martedì 6 ottobre 2009

Ottobre

Il finale di Mario Sechi

È la madre di tutte le battaglie. La rivoluzione d’ottobre è in pieno svolgimento e tra poche ore vedremo se il cerchio intorno a Berlusconi si chiude o se per il Cav ci sarà ancora spazio. Silvio si gioca tutto. Il presidente del Consiglio è bersaglio di una manovra a tenaglia che non ha precedenti. Nemmeno negli anni ruggenti dell’assalto al Cavaliere si era mai vista una concentrazione di fuoco così alta. La posta in gioco è enorme perché non si tratta del destino di un governo, ma della volontà popolare. Far cadere Berlusconi e non tornare alle urne è il disegno di chi in questi mesi ha soffiato sulla crisi e alimentato le procure. Cosa sta succedendo? Chi spinge per la caduta di Silvio? Chi vuole evitare il voto? L’Italia rischia il caos istituzionale? Cosa sta succedendo? Dopo un’estate di gossip a colpi di Noemi e Patrizia, la campagna di logoramento ha subìto un’accelerazione con la discesa in campo dell’artiglieria pesante. Il Cav si trova sotto bombardamento sul fronte imprenditoriale e politico. Solo gli ingenui possono pensare che la tempistica sia casuale. La sentenza sul lodo Mondadori viene depositata di sabato, il 3 ottobre, casualmente lo stesso giorno della manifestazione sulla libertà di stampa e alla vigilia della decisione della Corte Costituzionale sull’altro lodo, quello che protegge le prime cinque cariche dello Stato, firmato dal ministro della Giustizia Angelino Alfano. La decisione su Mondadori si abbatte sul futuro della sua azienda che si ritrova con 750 milioni di debiti in più da pagare e molte incertezze sul fronte della cassa. Quella sullo scudo per le alte cariche potrebbe non solo privarlo della protezione riconosciuta ad altri capi di Stato in Europa, ma scagliarlo nuovamente nel processo Mills e nel «buco nero» delle indagini per le stragi di mafia. Un presidente del Consiglio così esposto e vulnerabile difficilmente può resistere a un tale assalto alla diligenza. Per questo, nonostante le cautele e le smentite di routine, le elezioni anticipate sono una opzione sul tavolo del capo del governo.
Il futuro del governo: Chi spinge per la caduta di Silvio? L’opposizione, naturalmente. Ma siamo seri, né il Partito democratico né Antonio Di Pietro hanno la forza per mettere in fuorigioco il Cavaliere. La leva e le mani per compiere l’operazione non sono quelle di Franceschini, D’Alema, Casini o chissà chi altro nel Palazzo. E la sinistra da tempo non ha più alcun controllo della magistratura, suo grimaldello ai tempi di Tangentopoli. Le toghe oggi sono soggetto autonomo dall’ex Pci, incontrollabili perfino da parte del Csm ed emergono come primo attore decisivo della storia. La sorte economica dell’impero di Berlusconi con la decisione del 3 ottobre scorso è sub iudice. Non è il mercato a decidere se il Biscione deve stare in piedi e continuare la sua avventura, ma un giudice. E sempre le toghe, quelle della Corte Costituzionale, oggi faranno i loro ragionamenti sul futuro politico di Silvio e sulle sorti stesse del Paese e del blocco sociale che ha votato il centrodestra negli ultimi 15 anni. La legge è sovrana? Certamente, ma la sovranità è del popolo e ribaltare gli esiti del voto può essere davvero molto pericoloso. Soprattutto se si profila l’ombra di governi di transizione, governissimi, governi tecnici, l’armamentario tipico della politica romana.
Chi non vuole votare: Berlusconi è sempre stato considerato un outsider dall’establishment industriale e finanziario. E il Cav in questi anni l’ha solo in piccola parte demolito. Stretto tra l’incudine del lettismo (da Gianni Letta, maestro dell’armonia e del compromesso) e il martello del berlusconismo, Silvio s’è dimenticato di fare la rivoluzione più importante: il ricambio della classe dirigente nell’alta sfera delle istituzioni e nell’economia. Così i grand commis dello Stato sono di fatto sempre rimasti legati a logiche di potere estranee a movimenti come Forza Italia e Pdl (leggasi: hanno continuato a farsi gli affari propri e quelli degli amici), mentre nell’industria, nella finanza e nell’editoria la leadership decisionale è sempre rimasta in mano ai banchieri che facevano la fila per votare alle primarie, agli gnomi della finanza provenienti da Goldman Sachs, ai capitani senza capitali che hanno drenato denaro pubblico al punto da capitalizzare i profitti e socializzare le perdite. Questi soggetti vogliono regolare i conti con Berlusconi una volta per tutte, levarselo di torno e ricominciare il loro gioco di sempre. Non che abbiano mai smesso davvero, ma ve l’immaginate il sorriso dei banchieri alla notizia che Giulio Tremonti non è più il ministro dell’Economia? O quello dei sindacati al pensiero che Renato Brunetta è tornato a fare il professore? La grande impresa a caccia di aiuti e incentivi non vuole le elezioni, non è interessata al ritorno alla fonte di legittimazione di qualsiasi governo. Il tritacarne giudiziario va avanti? Nessuno in Confindustria s’è alzato per dire che la magistratura sta condizionando pesantemente la politica, ma la presidente Emma Marcegaglia ha subito messo le mani avanti dicendo che è contraria alle elezioni anticipate. La reazione della grande industria è comprensibile. In questi giorni si stanno giocando i destini del ghota imprenditoriale italiano e avere o meno Berlusconi a Palazzo Chigi fa una grande differenza. È una partita da rubricare alla voce patti parasociali e da leggere come alleanze di potere. Alcuni esempi per chiarire al lettore di Libero di cosa stiamo parlando. Entro il 28 ottobre i soci di riferimento di Telco, la holding che controlla il 24,5% del capitale di Telecom (Telefonica, Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e Benetton), dovranno decidere se rinnovare il patto di sindacato in scadenza nell’aprile 2010.
Il nodo Generali: Il patto di Rcs, l’editore del Corriere della Sera, è un ottovolante. L’ultima riunione, pochi giorni fa, è durata due ore e mezza e i soci si sono scannati su regole e governance. Chi decide in via Solferino? Ancora non si sa, ma è chiara la posizione del Corriere della Sera nella vicenda del lodo. Affidare il commento al professor Giovanni Sartori è come dire a Dracula di bere acqua. Il patto non sa come governare l’azienda, ma il suo giornale sa benissimo dove andare a parare. Nel 2010 Generali riunisce l’assemblea e sceglie un nuovo presidente: sarà Cesare Geronzi o chi altro? E i destini della Fiat si divideranno sempre più da quelli della casa madre Exor che punta a diversificare nella finanza? La presenza o meno di Berlusconi a Palazzo Chigi influenza queste scelte. Incentivi e aiuti non si coniugano con l’acquisto di una banca. La caduta del Cav sarebbe anche un modo per mettere alla porta la Lega e il mondo delle piccole imprese, delle partite Iva, un fastidio per il gotha industriale. Errore capitale, perché a quel punto senza più il freno del governo, senza preoccupazioni istituzionali, il Carroccio riprenderebbe a correre verso lo sbocco naturale del caos: la secessione. Ecco, a differenza di quel che sognano i poteri irresponsabili, a noi di Libero sembra proprio che stavolta sia in gioco qualcosa di più grande del Cav. Lui se va male, corre alle Bermuda. Noi restiamo qui e stavolta ci giochiamo l’Italia.

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