giovedì 6 maggio 2010
Quelli vergini
Mauro il furbetto: 850 milioni in nero per l’attico di Gabriele Villa
Non che tutti gli italiani siano smemorati come D’Alema, per carità. Anzi. Solo che quando si parla di casa, quando si maneggiano contanti o assegni per pagare affitti, compromessi e rogiti occorre essere chiari, precisi e documentati. Al contrario è meglio non fare i moralisti. Altrimenti si finisce imbufaliti al Maximo e si cerca di azzannare l’interlocutore. D’Alema faceva avant’ieri sera il moralista a Ballarò per la vicenda Scajola e si era dimenticato del suo misero affittino che lo trascinò nell’inchiesta Affittopoli del nostro giornale. Ezio Mauro integerrimo direttore dell’integerrima Repubblica, che il moralista continua a farlo a ogni piè sospinto, specie quando parla di evasione fiscale o di Berlusconi, tanto per citare due temi che gli sono cari, si dimentica spesso e volentieri di quel suo atticuccio ai Parioli per il quale versò in nero 850 milioni di vecchie lirette. Una distrazione certo, senza dubbio una distrazione che lo ha aiutato a risparmiare un bel po’ di quattrini sulle tasse. Ma, suvvia, signor Ezio, perché farla cadere nell’oblio? Perché passarci sopra con un tratto della sua arguta penna? Quindi anche per rendere un servizio ai lettori gliela ricordiamo noi. È una storia di dieci anni fa, tutta documentata nei dettagli dall’allora direttore del Tempo Franco Bechis. Una storia che val la pena di venir raccontata ancora una volta e che comincia con Alberto Grotti, vicepresidente dell’Eni, coinvolto nello scandalo Enimont e per questo motivo arrestato e incarcerato. Tornato in libertà Grotti vede un giorno un articolo di Repubblica che considera diffamatorio. Pensa di far causa ma non ha i soldi. Così li chiede all’anziana madre che, per aiutarlo, decide di mettere in vendita una casa che ha al quartiere Parioli di Roma. Un appartamento su due piani. Al quarto un ampio salone, cucina, tre camere e terrazzo. Al quinto due camere, un soggiorno-veranda, bagni e studio. Bene. Come acquirente si fa avanti Ezio Mauro cui sta benissimo il prezzo convenuto di 2 miliardi e 150 milioni di lire ma che versa alla venditrice una cospicua parte della somma, per la precisione 850 milioni di lire, in nero e tutti in assegni da venti milioni (tranne uno da dieci, ovviamente) che firma di suo pugno. In tal modo, se vogliamo puntarla sul surreale, Ezio Mauro fornisce a Alberto Grotti i soldi per intentare una causa contro Repubblica. Ma il surreale non è in questo caso il nocciolo del problema. Il nocciolo del problema è la reale incoerenza, l’inconcepibile spudoratezza del direttore duro e puro di un giornale duro e puro come Repubblica.
Un direttore che, con una mano firma editoriali in cui chiede a Silvio Berlusconi se «si sente soggetto alle leggi civili e morali del nostro Paese» e in cui preconizza preoccupato che «sull’evasione fiscale ci giochiamo il futuro del Paese» e con l’altra firma o perlomeno ha firmato decine di assegni in nero per perfezionare l’acquisto del suo modesto appartamentino romano. Curioso, no? Talmente curioso quell’episodio oscuro, anzi nero nella luminosa carriera dell’integerrimo direttore che, con gli anni, è diventato di dominio pubblico. E tutti se lo ricordano bene. Tutti tranne lui, Ezio Mauro. L’uomo che di solito non si scorda mai nulla e che si sente in dovere e in diritto di fare il moralista. Un po’ come Massimo hopersolestaffe D’Alema.
Sapete che cosa sarebbe divertente fare a questo punto della storia? Girare al signor Ezio non proprio dieci domande come quelle che lui ha voluto insistentemente fare al Cavaliere ma almeno «qualche» domanda. Chiedergli, per esempio: come mai ha avviato la trattativa per l’acquisto di una casa siffatta, decisamente prestigiosa proprio con un nemico della sua Repubblica? Quali erano all’epoca, e, magari quali sono oggi, le sue reali condizioni di vita? Come mai è stato così distratto o quantomeno poco avveduto da firmare assegni in nero che non le avrebbero permesso di onorare uno dei suoi principi più saldi, cioè il regolare pagamento delle tasse allo Stato italiano? Certo, caro direttore, lei è liberissimo di non rispondere. Ma almeno si ponga il problema quando infila le chiavi nella serratura dell’attico. Immagini di leggere uno di quei suoi editoriali di indignazione.
Roma - Dopo Massimo D'Alema anche il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, finisce nel ciclone degli "equo-iniqui canoni". Questa volta si tratterebbe di fondi europei per la formazione derubricati poi a canone d’affitto. Dal 1991 al 1993, il leader democratico avrebbe infatti vissuto nell'appartamento di via Mazzini 84 a Bologna grazie alla Cee. A denunciarlo è stato il deputato del Pdl Giancarlo Lehner: "Bersani si vide provvidenzialmente pagata la metà dell’affitto per l'appartamento con i denari della Cee transitati nella Cisl"
La denuncia di Lehner. "Posto che la Casa è di nuovo un film horror, è lecita la domanda - ha denunciato Lehner - è di destra farsela pagare da amici, benefattori noti ed ignoti, o intestarla all’amante, che magari, poi, cambiando letto, se la pappa, mentre è di sinistra godere, come accadeva negli anni Novanta, di equo-iniqui canoni o addirittura dei fondi europei per la formazione derubricati a canone d’affitto?" Il deputato del Pdl si riferisce a D’Alema, Veltroni, Iotti e anche a Bersani che, "dal 1991 al 1993, si vide provvidenzialmente pagata la metà dell’affitto per un appartamento a Bologna con i denari della Cee transitati nella Cisl". A beneficio della fiducia nelle istituzioni, Lehner propone quindi "la pubblicazione con scadenza semestrale dell’anagrafe immobiliare dei politici, dei magistrati, dei generali, dei giudici costituzionali e così via". Tra destra e sinistra, per Lehner permane una differenza: "E' certamente di destra essere disossati dalla fuga di notizie centellinata e dilatata nel tempo; è di sinistra, invece, l’arcigno presidio al segreto istruttorio, così come la giustizia-veloce e la celerità delle archiviazioni".
Il Pd: "Azioni legali". Immediata la replica di Stefano Di Traglia, portavoce del segretario Pd Bersani, che parla di "tentativi maldestri in atto di aumentare la confusione sotto il cielo della politica". Di Traglia smentisce la denuncia di Lehner: "E' palesemente priva di fondamento, come lui stesso oltretutto ammette. Nella sua dichiarazione si dimentica però di precisare che la vicenda a cui accenna si chiuse con un nulla di fatto e senza rilievi per Bersani che all’epoca era presidente della regione Emilia Romagna". Il portavoce di Bersani constata che "non muore l’abitudine di taluni, come avvenne allora, di alzare polveroni e di utilizzare la calunnia come arma politica. In ogni caso - annuncia il Pd - si è provveduto a trasmettere ai legali le dichiarazioni di Lehner per verificare tutte le iniziative necessarie per la tutela del buon nome di Bersani".
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
0 commenti:
Posta un commento