Visti insieme, sono come un inverno a Bordighera. Straordinariamente mite, senza imprevisti, con il rischio di essere inguaribilmente noioso. Fabio Fazio, il conduttore gentile con un debole per gli ospiti progressisti e Dario Franceschini, il segretario perbene che miscela con sapienza democristiana volto da travet e indole da scaltro politicante: due boy scout, come li definisce Luciana Littizzetto. Stessi sorrisi eternamente accennati, stessa scriminatura mai fuori posto. Non potevano che ritrovarsi nel salottino perfettino di Che tempo che fa per celebrare degnamente e garbatamente l’ascensione del Franceschini allo scranno del Pd. Insomma, il neo-leader sceglie quello che il centrodestra ormai definisce polemicamente «l’ufficio stampa» televisivo del Pd per la sua prima uscita pubblica. Anche se - visto il clima di reverenza reciproca - forse è il caso di definirla visita di cortesia. Stesso palco dal quale parlò Veltroni (prego facciansi scongiuri, vista la fine politica a cui è andato incontro), ammonendo in tv che «l’opposizione non si fa in tv». E infatti ecco il suo successore precipitarsi su Raitre per il comizio inaugurale. Talis pater. Nonostante non sia animale catodico, è un Franceschini rilassato quello che siede da Fazio. Cravatta rossa come un Fassino, mani giunte in grembo come un «seminarista a un incontro di wrestling», gambe accavallate come un professore di illuminotecnica in cattedra. Subito motteggia giocondo: «Sono segretario da otto giorni ed è già un record, mi sembrano due anni». È il Franceschini-che-piace-a-mamme-e-bambini: quello acqua, sapone e melassa che dopo la registrazione incontra pure il premio Nobel e banchiere dei poveri Mohammed Yunus. Ma basta un attimo e a Dario monta l’acredine. Così del garbo non resta che il trucco disfatto: «Io so che dopo di me verranno altri leader del Pd. Solo Berlusconi pensa che dopo di lui ci sia il diluvio, il nulla». Applausone. Eccolo là, quello che «l’anti-berlusconismo non so cosa sia». Il sorriso si stringe, e parte anche un bell’appello elettorale: «Chiederò agli italiani di non scegliere la strada dell’astensionismo, di non fare un regalo alla destra e di rafforzare il Pd». E qui pure Fazio tira il freno: «Vabbé, questo se lo augura lei. Anzi, se il premier volesse intervenire per replicare...». Ma dato che il premier non c’è, Darietto tira dritto: «Bisogna evitare che Berlusconi esca dalle Europee come vincitore. Perché dopo sarebbero preoccupazioni per tutti». Così, giusto per evocare lo scenario dittatoriale di ordinanza: «Loro vogliono toccare la parte che riguarda i valori fondativi, che non si toccano». Nel frattempo, tra uno sbadiglio (educato) e l’altro, tra un «dialogo» e una «esigensssa» alla ferrarese, di preoccupazioni ne ha pure lui: «Ho un compito di servizio, dobbiamo salvare il Pd», dice enfatico. Ma il Soldato Pd non se la passa benissimo, nonostante il salvatore predestinato assicuri che «non ci saranno più diversità di vedute tra gruppi dirigenti». Il Pd resta in crisi. La ricetta per rianimarlo? «Confermare il risultato elettorale alle Europee e arrivare al congresso senza litigiosità: se riuscissi, avrei fatto quello che si può sognare nella vita». Perché Franceschini è così, dimesso, umile, distinto. Fa niente se si è tuffato bramoso sullo scettro veltroniano che nemmeno Sauron con l’Anello. Fa niente se in realtà nella vita sogna ben altro di un semplice incarico da traghettatore-barcarolo. No, lui «non si vede leader» e il suo lavoro «finisce a ottobre». E qui arriva il Faziosetto a sostenerlo: «Ho l’impressione che l’incarico a termine sarà la sua forza, non una debolezza». E ancora: «Segretario, credo che lei non sbagli quando dice che mancano 96 giorni al voto». Un filo untuoso, un filo prono, a coccolarsi quel Dario tanto gracilino che lamenta: «Nel Pd al capitano si danno calci nelle caviglie». Il resto è una bucolica scampagnata tra i temi bollenti di un partito in piena guerra civile. Ci sono macerie ovunque, ma Fazio e Franceschini stendono la tovaglia per il picnic. Si parte dalla questione etica. Domanda: «Non è che il Pd è diviso?». Risposta: «Roba noiosa e politologica», troveremo «una posizione prevalente». Vabbé, se lo dice lui. Ma la lampada del genio di Ferrara consente un altro desiderio, l’assegno a tutti i disoccupati: «Basta tagliare gli sprechi e l’evasione fiscale del 10 per cento. Non vogliamo dare soldi a tutti». Applausonissimo. In barba a chi gli ricorda che gli ammortizzatori sociali già sono previsti. Eh già, ma mica hanno sopra il suo marchio! Perché Franceschini è irresistibile, vola di soluzione in «idea geniale» (Fazio dixit). Corretto, limpido ed efficiente. Senza mai rinunciare all’appretto di un ma-anchismo meno piacione e più astuto di quello di Uòlter. La sua agiografia ufficiale è in fase di composizione, ma già comincia a fare i primi miracoli a prova di Auditel. Non male, come inizio. Certo, magari con un contraddittorio un po’ più scomodo, la sua maschera inamidata da redentore democrat sarebbe uscita più sgualcita ma più reale. Va comunque bene così. Per allenarsi si giocano le partitelle in casa, quelle senza arbitro e col pubblico che applaude soltanto. Qualcuno gli spiegherà che i campionati non si vincono giocando solo in casa.
lunedì 2 marzo 2009
Comizio
Franceschini usa la Rai per il comizio di Marco Zucchetti
Visti insieme, sono come un inverno a Bordighera. Straordinariamente mite, senza imprevisti, con il rischio di essere inguaribilmente noioso. Fabio Fazio, il conduttore gentile con un debole per gli ospiti progressisti e Dario Franceschini, il segretario perbene che miscela con sapienza democristiana volto da travet e indole da scaltro politicante: due boy scout, come li definisce Luciana Littizzetto. Stessi sorrisi eternamente accennati, stessa scriminatura mai fuori posto. Non potevano che ritrovarsi nel salottino perfettino di Che tempo che fa per celebrare degnamente e garbatamente l’ascensione del Franceschini allo scranno del Pd. Insomma, il neo-leader sceglie quello che il centrodestra ormai definisce polemicamente «l’ufficio stampa» televisivo del Pd per la sua prima uscita pubblica. Anche se - visto il clima di reverenza reciproca - forse è il caso di definirla visita di cortesia. Stesso palco dal quale parlò Veltroni (prego facciansi scongiuri, vista la fine politica a cui è andato incontro), ammonendo in tv che «l’opposizione non si fa in tv». E infatti ecco il suo successore precipitarsi su Raitre per il comizio inaugurale. Talis pater. Nonostante non sia animale catodico, è un Franceschini rilassato quello che siede da Fazio. Cravatta rossa come un Fassino, mani giunte in grembo come un «seminarista a un incontro di wrestling», gambe accavallate come un professore di illuminotecnica in cattedra. Subito motteggia giocondo: «Sono segretario da otto giorni ed è già un record, mi sembrano due anni». È il Franceschini-che-piace-a-mamme-e-bambini: quello acqua, sapone e melassa che dopo la registrazione incontra pure il premio Nobel e banchiere dei poveri Mohammed Yunus. Ma basta un attimo e a Dario monta l’acredine. Così del garbo non resta che il trucco disfatto: «Io so che dopo di me verranno altri leader del Pd. Solo Berlusconi pensa che dopo di lui ci sia il diluvio, il nulla». Applausone. Eccolo là, quello che «l’anti-berlusconismo non so cosa sia». Il sorriso si stringe, e parte anche un bell’appello elettorale: «Chiederò agli italiani di non scegliere la strada dell’astensionismo, di non fare un regalo alla destra e di rafforzare il Pd». E qui pure Fazio tira il freno: «Vabbé, questo se lo augura lei. Anzi, se il premier volesse intervenire per replicare...». Ma dato che il premier non c’è, Darietto tira dritto: «Bisogna evitare che Berlusconi esca dalle Europee come vincitore. Perché dopo sarebbero preoccupazioni per tutti». Così, giusto per evocare lo scenario dittatoriale di ordinanza: «Loro vogliono toccare la parte che riguarda i valori fondativi, che non si toccano». Nel frattempo, tra uno sbadiglio (educato) e l’altro, tra un «dialogo» e una «esigensssa» alla ferrarese, di preoccupazioni ne ha pure lui: «Ho un compito di servizio, dobbiamo salvare il Pd», dice enfatico. Ma il Soldato Pd non se la passa benissimo, nonostante il salvatore predestinato assicuri che «non ci saranno più diversità di vedute tra gruppi dirigenti». Il Pd resta in crisi. La ricetta per rianimarlo? «Confermare il risultato elettorale alle Europee e arrivare al congresso senza litigiosità: se riuscissi, avrei fatto quello che si può sognare nella vita». Perché Franceschini è così, dimesso, umile, distinto. Fa niente se si è tuffato bramoso sullo scettro veltroniano che nemmeno Sauron con l’Anello. Fa niente se in realtà nella vita sogna ben altro di un semplice incarico da traghettatore-barcarolo. No, lui «non si vede leader» e il suo lavoro «finisce a ottobre». E qui arriva il Faziosetto a sostenerlo: «Ho l’impressione che l’incarico a termine sarà la sua forza, non una debolezza». E ancora: «Segretario, credo che lei non sbagli quando dice che mancano 96 giorni al voto». Un filo untuoso, un filo prono, a coccolarsi quel Dario tanto gracilino che lamenta: «Nel Pd al capitano si danno calci nelle caviglie». Il resto è una bucolica scampagnata tra i temi bollenti di un partito in piena guerra civile. Ci sono macerie ovunque, ma Fazio e Franceschini stendono la tovaglia per il picnic. Si parte dalla questione etica. Domanda: «Non è che il Pd è diviso?». Risposta: «Roba noiosa e politologica», troveremo «una posizione prevalente». Vabbé, se lo dice lui. Ma la lampada del genio di Ferrara consente un altro desiderio, l’assegno a tutti i disoccupati: «Basta tagliare gli sprechi e l’evasione fiscale del 10 per cento. Non vogliamo dare soldi a tutti». Applausonissimo. In barba a chi gli ricorda che gli ammortizzatori sociali già sono previsti. Eh già, ma mica hanno sopra il suo marchio! Perché Franceschini è irresistibile, vola di soluzione in «idea geniale» (Fazio dixit). Corretto, limpido ed efficiente. Senza mai rinunciare all’appretto di un ma-anchismo meno piacione e più astuto di quello di Uòlter. La sua agiografia ufficiale è in fase di composizione, ma già comincia a fare i primi miracoli a prova di Auditel. Non male, come inizio. Certo, magari con un contraddittorio un po’ più scomodo, la sua maschera inamidata da redentore democrat sarebbe uscita più sgualcita ma più reale. Va comunque bene così. Per allenarsi si giocano le partitelle in casa, quelle senza arbitro e col pubblico che applaude soltanto. Qualcuno gli spiegherà che i campionati non si vincono giocando solo in casa.
Visti insieme, sono come un inverno a Bordighera. Straordinariamente mite, senza imprevisti, con il rischio di essere inguaribilmente noioso. Fabio Fazio, il conduttore gentile con un debole per gli ospiti progressisti e Dario Franceschini, il segretario perbene che miscela con sapienza democristiana volto da travet e indole da scaltro politicante: due boy scout, come li definisce Luciana Littizzetto. Stessi sorrisi eternamente accennati, stessa scriminatura mai fuori posto. Non potevano che ritrovarsi nel salottino perfettino di Che tempo che fa per celebrare degnamente e garbatamente l’ascensione del Franceschini allo scranno del Pd. Insomma, il neo-leader sceglie quello che il centrodestra ormai definisce polemicamente «l’ufficio stampa» televisivo del Pd per la sua prima uscita pubblica. Anche se - visto il clima di reverenza reciproca - forse è il caso di definirla visita di cortesia. Stesso palco dal quale parlò Veltroni (prego facciansi scongiuri, vista la fine politica a cui è andato incontro), ammonendo in tv che «l’opposizione non si fa in tv». E infatti ecco il suo successore precipitarsi su Raitre per il comizio inaugurale. Talis pater. Nonostante non sia animale catodico, è un Franceschini rilassato quello che siede da Fazio. Cravatta rossa come un Fassino, mani giunte in grembo come un «seminarista a un incontro di wrestling», gambe accavallate come un professore di illuminotecnica in cattedra. Subito motteggia giocondo: «Sono segretario da otto giorni ed è già un record, mi sembrano due anni». È il Franceschini-che-piace-a-mamme-e-bambini: quello acqua, sapone e melassa che dopo la registrazione incontra pure il premio Nobel e banchiere dei poveri Mohammed Yunus. Ma basta un attimo e a Dario monta l’acredine. Così del garbo non resta che il trucco disfatto: «Io so che dopo di me verranno altri leader del Pd. Solo Berlusconi pensa che dopo di lui ci sia il diluvio, il nulla». Applausone. Eccolo là, quello che «l’anti-berlusconismo non so cosa sia». Il sorriso si stringe, e parte anche un bell’appello elettorale: «Chiederò agli italiani di non scegliere la strada dell’astensionismo, di non fare un regalo alla destra e di rafforzare il Pd». E qui pure Fazio tira il freno: «Vabbé, questo se lo augura lei. Anzi, se il premier volesse intervenire per replicare...». Ma dato che il premier non c’è, Darietto tira dritto: «Bisogna evitare che Berlusconi esca dalle Europee come vincitore. Perché dopo sarebbero preoccupazioni per tutti». Così, giusto per evocare lo scenario dittatoriale di ordinanza: «Loro vogliono toccare la parte che riguarda i valori fondativi, che non si toccano». Nel frattempo, tra uno sbadiglio (educato) e l’altro, tra un «dialogo» e una «esigensssa» alla ferrarese, di preoccupazioni ne ha pure lui: «Ho un compito di servizio, dobbiamo salvare il Pd», dice enfatico. Ma il Soldato Pd non se la passa benissimo, nonostante il salvatore predestinato assicuri che «non ci saranno più diversità di vedute tra gruppi dirigenti». Il Pd resta in crisi. La ricetta per rianimarlo? «Confermare il risultato elettorale alle Europee e arrivare al congresso senza litigiosità: se riuscissi, avrei fatto quello che si può sognare nella vita». Perché Franceschini è così, dimesso, umile, distinto. Fa niente se si è tuffato bramoso sullo scettro veltroniano che nemmeno Sauron con l’Anello. Fa niente se in realtà nella vita sogna ben altro di un semplice incarico da traghettatore-barcarolo. No, lui «non si vede leader» e il suo lavoro «finisce a ottobre». E qui arriva il Faziosetto a sostenerlo: «Ho l’impressione che l’incarico a termine sarà la sua forza, non una debolezza». E ancora: «Segretario, credo che lei non sbagli quando dice che mancano 96 giorni al voto». Un filo untuoso, un filo prono, a coccolarsi quel Dario tanto gracilino che lamenta: «Nel Pd al capitano si danno calci nelle caviglie». Il resto è una bucolica scampagnata tra i temi bollenti di un partito in piena guerra civile. Ci sono macerie ovunque, ma Fazio e Franceschini stendono la tovaglia per il picnic. Si parte dalla questione etica. Domanda: «Non è che il Pd è diviso?». Risposta: «Roba noiosa e politologica», troveremo «una posizione prevalente». Vabbé, se lo dice lui. Ma la lampada del genio di Ferrara consente un altro desiderio, l’assegno a tutti i disoccupati: «Basta tagliare gli sprechi e l’evasione fiscale del 10 per cento. Non vogliamo dare soldi a tutti». Applausonissimo. In barba a chi gli ricorda che gli ammortizzatori sociali già sono previsti. Eh già, ma mica hanno sopra il suo marchio! Perché Franceschini è irresistibile, vola di soluzione in «idea geniale» (Fazio dixit). Corretto, limpido ed efficiente. Senza mai rinunciare all’appretto di un ma-anchismo meno piacione e più astuto di quello di Uòlter. La sua agiografia ufficiale è in fase di composizione, ma già comincia a fare i primi miracoli a prova di Auditel. Non male, come inizio. Certo, magari con un contraddittorio un po’ più scomodo, la sua maschera inamidata da redentore democrat sarebbe uscita più sgualcita ma più reale. Va comunque bene così. Per allenarsi si giocano le partitelle in casa, quelle senza arbitro e col pubblico che applaude soltanto. Qualcuno gli spiegherà che i campionati non si vincono giocando solo in casa.
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