giovedì 5 marzo 2009

Disoccupazione

La Lega: stop agli stranieri e incentivi per chi rimpatria Passa in Commissione l’emendamento del Carroccio. L’obiettivo: diminuire la disoccupazione dando la precedenza agli italiani di Guido Mattioni

Da «moratoria» a «blocco». Perché anche la semantica deve fare i conti con la crisi. Così, nella stessa Lega, quella parola blanda che fino a ieri per bocca del ministro Roberto Maroni avrebbe potuto rappresentare un argine temporaneo, almeno biennale, all’incessante flusso degli immigrati regolari, in questi tempi di occupazione calante e cassa integrazione crescente ha dovuto acquisire gravità intrinseca e durezza espressiva. Per dirla con le stesse parole del quotidiano La Padania, «con l’esacerbarsi della crisi mondiale il tema è stato riproposto dal Carroccio con più forza e in modo più organico». Non a caso organica, oltre che più forte, è infatti la proposta in materia di flussi migratori contenuta nell’emendamento che i parlamentari leghisti Rosy Mauro, Sergio Divina, Sandro Mezzatorta e Lorenzo Bodega sono riusciti a inserire, in Commissione al Senato, nel ddl di riforma del processo civile. In sintesi, la proposta intende da un lato bloccare gli arrivi di nuovi immigrati con permesso di lavoro e dall’altro incentivare gli stranieri regolari già presenti sul territorio italiano, ma trovatisi disoccupati, a ritornare volontariamente nei propri Paesi d’origine. Anche con un incentivo economico, sulla falsariga di quanto ha deciso in Spagna il governo socialista di José Luis Rodriguez Zapatero (un sussidio di disoccupazione in cambio dell’impegno di non rientrare nel Paese per almeno tre anni). In merito a questo punto, l’iniziativa leghista prevede inoltre una corsia preferenziale per giungere a intese con quei Paesi che già «hanno sottoscritto accordi di rimpatrio o di collaborazione nella gestione dei flussi dell’immigrazione clandestina», favorendo lo sconto della pena nelle carceri dei luoghi d’origine agli stranieri colpevoli di reati in Italia.Obiettivo urgente della Lega è comunque e innanzitutto quello di «reimpiegare i nostri lavoratori», scandendo così «un ordine delle priorità che altri partiti hanno remore a esplicitare», ha detto il capogruppo a Montecitorio, Roberto Cota. Al quale ha fatto eco la senatrice Mauro ricordando che «come sindacato Padano sono 20 anni che diciamo che in questo Paese non serve manodopera extracomunitaria». E aggiungendo che anziché «dire che ci sono lavori che non fa più nessuno, bisognerebbe iniziare a pagarli meglio». È ovvio e prevedibile che ora ci sarà chi, da sinistra, si affretterà a definire xenofoba e razzista la proposta targata Lega. In realtà, a ben guardare, a parte il succitato analogo provvedimento del governo socialista spagnolo, anche in casa nostra idee e punti di vista stanno cambiando. Questo perché i numeri della crisi - a febbraio c’è stato il boom della cassa integrazione ordinaria nel comparto industriale, con un più 553,17% rispetto allo stesso mese del 2008 - sono tali da non influire soltanto sulla semantica, come si è visto, ma anche sugli schemi ideologici. Spesso ribaltandoli. Nella concreta e pragmatica provincia di Treviso, dove gli stranieri sono il doppio rispetto alla media nazionale (100mila immigrati, 85mila i regolari) è stato lo stesso segretario provinciale della Cgil, Paolino Barbiero, uno che ascolta il tam tam delle fabbriche, a dire per primo «basta a nuovi ingressi di stranieri finché non saranno ricollocati quelli lasciati a casa dalle aziende». Sempre da sinistra gli ha fatto eco - «è ipocrita far finta che il mondo sia diverso da com’è» - il consigliere comunale del Pd trevigiano, Giovanni Tonella, per il quale la priorità «è salvare i posti che ci sono». Divertente poi il fatto che a replicare al segretario nazionale della Cgil, Guglielmo Epifani, incaponito nel chiedere più regolarizzazioni di immigrati (forse per compensare i vuoti di iscritti «italiani») e appoggiato in questo - altra diversità veneta - dagli industriali locali, è uno ancora più a sinistra. Ovvero il consigliere regionale veneto dei comunisti italiani, Nicola Atalmi, che si è chiesto dove vivano Epifani e i suoi, mentre «qui le fabbriche chiudono e licenziano. Eppure noi siamo qui a parlare ancora di quote. Sì, di disoccupati».

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