «Abbiamo perso le ultime elezioni». Non solo: «Abbiamo registrato una grave emorragia di consensi in termini assoluti. Più di 4 milioni di voti dalle Politiche del 2008. Siamo al punto più basso della nostra brevissima storia». Lo dice anche D’Alimonte, contrario alla tesi che alle Regionali ci sia stata un’inversione di tendenza: «Il risultato del 2008 è stato straordinario, ma è stato buttato via da chi l’ha denigrato e non ha saputo difenderlo». Un destro offerto a Veltroni. Che sale oggi sul palco, pronto a rivendicare l’attualità della sua stagione e la consistenza della sua eredità.
Alessandro Trocino
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