E entra in rotta di collisione con Berlusconi. Sconfessato platealmente dalla Consulta, che ha considerato carta straccia la motivazioni scritte con cui approvò il Lodo Alfano, Giorgio Napolitano ha commesso un grave errore. Non perché ha detto che le decisioni della Consulta vanno rispettate – un'ovvietà – ma perché non ha detto altro. E doveva dirlo, perché nelle ore precedenti aveva garantito Berlusconi a più riprese – come testimoniano i report dal Quirinale del Corriere della Sera, non certo filo governativo, e di altri quotidiani – che avrebbe esercitato una moral suasion sulla Consulta per una sentenza di mediazione. Quando Berlusconi afferma «mi sento preso in giro», si riferisce proprio alle reiterate assicurazioni che Napolitano ha fatto giungere a palazzo Grazioli circa questo esito, circa questa moral suasion. La sua decisione di far finta di nulla, questo suo ritirare la mano dopo aver lanciato il sasso, il suo lasciare Berlusconi completamente scoperto, dopo avergli autorevolmente assicurato copertura istituzionale, hanno aggravato la crisi istituzionale che la Consulta – forse senza rendersene neanche conto – ha aperto.Un Napolitano ''re tentenna'', come affermano molti commentatori – non solo del centro destra – che delude, dopo anni di impeccabile reggenza del colle più alto.Ora, dopo le tempeste di queste ore, è più che probabile che la crisi istituzionale tra governo, Consulta e Quirinale, trovi una sua ricomposizione di facciata, ma resta il vulnus di un comportamento di Napolitano ondeggiante. Se aveva deciso di esporsi quale ''notaio della Costituzione'' giudicando che il Lodo Alfano poteva essere contenuto in una legge normale e con necessitava di una riforma della Costituzione, come ha fatto, se aveva giudicato il Lodo ''corrispondente alle notazioni della Consulta nel 2004'', come ha fatto, nel momento in cui queste sue affermazioni sono state stracciate dalla Consulta stessa, non poteva rifugiarsi un una posizione di rispetto formale della Consulta. Doveva compiere un gesto politico-istituzionale, doveva offrire – come aveva assicurato – una sponda a Berlusconi per il futuro. Non l'ha fatto, gli ha detto di fatto di considerarsi un imputato.Un piccolo disastro che avrà conseguenze non lievi.
La Corte e la Costituzione di Davide Giacalone
L’Italia della gente normale mantiene i nervi a posto, anche se bombardata da una comunicazione che parla di crisi, disastri e dissolvimento istituzionale. Forse anche l’Italia istituzionale farebbe bene a controllare i nervi, parlando con parole nette, univoche, non indirizzate a riempire il vuoto d’idee e di riforme. Lo spettacolo che abbiamo davanti agli occhi, insomma, non è edificante. Tenere i nervi a posto non significa tacere, prestandosi ad una pericolosa omertà. Denunciai, in occasione delle ultime due designazioni del presidente della Corte Costituzionale, un evidente e scandalosa violazione della Costituzione. E’ dall’inizio degli anni novanta (non a caso dall’inizio del disfacimento istituzionale) che è invalso l’uso d’eleggere presidente il più anziano per nomina, vale a dire quello che lo farà per meno tempo. In questo modo si sanciscono due principi: a. anche nella più alta Corte si fa carriera per anzianità, come in tutto il resto della scassata ed inefficiente magistratura; b. i presidenti diventano numerosi, e con l’allungarsi della vita media gli ex si moltiplicano, assieme ai costi. Due cattivi esempi, in un colpo solo. Ora vi faccio entrare in una ristrettissima élite, comprendente i pochissimi che la Costituzione l’hanno letta e non ne cianciano a vanvera. Articolo 135, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile …”. Dal che deriva che la Corte Costituzionale si comporta in modo incostituzionale. Fatto di una certa gravità. Se la politica funzionasse avrebbe sollevato il problema per tempo, non scatenando guerre dopo una sentenza che, nel bene e nel male, oramai è un dato ineludibile. Affinché la politica non si trasformi in una lite da cortile occorre che i protagonisti sappiano prevedere e provvedere. Il caso che ho citato (ed è solo uno) rappresenta un esempio di come e su cosa si sarebbe potuta fare una battaglia a favore del diritto e della Costituzione, mettendo in mora un consesso che ha deragliato. Invece su queste cose si tace, magari pensando che una mano lava l’altra, favorendo la chiusura autoreferenziale, che non è il trionfo dell’autonomia, ma della rozzezza e dell’egoismo. Poi, a che serve strepitare per i risultati? La maggioranza di governo, qui ed oggi, riprenda l’iniziativa riformista. Le cose giuste da farsi, in tema di giustizia, sono talmente tante che è quasi più difficile sbagliare che indovinare. Si muova avendo in mente i tantissimi italiani che soffrono l’assenza di giustizia, prenda a riferimento non i casi singoli, ma i numeri di uno sfascio che ci espone al pubblico ed internazionale ludibrio. Da quelli tragga forza per battere le resistenze corporative, portando risultati tangibili, accorciando i tempi incivili dei nostri tribunali, portando i colpevoli a scontare le pene. Vedrete che, a quel punto, non sarà difficile dire che, uscendo da una situazione patologica, che si trascina da diciassette anni e che ha radici ancora più vecchie, si può anche cancellare il passato, in cambio di un presente accettabile. La guerra senza riforme, i nervi tesi senza muscoli per cambiare le cose, servono solo a protrarre un’inutile fibrillazione. Con il cuore del Paese oramai assai provato.
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