Don Ottaviano, che cosa succede nel quartiere? «C’è troppa tensione sociale. Gli incendi di questi giorni hanno esasperato gli animi. È come se avessero dato la stura al malessere dei residenti».
Qual è il problema? «Viviamo nel quartiere più multietnico di Torino. Tutti gli extracomunitari vengono ad abitare qui. Vent’anni fa celebravo 100 matrimoni all’anno, nel 2008 solo 14: si rende conto?». La chiesa di Maria Regina della Pace è nel cuore di Barriera di Milano. Il parroco, don Ottaviano Pizzamiglio, origini venete, arriva in ufficio tenendo in mano una busta stropicciata. Dentro ci sono foto di auto bruciate, carcasse quasi irriconoscibili. L’altra notte un rogo ha annerito anche il muro perimetrale della sua chiesa. Ecco perché il fuoco lo riguarda da vicino, come la rabbia che cova sotto le cenere.
Perché la gente di Barriera sta male? «Con l’islam c'è una diversità culturale incolmabile. Mi dispiace doverlo dire, ma è così».
Che cosa significa? «Le donne ti guardano da dietro al velo, mettono subito una distanza. I bambini non hanno la minima idea della cura del corpo e del rispetto, non sono educati, non sanno fare neppure pipì. I maghrebini, in generale, mancano di pulizia, igiene, si comportano in maniera poco corretta. In molti casi sono peggio degli zingari».
Questo lei non lo chiama razzismo? «No, è vita quotidiana, prova sul campo. Non è razzismo. Purtroppo i maghrebini stentano a capire. Non vogliono adattarsi al nostro modo di vivere, il loro menefreghismo crea molta insofferenza».
Gli incendi che cosa c’entrano? «I roghi delle auto, con relativi danni economici, hanno amplificato il senso di insicurezza del quartiere. E poi c’è un altro problema».
Quale? «I drogati. Nessuno li vuole: sono maledetti, i veri lebbrosi di oggi. Ma si bucano anche qui, sulla scale della chiesa, davanti alla scuola materna. L’altro giorno non ce l’ho più fatta, ho perso la pazienza: "Andatevene via. Altrimenti verranno a cacciarvi con i bastoni".
Un’allusione alle ronde? «Mi è scappata».
Vuole dei giustizieri davanti al sagrato? «No, non li voglio. Ma capisco la gente che scende in strada. Il disagio è reale, acutissimo. Come cristiano e come parroco devo impegnarmi per cercare un sentiero nuovo di integrazione e carità. Ma è davvero difficile».
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