MESSINA — Non è solo una sentenza civile, l’ultimo punto di una storica contesa fra due imperi editoriali. Quella sulla Mondadori per Silvio Berlusconi è una decisione non solo «profondamente ingiusta» nel merito e nel calcolo economico del risarcimento, ma è soprattutto l’ultimo tassello di un attacco contro la sua persona che ha scadenze temporali ben definite. Lo ha spiegato bene ieri Fabrizio Cicchitto, che ha indicato in precisi ambienti finanziari e politici italiani, non rassegnati al voto popolare del 2008, la regia di un attacco concentrico, contro il Cavaliere, iniziato nel 1994 con le accuse di mafia, proseguito in questi mesi con la vicenda delle feste e delle escort e culminato al momento, ma solo al momento, con il provvedimento giudiziario che ha condannato l’azienda del capo del governo a risarcire circa 1500 miliardi di vecchie lire al gruppo editoriale concorrente. Raccontano che il premier sia letteralmente infuriato per la sentenza della magistratura. Ne ha parlato lui stesso in privato: prima di lasciare Milano ieri mattina, in volo diretto per Messina, dove ha visitato i luoghi delle frane, al rientro ieri sera. Per il capo del governo il provvedimento giudiziario è stato un fulmine a ciel sereno. Non se l’aspettava. Si aspetta altro, dall’inchiesta incardinata alla procura di Bari, dalle vicende che hanno sin qui scavato nella sua vita privata, ma non si attendeva quello che sabato sera hanno deciso i giudici milanesi. A suo giudizio, ammesso e ovviamente non concesso che la sentenza abbia un fondamento giuridico, che il merito sia quello definito dalle toghe, la cifra che è stata messa nero su bianco è una totale follia. Lo dice e lo ripete in base ai calcoli economici che ha fatto, ai giuristi che ha consultato, al valore di Borsa e iscritto in bilancio — di allora e di oggi — delle aziende di cui è discusso nel procedimento giudiziario. Esiste la preoccupazione di non riuscire a fermare l’esecutività del provvedimento. Non tanto e non soltanto, appunto, per il carattere esecutivo, ma soprattutto perché un ricorso contro la sentenza va presentato sempre davanti a giudici milanesi e quando al Cavaliere dicono che sarà Milano ad occuparsi di lui la reazione è sempre la stessa: ieri come in altre occasioni, sull’imparzialità delle toghe che devono giudicare sui suoi affari e sui suoi procedimenti, «figuriamoci se cambiano...». La preoccupazione per il possibile, considerato astronomico, esborso finanziario, è comunque solo una faccia della medaglia, della furia che ha investito gli interlocutori del Cavaliere in queste ore. L’umore è come avviene in questi casi oscillante fra due poli opposti: la voglia di mollare tutto, di «andare anche all’estero, perché ti fanno passare la voglia», ma anche la convinzione di non dover mollare di un centimetro, perché vittima di una concatenazione di eventi «ad orologeria», congegnati e intrecciati fra loro. Prima i processi, dopo la vita privata, ora il patrimonio. A poche ore dalla sentenza della Consulta che dovrà giudicare della legittimità del cosiddetto lodo Alfano. Basta questo timing per convincere ulteriormente il presidente del Consiglio che è in atto contro di lui una sorta di complotto organizzato da più fonti, su più versanti. Una grande manifestazione di piazza, una dimostrazione di forza chiamando a raccolta il suo elettorato, è una delle risposte che si sta prendendo in considerazione. Insieme all’altro polo di un umore che dopo lo scoramento gli fa dire comunque: «Io non mollerò mai». Con il tono della voce calcato sull’avverbio.
Marco Galluzzo
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