Immunità parlamentare? Massì, forse, in fondo. Magari è meglio. Perlomeno parliamone. Concetto espresso chiaramente dalla seguente dichiarazione: «L’utilità di ripristinare una garanzia parlamentare così come la disegnarono i costituenti con l’articolo 68 non mi pare solo un raffinato esercizio di politologia. È un argomento su cui si può aprire, io credo, un confronto parlamentare nel solco della Costituzione». Poche parole, ma molto significative, quelle pronunciate ieri da Marco Follini, senatore del Pd e presidente della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama, riguardo alle conseguenze che derivano dalla bocciatura del Lodo Alfano. Poche parole che sono bastate a far scattare il detonatore delle polemiche in seno ad uno schieramento di sinistra che, non solo ha, una volta di più, mostrato segni di schizofrenia (dimenticando il passato, anche recente. E i vari corsi e ricorsi allo scudo dell’immunità da parte di molti autorevoli predicatori del loro stesso pulpito) ma si è immediatamente attivato per coprire d’insulti il «compagno» di molte avventure politiche. «Spero che il Marco Follini di oggi che invita a parlare del ripristino sull’immunità parlamentare sia solo un omonimo dell’autorevole esponente della mozione Bersani, un omonimo che senz’altro non ha vissuto nel nostro Paese fino al 1993» ha ironizzato un altro senatore, Stefano Ceccanti, suo collega di partito. In ogni caso se è un omonimo di Follini bene, se invece è proprio lui, mi chiedo che cosa ne pensino gli altri autorevoli esponenti della mozione Bersani ed invito anche lui a rifletterci meglio». «È singolare - gli ha fatto eco Marco Minniti, deputato del Pd - che la bocciatura del Lodo Alfano riapra la discussione sull’immunità parlamentare. Questo strumento ha comportato in passato gravi problemi e il fatto che, confrontato alle misure proposte dal governo Berlusconi, esso possa risultare il male minore, non cambia la sostanza fortemente negativa di un istituto vecchio e inefficace». «Soprattutto, è inaccettabile e anche un po’ vergognoso - ha rincarato la dose Minniti - che il problema venga posto ora, dopo il pronunciamento della Corte. Per questo, sebbene conosca e rispetti l'autonomia di giudizio di Marco Follini, spero però non abbia espresso su questo argomento la posizione ufficiale della mozione Bersani. In questa fase politica e su questo tema infatti ritengo che sia decisivo che il Pd si presenti con una posizione chiara e unitaria». Preoccupatissimi al riguardo anche i soldati di Di Pietro: «Qual è la posizione del Pd sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare? Quella contraria di Anna Finocchiaro o quella favorevole di Marco Follini? Chiediamo ai tre candidati alla segreteria di esprimersi chiaramente su questo tema» si domanda e domanda agli alleati Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera. «Come spesso accade - ha aggiunto Donadi - il Pd parla a più voci, ma è chiaro che se la posizione del partito fosse quella di Follini, peserebbe come un macigno sulla possibilità di future alleanze. L’immunità sarebbe un premio ai corrotti ed un incentivo alla corruzione». Parole chiare e memoria corta, come accennavamo all’inizio. Già, perché giusto per rimanere in casa Idv, val la pena di ricordare, è storia di pochi mesi fa, che proprio Antonio Di Pietro, sempre in prima fila contro i privilegi concessi ai politici, si è riparato dietro l’immunità parlamentare, riconosciutagli dal Parlamento europeo, per sfuggire alla causa per diffamazione che l’ex giudice romano Filippo Verde gli aveva intentato. Il processo a suo carico infatti non ci sarà: perché Di Pietro diffamò Verde nell’esercizio delle sue prerogative di (all’epoca) europarlamentare. Dietro lo scudo dell’immunità dell’europarlamento si è ben protetto anche un’altra vecchia volpe della politica anti-berlusconiana, quel Massimo D’Alema, graziato dall’assemblea comunitaria, che ha respinto la richiesta della Procura di Milano, di saperne di più sui colloqui telefonici del 2005 con Consorte, sui tentativi di scalata alla Bnl. Quella faccenduola che fece pensare ad «insider trading», come qualcuno certamente ricorderà. E sì, nel giugno 2003 furono davvero lungimiranti gli esponenti italiani dell’Internazionale socialista che votarono compatti a favore della concessione di un prerogativa contro cui adesso nel loro Paese si scagliano. Comunque, guardando al passato c’è da sorprendersi ancor più. Sì, perché dall’analisi delle 1.689 richieste di autorizzazione a procedere votate alla Camera dalla prima all’undicesima legislatura, prima cioè che il Parlamento riformasse l’articolo 68 della Costituzione, il 29 ottobre del 1993, limitando l’immunità dei parlamentari solo alle «opinioni espresse e ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» emergono risultati assolutamente curiosi. Pensate che i parlamentari del Partito comunista sono in cima alla classifica delle richieste di autorizzazione a procedere nei loro confronti ma anche delle grazie ricevute: 552 richieste di autorizzazione avanzate dai giudici di cui 432 vennero bocciate e 120 accolte mentre i democristiani, invece, per i quali i magistrati chiesero 313 volte l’autorizzazione, si sono salvati solo 174 volte. Ma guarda le sorprese della Storia.
sabato 10 ottobre 2009
Gli schizofrenici
La sinistra critica lo scudo, poi lo usa in Europa di Gabriele Villa
Immunità parlamentare? Massì, forse, in fondo. Magari è meglio. Perlomeno parliamone. Concetto espresso chiaramente dalla seguente dichiarazione: «L’utilità di ripristinare una garanzia parlamentare così come la disegnarono i costituenti con l’articolo 68 non mi pare solo un raffinato esercizio di politologia. È un argomento su cui si può aprire, io credo, un confronto parlamentare nel solco della Costituzione». Poche parole, ma molto significative, quelle pronunciate ieri da Marco Follini, senatore del Pd e presidente della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama, riguardo alle conseguenze che derivano dalla bocciatura del Lodo Alfano. Poche parole che sono bastate a far scattare il detonatore delle polemiche in seno ad uno schieramento di sinistra che, non solo ha, una volta di più, mostrato segni di schizofrenia (dimenticando il passato, anche recente. E i vari corsi e ricorsi allo scudo dell’immunità da parte di molti autorevoli predicatori del loro stesso pulpito) ma si è immediatamente attivato per coprire d’insulti il «compagno» di molte avventure politiche. «Spero che il Marco Follini di oggi che invita a parlare del ripristino sull’immunità parlamentare sia solo un omonimo dell’autorevole esponente della mozione Bersani, un omonimo che senz’altro non ha vissuto nel nostro Paese fino al 1993» ha ironizzato un altro senatore, Stefano Ceccanti, suo collega di partito. In ogni caso se è un omonimo di Follini bene, se invece è proprio lui, mi chiedo che cosa ne pensino gli altri autorevoli esponenti della mozione Bersani ed invito anche lui a rifletterci meglio». «È singolare - gli ha fatto eco Marco Minniti, deputato del Pd - che la bocciatura del Lodo Alfano riapra la discussione sull’immunità parlamentare. Questo strumento ha comportato in passato gravi problemi e il fatto che, confrontato alle misure proposte dal governo Berlusconi, esso possa risultare il male minore, non cambia la sostanza fortemente negativa di un istituto vecchio e inefficace». «Soprattutto, è inaccettabile e anche un po’ vergognoso - ha rincarato la dose Minniti - che il problema venga posto ora, dopo il pronunciamento della Corte. Per questo, sebbene conosca e rispetti l'autonomia di giudizio di Marco Follini, spero però non abbia espresso su questo argomento la posizione ufficiale della mozione Bersani. In questa fase politica e su questo tema infatti ritengo che sia decisivo che il Pd si presenti con una posizione chiara e unitaria». Preoccupatissimi al riguardo anche i soldati di Di Pietro: «Qual è la posizione del Pd sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare? Quella contraria di Anna Finocchiaro o quella favorevole di Marco Follini? Chiediamo ai tre candidati alla segreteria di esprimersi chiaramente su questo tema» si domanda e domanda agli alleati Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera. «Come spesso accade - ha aggiunto Donadi - il Pd parla a più voci, ma è chiaro che se la posizione del partito fosse quella di Follini, peserebbe come un macigno sulla possibilità di future alleanze. L’immunità sarebbe un premio ai corrotti ed un incentivo alla corruzione». Parole chiare e memoria corta, come accennavamo all’inizio. Già, perché giusto per rimanere in casa Idv, val la pena di ricordare, è storia di pochi mesi fa, che proprio Antonio Di Pietro, sempre in prima fila contro i privilegi concessi ai politici, si è riparato dietro l’immunità parlamentare, riconosciutagli dal Parlamento europeo, per sfuggire alla causa per diffamazione che l’ex giudice romano Filippo Verde gli aveva intentato. Il processo a suo carico infatti non ci sarà: perché Di Pietro diffamò Verde nell’esercizio delle sue prerogative di (all’epoca) europarlamentare. Dietro lo scudo dell’immunità dell’europarlamento si è ben protetto anche un’altra vecchia volpe della politica anti-berlusconiana, quel Massimo D’Alema, graziato dall’assemblea comunitaria, che ha respinto la richiesta della Procura di Milano, di saperne di più sui colloqui telefonici del 2005 con Consorte, sui tentativi di scalata alla Bnl. Quella faccenduola che fece pensare ad «insider trading», come qualcuno certamente ricorderà. E sì, nel giugno 2003 furono davvero lungimiranti gli esponenti italiani dell’Internazionale socialista che votarono compatti a favore della concessione di un prerogativa contro cui adesso nel loro Paese si scagliano. Comunque, guardando al passato c’è da sorprendersi ancor più. Sì, perché dall’analisi delle 1.689 richieste di autorizzazione a procedere votate alla Camera dalla prima all’undicesima legislatura, prima cioè che il Parlamento riformasse l’articolo 68 della Costituzione, il 29 ottobre del 1993, limitando l’immunità dei parlamentari solo alle «opinioni espresse e ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» emergono risultati assolutamente curiosi. Pensate che i parlamentari del Partito comunista sono in cima alla classifica delle richieste di autorizzazione a procedere nei loro confronti ma anche delle grazie ricevute: 552 richieste di autorizzazione avanzate dai giudici di cui 432 vennero bocciate e 120 accolte mentre i democristiani, invece, per i quali i magistrati chiesero 313 volte l’autorizzazione, si sono salvati solo 174 volte. Ma guarda le sorprese della Storia.
Immunità parlamentare? Massì, forse, in fondo. Magari è meglio. Perlomeno parliamone. Concetto espresso chiaramente dalla seguente dichiarazione: «L’utilità di ripristinare una garanzia parlamentare così come la disegnarono i costituenti con l’articolo 68 non mi pare solo un raffinato esercizio di politologia. È un argomento su cui si può aprire, io credo, un confronto parlamentare nel solco della Costituzione». Poche parole, ma molto significative, quelle pronunciate ieri da Marco Follini, senatore del Pd e presidente della giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama, riguardo alle conseguenze che derivano dalla bocciatura del Lodo Alfano. Poche parole che sono bastate a far scattare il detonatore delle polemiche in seno ad uno schieramento di sinistra che, non solo ha, una volta di più, mostrato segni di schizofrenia (dimenticando il passato, anche recente. E i vari corsi e ricorsi allo scudo dell’immunità da parte di molti autorevoli predicatori del loro stesso pulpito) ma si è immediatamente attivato per coprire d’insulti il «compagno» di molte avventure politiche. «Spero che il Marco Follini di oggi che invita a parlare del ripristino sull’immunità parlamentare sia solo un omonimo dell’autorevole esponente della mozione Bersani, un omonimo che senz’altro non ha vissuto nel nostro Paese fino al 1993» ha ironizzato un altro senatore, Stefano Ceccanti, suo collega di partito. In ogni caso se è un omonimo di Follini bene, se invece è proprio lui, mi chiedo che cosa ne pensino gli altri autorevoli esponenti della mozione Bersani ed invito anche lui a rifletterci meglio». «È singolare - gli ha fatto eco Marco Minniti, deputato del Pd - che la bocciatura del Lodo Alfano riapra la discussione sull’immunità parlamentare. Questo strumento ha comportato in passato gravi problemi e il fatto che, confrontato alle misure proposte dal governo Berlusconi, esso possa risultare il male minore, non cambia la sostanza fortemente negativa di un istituto vecchio e inefficace». «Soprattutto, è inaccettabile e anche un po’ vergognoso - ha rincarato la dose Minniti - che il problema venga posto ora, dopo il pronunciamento della Corte. Per questo, sebbene conosca e rispetti l'autonomia di giudizio di Marco Follini, spero però non abbia espresso su questo argomento la posizione ufficiale della mozione Bersani. In questa fase politica e su questo tema infatti ritengo che sia decisivo che il Pd si presenti con una posizione chiara e unitaria». Preoccupatissimi al riguardo anche i soldati di Di Pietro: «Qual è la posizione del Pd sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare? Quella contraria di Anna Finocchiaro o quella favorevole di Marco Follini? Chiediamo ai tre candidati alla segreteria di esprimersi chiaramente su questo tema» si domanda e domanda agli alleati Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera. «Come spesso accade - ha aggiunto Donadi - il Pd parla a più voci, ma è chiaro che se la posizione del partito fosse quella di Follini, peserebbe come un macigno sulla possibilità di future alleanze. L’immunità sarebbe un premio ai corrotti ed un incentivo alla corruzione». Parole chiare e memoria corta, come accennavamo all’inizio. Già, perché giusto per rimanere in casa Idv, val la pena di ricordare, è storia di pochi mesi fa, che proprio Antonio Di Pietro, sempre in prima fila contro i privilegi concessi ai politici, si è riparato dietro l’immunità parlamentare, riconosciutagli dal Parlamento europeo, per sfuggire alla causa per diffamazione che l’ex giudice romano Filippo Verde gli aveva intentato. Il processo a suo carico infatti non ci sarà: perché Di Pietro diffamò Verde nell’esercizio delle sue prerogative di (all’epoca) europarlamentare. Dietro lo scudo dell’immunità dell’europarlamento si è ben protetto anche un’altra vecchia volpe della politica anti-berlusconiana, quel Massimo D’Alema, graziato dall’assemblea comunitaria, che ha respinto la richiesta della Procura di Milano, di saperne di più sui colloqui telefonici del 2005 con Consorte, sui tentativi di scalata alla Bnl. Quella faccenduola che fece pensare ad «insider trading», come qualcuno certamente ricorderà. E sì, nel giugno 2003 furono davvero lungimiranti gli esponenti italiani dell’Internazionale socialista che votarono compatti a favore della concessione di un prerogativa contro cui adesso nel loro Paese si scagliano. Comunque, guardando al passato c’è da sorprendersi ancor più. Sì, perché dall’analisi delle 1.689 richieste di autorizzazione a procedere votate alla Camera dalla prima all’undicesima legislatura, prima cioè che il Parlamento riformasse l’articolo 68 della Costituzione, il 29 ottobre del 1993, limitando l’immunità dei parlamentari solo alle «opinioni espresse e ai voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» emergono risultati assolutamente curiosi. Pensate che i parlamentari del Partito comunista sono in cima alla classifica delle richieste di autorizzazione a procedere nei loro confronti ma anche delle grazie ricevute: 552 richieste di autorizzazione avanzate dai giudici di cui 432 vennero bocciate e 120 accolte mentre i democristiani, invece, per i quali i magistrati chiesero 313 volte l’autorizzazione, si sono salvati solo 174 volte. Ma guarda le sorprese della Storia.
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