giovedì 1 ottobre 2009

Colpa dell'ignoranza...

Lo zio: «Metti il velo o t’ammazzo». Giovane islamica scappa da casa. Minacciata dai familiari, è rifugiata in una località segreta. «Adesso spero di trovare lavoro»

MILANO - «Cerco un lavoro, posso chiedere a voi?».
Si è presentata così a un incontro per le straniere promosso dallo Sportel­lo Donna del Comune di Abbiategrasso un’islamica le cui generalità devono ri­manere segrete. Da allora la sua vita è cambiata. Il lavoro non l'ha ancora tro­vato. Ma ha ottenuto qualcosa di più im­portante: un posto in una casa famiglia, in una località segreta in Lombardia, do­ve può riprendere in mano le redini del­la sua vita. La donna, che ha 33 anni, forse avreb­be fatto la fine di Hina, o di Sanaa, le due giovani assassinate per aver scelto uno stile di vita «troppo occidentale». Anche lei si è sentita dire «Ti ammazzo» dai suoi fratelli e dagli zii che la segrega­vano in casa e la obbligavano a indossa­re il «niqab», il velo che lascia scoperto solo gli occhi attraverso una fessura, perfino tra le mura domestiche. Se si ri­bellava, erano botte. Una vita che lei, cre­sciuta fino all'adolescenza in una città della Toscana, dove aveva anche fre­quentato le scuole dell'obbligo, non era più disposta a sopportare. Ha racconta­to la verità alle operatrici dello sportello comunale. «Non è vero che cerco lavoro. Sono scappata di casa, ma se mi trovano è fi­nita». Così, in collaborazione con il Co­mune dove abitava, è partito l'iter che le ha permesso di trovare alloggio in una casa famiglia fuori provincia. «Sta impa­rando di nuovo a vivere in società - spie­gano gli educatori - Per anni le è stato imposto di tenere gli occhi abbassati quando parlava con i capifamiglia o semplicemente altri uomini». Alle ope­ratrici dello sportello donna, ha fatto avere un messaggio: «Ho finalmente tro­vato qualcuno che mi ha ascoltata. Non sono ancora pronta per trovare un im­piego e vivere da sola, ma ce la farò». «Quando si è presentata a quell'in­contro, promosso insieme a un consul­torio le abbiamo proposto di fare do­manda come commessa. Lei invece vole­va fare la badante - racconta chi ha rac­colto il suo sfogo - Poi mentre parlava, è scoppiata in lacrime». Così, ha raccon­tato la sua storia. «Per un po' ho lavora­to in una mensa. Ora mi costringono a curare i miei nipoti, a indossare il velo in casa e non posso uscire. Ho protesta­to, mi hanno picchiata e mi hanno detto che mi ammazzano. Ho preso l'autobus e sono scappata». Dal Comune precisa­no che la donna non viveva a Abbiate­grasso, dove, fra l'altro, c'è una comuni­tà islamica che collabora costantemente con il municipio e la parrocchia. «L'epi­sodio in questione è molto grave, ma è importantissimo non fare di tutta l'erba un fascio - sottolinea invece Elena Sach­sl, direttore sanitario dell'ambulatorio del «Naga», l'associazione milanese che offre assistenza medica e legale e agli immigrati - la violenza sulle donne non c'entra nulla con la religione. L'islam in­segna all'uomo che la donna va protetta e tutelata, anche l'uso del velo nasce in questo senso. Poi ci sono invece gli abu­si, come quello in questione. Si tratta pe­rò di usanze culturali, e non religiose, e la cultura non si cambia da un giorno all'altro. Inoltre, il clima persecutorio che le famiglie immigrate vivono in que­sto periodo di certo non aiuta, anzi ina­sprisce le situazioni già delicate».

Giovanna Maria Fagnani

2 commenti:

Anonimo ha detto...

è ovvio che sia colpa di noi Italiani razzisti e xenofobi, ignoranti e incapaci di capire l'altrui cultura
Artemisia

kizzy ha detto...

Ma che cretina quella tipa, non ha capito un c***o... 'la religione non c'entra', eh già no.