sabato 7 marzo 2009

Islam moderato?

Egitto: “Non esiste l’Islam moderato”

“Non esiste l’Islam moderato. E’ una menzogna che circola solo in Occidente. Ma chi conosce l’Islam, chi ha studiato il Corano ed è nato in una famiglia musulmana, sa che non esiste un Islam moderato, perché i suoi insegnamenti sono aggressivi e violenti”, con queste parole un ex-musulmano egiziano ha risposto alla domanda di un giornalista, che gli chiedeva la proporzione tra Islam moderato e Islam integralista in Egitto. Secondo quanto dichiarato dall’intervistato - un attivista per i diritti umani, ex musulmano convertito al Cristianesimo - benché l'Islam assolutamente non sia moderato nei suoi insegnamenti, esistono i musulmani moderati ovvero musulmani che non applicano alla lettera il Corano. In Egitto, nonostante i megafoni tuonino costanti l’ora della preghiera con le voci cantilenanti dei muezzin che chiamano i fedeli, le moschee rimangono semi-deserte: si stima che un 20% dei musulmani egiziani frequentino le moschee, un dato significativo, anche se passeggiando per le caotiche strade del Cairo si notano molti uomini con il caratteristico callo in mezzo alla fronte, segno distintivo di chi si prostra nelle rituali preghiere con perseveranza, poggiando il capo a terra sopra un tappetino in direzione della Mecca. La fermezza delle dichiarazioni di questo ex-musulmano non deriva solo da una conoscenza profonda dell’Islam e della società musulmana egiziana, ma anche da un’esperienza diretta di un anno di prigionia e torture a causa della sua conversione al cristianesimo. Al di là di ogni valutazione nel merito delle sue dichiarazioni, ciò che risulta chiaro a chiunque voglia analizzare la società egiziana è che i cristiani (una minoranza piuttosto numerosa e con un certo passato) vivono la loro vita nel delimitato perimetro delle libertà che la maggioranza musulmana concede loro, detto in altre parole, il cristiano è libero di muoversi ove il musulmano gli concede di muoversi. Ecco quindi che la persecuzione in questo paese assume svariate e complesse connotazioni: si va dalla persecuzione brutale delle zone rurali (con omicidi e violenze di vario genere, spesso non documentate perché commessi in aree estremamente arretrate, paragonabili per stile di vita a epoche medievali) alle discriminazioni nell’accesso ai posti di lavoro e nelle scuole delle grandi città, con un’ampia gamma di sfumature tra questi estremi. Tutto ciò è naturalmente documentato, così come documentata è la tendenza delle autorità governative a discriminare i cristiani, peraltro facendo il possibile per costruire nei rapporti internazionali una facciata moderata e tollerante, utile al turismo del paese e alle proficue relazioni con l’Occidente. Un esempio lampante è quello che vi riportiamo oggi. In un tribunale egiziano, nell’ultima udienza del 22 febbraio scorso, un musulmano che ha fatto la richiesta di diventare ufficialmente cristiano con la possibilità dunque di riportarlo nei suoi documenti di identità (un fenomeno in crescita, viste le continue conversioni e l’utilità sotto vari aspetti della procedura), si è visto opporre dall’avvocato dell’accusa una richiesta di pena di morte in quanto colpevole di “apostasia”, ovvero di abbandono dell’Islam. Altri 20 avvocati erano presenti all’udienza di Maher Ahmad El-Mo’otahssem Bellah El-Gohary, molto interessati all’esito del processo. Come si è già detto in altre occasioni, in Egitto si è liberi di cambiare religione, ma solo se si passa da una qualsiasi religione all’Islam, viceversa se si passa dall’Islam a un’altra religione, allora questa libertà non esiste veramente, poiché entra in gioco il retaggio e l’influenza della sharia, la legge islamica (che vieta drasticamente questa libertà, fino a propugnare la pena di morte per l’apostata). Il richiedente, El-Gohary, non era presente all’udienza perché la sua vita di fatto è in pericolo, dato che tutta un’ala fondamentalista della società vede questo e altri processi simili (ove si richiede appunto di potersi liberamente convertire al Cristianesimo con tanto di documento che lo attesta) come un pericolo per l’Islam, un pericolo da estirpare alla radice anche con atti estremi di violenza. In tribunale, El-Gohary è rappresentato ufficialmente dal suo avvocato, Nabil Ghobreyal, il quale ha già ricevuto svariate minacce fisiche. Il giudice Hamdy Yasin, però, ha messo alle strette El-Gohary rinviando il caso al 28 marzo prossimo, definendo la delega data al suo avvocato non sufficiente e di fatto obbligandolo a presentarsi di persona - a suo rischio e pericolo naturalmente. “Ora sono in una posizione in cui non posso fare nient’altro” ha affermato il povero El-Gohary, “Sono costretto a presentarmi in tribunale, malgrado il pericolo. Credo che Dio mi proteggerà. E’ una decisione davvero difficile, ma devo presentarmi”.

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