giovedì 12 marzo 2009

In risposta a Franceschini

"Così puniscono gli unici italiani che spendono e salvano il Paese" di Guido Mattioni

Milano - «A volerla chiamare con il suo nome, questa è una tassa». Evita come suo solito i giri di parole, Guidalberto Guidi, amministratore delegato e presidente della Ducati Energia, nonché presidente delle Federazioni Anie (elettronica) e Ancma (moto e componenti) aderenti alla Confindustria. E pur premettendo un «doveroso distinguo», si schiera subito in modo negativo rispetto alla proposta del segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, per introdurre un contributo straordinario di due punti percentuali sui redditi superiori ai 120mila euro da destinare alle fasce più deboli.

Qual è il doveroso distinguo, presidente Guidi? «Che senza alcun dubbio esiste in Italia, e purtroppo non soltanto in Italia, un problema di nuove povertà e di categorie deboli che è doveroso aiutare e sostenere, soprattutto tenendo conto che con il sempre più massiccio ricorso alla cassa integrazione, saranno in tanti gli italiani che dovranno ahimè cercare di sopravvivere con 840 euro al mese».

Premesso questo? «Detto questo vorrei ricordare a chi ha fatto questa proposta, o a chi la appoggia, che qui stiamo parlando di punire ulteriormente redditi netti compresi tra i 5.000 e i 5.500 euro mensili. Redditi che sono senz’altro molto buoni, ma che di certo non equivalgono a ricchezze stratosferiche e quindi per questo da punire. Stiamoci quindi attenti, dico io...».

A che cosa dobbiamo stare attenti, dottor Guidi? «Al fatto che se ancora in questo Paese i consumi reggono almeno un pochettino, lo dobbiamo proprio a questi che fortunatamente non sono redditi di pura sussistenza. Se il sistema insomma resiste, lo dobbiamo proprio a queste categorie che possono permettersi di spendere».

Penalizzarle, lei dice, sarebbe quindi controproducente in un momento di registratori di cassa stanchi di trillare? «Certo. Anche perché, signori miei, cerchiamo di non dimenticarcelo, adesso è proprio questa classe medio alta di quadri, di middle manager, di professionisti, quella più a rischio di perdere il posto di lavoro. E senza magari le stesse garanzie. Questo, ripeto, ribadendo il concetto che degli importanti sacrifici a favore dei meno fortunati si dovrebbero e si potrebbero fare. Solo che a mio avviso sono altri».

Per esempio? «Al posto di questa che io chiamo una politica da Caritas, nella quale mi sembra rientrare l’uscita di Franceschini, penso infatti che si potrebbero fare appunto altri tagli».

Insisto: quali tagli, presidente Guidi? «Anzitutto mi piacerebbe tanto, glielo confesso, il “sacrificio” di chiudere tutte le sfarzose quanto totalmente inutili sedi diplomatiche estere che le nostre Regioni hanno aperto in Europa e in giro per il mondo, così come i loro uffici di rappresentanza a Roma».

Altro da sacrificare? «Certo, per esempio l’istituto dei Consorzi di Bonifica, che né io né lei sicuramente sappiamo che cosa siano e soprattutto a che cosa davvero servano. Soltanto in Emilia Romagna, per fare un esempio, questi enti vogliono dire 1.400 dipendenti con relativi stipendi, per non dimenticare i gettoni per retribuire i membri di 17 consigli di amministrazione e ovviamente i loro altrettanti presidenti. Enti che non servono a nulla. Eppure, quando qualcuno ha osato avanzare l’ipotesi di tagliarli, c’è stata una sollevazione».

E poi? Non ha magari dimenticato qualcosa? «E poi... e poi certo, mi piacerebbe che qualcuno ci venisse a dire entro quando o quanto tempo dovremo aspettare per vedere finalmente abolite le vecchie Province, il cui senso non si capisce dal momento che ci sono già le Regioni. Quello che voglio dire, insomma, è che bisognerebbe procedere a questi “sacrifici”, prima di proporre un’altra tassa sotto diversa forma».

Qualcuno dirà che però intanto in questo Paese si evade, e parecchio. «È vero ed è scandaloso che avvenga, io sono il primo a dirlo. Ma sono anche il primo a sostenere, dato che è una verità inoppugnabile, che l’unico modo per ridurre l’evasione è soltanto quello che passa da un forte abbassamento delle aliquote. Il resto è demagogia nel momento in cui siamo entrati in un territorio sconosciuto come quello attuale».

Quale territorio, presidente? «Quello in cui noi, insieme a tutto il mondo, assistiamo alla saldatura tra la crisi industriale a quella finanziaria. Qualcosa che non si era mai visto. Rendiamocene conto: ci sono interi pezzi di mondo, interi Paesi, che stanno fallendo».

Per dirla con Lenin: che fare? «Questo è il problema, perché mi pare che al momento nessuno abbia la ricetta. Si tampona qua e là. L’unica soluzione che vedrei sarebbe quella che l’Italia e l’intera Europa lanciassero un loro piano Marshall per sostenere gli investimenti nei settori che hanno più futuro, come i trasporti, le ferrovie, le reti telematiche. Per fare sì, insomma, che tra qualche tempo ci possiamo risvegliare in un Paese che si trovi su un gradino più alto rispetto a oggi».

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