
sabato 31 ottobre 2009
Halloween time

venerdì 30 ottobre 2009
Politically correct
WASHINGTON – Sorpresa: Halloween non deve più essere la festa delle streghe, dei vampiri, dei mostri, degli zombie e via di seguito. Deve essere la festa dei "pets" o animali domestici, delle fiabe, del buonismo e della storia. Invece di terrore - e risa - deve suscitare buoni sentimenti. Lo decretano, riferisce il New York Times pubblicando le foto dei travestimenti consigliati e sconsigliati ai bambini, sempre più scuole americane. In questa versione politically correct, Halloween si ispira a film come Il mago di Oz e ai capolavori della Disney. Fate, non streghe insomma.
GLI ESEMPI - Il giornale adduce qualche esempio. Alle elementari di Riverside drive presso Los Angeles una circolare afferma che l’obbiettivo di Halloween è divertire senza spaventare: «Maschere sono ammesse solo alla sfilata. Sono vietate armi di plastica, legno ecc. Non si possono deridere religioni, razze, etnie». Idem alla vicina Scuola Disney di Burbank: «Niente trucco al volto, niente scherzi sciocchi». La lista è lunga. A Plainfield nell’Illinois le scuole propongono ai bambini di vestirsi come zucche, carote, grappoli di uva: spiega Tom Hernandez, un insegnante, che «in questo modo i bambini imparano anche a seguire un’alimentazione sana». Il Museo dell’infanzia di Chicago proibisce «tutto ciò che è offensivo» e promuove «i valori americani». Secondo il New York Times, è un eccesso di cautela. Ma una cautela figlia dell’esperienza. In America Halloween porta sempre qualche incidente: in casi estremi, un folle inserì lamette da barba in una mela, un altro spacciò per un giocattolo una rivoltella vera. Dalla strage delle Torri gemelle di Manhattan nel 2001, inoltre, l’incubo di nuovi attentati perseguita le forze dell’ordine. «Urge che tutti minimizzano i rischi» dichiara Hernandez «e trovino il giusto equilibrio tra un’antica tradizione e il tempo in cui viviamo». Jennifer Farrington del Museo dell’infanzia di Chicago è d’accordo: «C’è già troppa violenza al cinema e alla televisione, ai bambini occorre serenità».
HORROR RIDOTTO? - Resta da vedere se l’horror verrà drasticamente ridotto: la tv CNN ne dubita, ha presentato una carrellata di killer che agiteranno anche questa Halloween. Una cosa è certa: che non ne andrà di mezzo anche la satira politica, uno dei temi preferiti dei ragazzi del liceo e dell’università. Le scuole superiori che hanno adottato regolamenti severi sono molto poche, si prevede che le maschere di Obama e Hillary Clinton saranno tanto popolari quante quelle dell’ex presidente Bush e dell’ex vicepresidente Cheney gli anni scorsi, e che faranno loro concorrenza quelle degli eroi dei fumetti, da Batman all’uomo ragno.
Ennio Caretto
Halloween, le origini
Le origini di Halloween sono antichissime: risalgono all'epoca in cui Francia, Irlanda, Scozia e Inghilterra erano dominate dalla cultura celtica, prima che l'Europa cadesse sotto il dominio di Roma. Per i Celti l'anno nuovo non cominciava il 1° gennaio, come per noi oggi, bensì il 1° novembre, quando terminava ufficialmente la stagione calda ed inziava la stagione delle tenebre e del freddo. Alla fine di ottobre il lavoro nei campi era concluso, il raccolto era al sicuro ed i contadini potevano finalmente rilassarsi, preparandosi a vivere chiusi in casa per molti mesi, riparandosi dal freddo, costruendo utensili e trascorrendo le serate a raccontare storie e leggende. Ovviamente questo era il pretesto per organizzare la vigilia del 1° novembre la festa più importante dell'anno, una sorta di Capodanno dedicato a "Samhain". "Samhain" era una divinità, era considerato il Signore della Morte e il Principe delle Tenebre. I Celti credevano che alla vigilia di ogni nuovo anno, cioè il 31 Ottobre, Samhain chiamasse a sè tutti gli spiriti dei morti, che vivevano in una landa di eterna giovinezza e felicità chiamata Tir nan Oge. In questo giorno tutte le leggi dello spazio e del tempo erano come sospese e il velo che divideva il mondo dei vivi dal mondo dei morti si faceva più sottile, permettendo alle anime di mostrarsi, di comunicare con i viventi e di divertirsi alle loro spalle, fecendo scherzi ed impaurendoli con le loro apparizioni. "Samhain" era una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti all'allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. La notte del 31 ottobre i Celti si riunivano nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell'accensione del Fuoco Sacro e facevano sacrici animali. Vestiti con maschere grottesche ritornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro. Dopo questi riti i Celti festeggiavano per 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti. In Scozia la notte di Samhain gli abitanti dei villaggi seppellivano pietre nella terra, che venivano ricoperte di cenere e lasciate lì sino al mattino successivo. Se al mattino una pietra era stata smossa, significava che la persona che l'aveva seppellita sarebbe morta entro la fine dell'anno. In Irlanda si diffuse la tradizione di lasciare qualcosa da mangiare e del latte da bere fuori dalla porta, in modo che gli spiriti passando potessero rifocillarsi e decidessero di non fare degli scherzi agli abitanti della casa. Attraverso le conquiste romane Cristiani e Celti vennero in contatto. Durante il periodo della cristianizzazione dell'Europa, la Chiesa tentò di sradicare i culti pagani, ma non sempre vi riuscì. Nel tentativo di far perdere significato ai riti legati alla festa di Samhain, nell' 835 Papa Gregorio Magno spostò la festa di Ognissanti, dedicata a tutti i santi del Paradiso, dal 13 Maggio al 1° Novembre. Tuttavia l'influenza del culto di Samhain non fu sradicata e per questo motivo la Chiesa aggiunse, nel X secolo, una nuova festa: il 2 Novembre, Giorno dei Morti dedicato alla memoria delle anime degli scomparsi, che venivano festeggiati dai loro cari, mascherandosi da santi, angeli e diavoli e accendendo dei falò. In inglese Ognissanti si chiama All Hallows' Day; la vigilia del giorno di Ognissanti, cioè il 31 ottobre, si chiama All Hallow' Eve. Queste parole si sono trasformate prima in Hallows' Even, e da lì ad Halloween il passo è stato breve. Nonostante i tentativi della Chiesa cristiana di eliminare i riti pagani di Samhain, Halloween è rimasta una festa legata al mistero, alla magia, al mondo delle streghe e degli spiriti. Tra il 1845 e il 1850, a causa di una malattia che devastò le coltivazioni di patate, circa 700.000 Irlandesi emigrarono in America, portando con sè le loro usanze, tra cui anche quella di festeggiare Halloween. Negli Stati Uniti Halloween ha perso i suoi significati religiosi e rituali, ed è diventata un'occasione per divertirsi e organizzare party. Pare che ogni anno gli Americani spendano due milioni e mezzo di dollari in costumi, addobbi, feste per il 31 ottobre! L'abitudine di mascherarsi in occasione di Halloween deriva probabilmente dall'usanza celtica di indossare pelli di animali e maschere mostruose durante i riti di Samhain e dell'accensione del Fuoco Sacro, per spaventare gli spiriti e tenerli lontani dai villaggi. L'usanza dei bambini di bussare alle porte delle case gridando Trick or treat, che significa più o meno dolcetto o scherzetto, deriva dall'usanza dei Celti di lasciare cibo e latte fuori dalla porta, nella speranza di ingraziarsi gli spiriti ed evitare le loro malefatte. Quando gli Irlandesi arrivarono in America, scoprirono che le zucche erano molto più adatte di cipolle e rape per la costruzione delle tradizionali lanterne di Halloween. Quindi la tradizionale Jack o'lantern, simbolo incontrastato di questa festa, è ricavata da una zucca solo da circa 100 anni.
Ed eccoli qua, quelli che vanno sotto braccio all'islam delle violenze, delle guerre e delle lapidazioni. Ogni anno la stessa storia. Ma il problema islam resta e preferiscono ignorarlo.
La presa di posizione della comunità Papa Giovanni XXIII. «Halloween? È un rituale satanico». La comunità di don Benzi: «Ricorrenza che inneggia al macabro e all'orrore, i cattolici non la promuovano»
RIMINI - La comunità di don Benzi contro Halloween. «Il fenomeno che viene esaltato il 31 ottobre è un grande rituale satanico. Facciamo appello al mondo cattolico perché non promuova in nessun modo questa ricorrenza che inneggia al macabro e al'orrore» sostiene la Comunità Papa Giovanni XXIII. «Sappiano tutti i genitori - sostengono, con una nota, il responsabile dell'associazione Paolo Ramonda e l'animatore del servizio Antisette, don Aldo Bonaiuto - e tutti coloro che credono nei valori della vita, che la festa di Halloween è l' adorazione di Satana che avviene anche in modo subdolo attraverso la parvenza di feste e di giochi per giovani e bambini. Il sistema imposto di Halloween proviene da una cultura esoterico-satanica in cui si porta la collettività a compiere rituali di stregoneria, spiritismo, satanismo che possono anche sfociare in alcune sette in sacrifici rituali, rapimenti e violenze».
«GIORNO MAGICO PER I SATANISTI» - Halloween, sostiene l'associazione, «è per i satanisti il giorno più magico dell'anno e in queste notti si moltiplicano i rituali satanici come le messe nere, le iniziazioni magico-esoteriche e l'avvio allo spiritismo e stregoneria. Attenzione agli educatori e responsabili della società affinchè scoraggino i ragazzi a partecipare ad incontri sconosciuti, ambigui o addirittura ad alto rischio perchè segreti o riservati».
Mio padre, da piccolo intagliava le zucche. Aveva poco con cui giocare ma le zucche le aveva sempre. E con la polpa, mia nonna, ci faceva da mangiare. Io ho imparato ad intagliare le zucche con mio padre... a cucinare un pò meno anche se mia nonna ce la metteva tutta per insegnarmi. Il template richiama un pò la notte delle bambine cattive... E noi, qui, gli happy halloween e gli happy samhain li accettiamo tutti. :)
Come non detto...
BRUXELLES — Il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea ha concordato la firma del presidente ceco Vaclav Klaus sul Trattato di Lisbona, che consentirà la ratifica definitiva e l’introduzione delle due nuove cariche di presidente stabile dell’Ue e di alto rappresentante per la politica estera dei governi. Ma nel primo giorno del vertice a Bruxelles è diventata ampia l’opposizione alla candidatura dell’ex premier britannico Tony Blair per la presidenza stabile. Si è allargata perfino nel suo partito socialista europeo Pse, isolando la sponsorizzazione del premier britannico Gordon Brown. Anche il ministro degli Esteri Franco Frattini, che ha sostituito il premier Silvio Berlusconi, ha fatto intuire un ripensamento del sostegno italiano a Blair a causa dell’ampia opposizione nel partito popolare europeo Ppe (a cui aderisce il Pdl). La mancata partecipazione del Regno Unito all’euro e all’accordo di libere frontiere Schengen, insieme alla frattura provocata nell’Ue da Blair appoggiando gli Stati Uniti nella guerra in Iraq, appaiono pregiudiziali trasversali sempre più nette. Belgio, Olanda e Lussemburgo avevano già bocciato la candidatura dell’ex premier britannico. Ieri Spagna, Belgio e Ungheria, che gestiranno la presidenza Ue nei prossimi tre semestri, hanno auspicato come primo presidente stabile un «europeo convinto», prendendo di fatto le distanze da Blair. Il premier spagnolo José Luis Zapatero ha detto che il Pse preferisce un suo esponente come alto rappresentante per la politica estera. I laburisti di Brown dissentono. Ma il presidente del Pse, il danese Poul Rasmussen, ha incaricato proprio Zapatero e il cancelliere austriaco Werner Feyman di negoziare le candidature con la tedesca Angela Merkel, il francese Nicolas Sarkozy, Berlusconi e gli altri capi di governo del Ppe. La presidenza svedese di turno del Consiglio Ue ha mantenuto sul livello informale i contatti sulle nomine perché aspetta che il 3 novembre prossimo la Corte costituzionale ceca si esprima sul Trattato di Lisbona. La successiva firma di Klaus è stata promessa al vertice in cambio dell’impegno ad accogliere le riserve ceche sulla Carta dei diritti fondamentali. Solo dopo il via libera da Praga, verrà organizzato un Consiglio straordinario (forse già il 12 o il 19 novembre) per concordare il presidente stabile e l’alto rappresentante. Germania e Italia non hanno annunciato candidature nazionali. Merkel preferirebbe la presidenza della Banca centrale europea nel 2011 per il governatore della Bundesbank Axel Weber. Berlusconi ha chiesto la guida dal 2010 dell’Eurogruppo dei ministri finanziari per Giulio Tremonti. Sarkozy vorrebbe una delle due superpoltrone o l’Antitrust nella Commissione europea (per François Fillon, Michel Barnier o Christine Lagarde). Brown potrebbe ripiegare sul ministro degli Esteri David Miliband come alto rappresentante. Tra i molti candidati dei Paesi piccoli e medi spiccano il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, il finlandese Martti Ahtisaari, l’austriaco Wolfgang Schüssel, l’olandese Jan Balkenende, lo spagnolo Felipe González. I 27 capi di governo non hanno trovato l’accordo sugli aiuti ai Paesi poveri per le misure anti-inquinamento per l’opposizione dei membri dell’Est. Oggi ci riprovano. Frattini, appoggiato dalla Francia e dagli altri Paesi mediterranei, punta a ottenere l’appoggio del vertice sulla ripartizione degli oneri nella lotta all’immigrazione illegale.
Ivo Caizzi
Promiscuità occidentale
Dalia Mogahed si è goduta una carriera molto variegata. Nata in Egitto, è stata portata negli Stati Uniti quando era una bambina e ha seguito una carriera abbastanza ordinaria. Ha preso un Master all'università di Pittsburgh e ha raggiunto il successo lavorando in aziende del settore privato. Ma è diventata una celebrità del mondo musulmano statunitense dopo aver collaborato con John L. Esposito, un instancabile difensore dell’Islam radicale, pubblicando un controverso studio intitolato Who Speaks for Islam? What a Billion Muslims Really Think ("Chi parla a nome dell’Islam? Quello che pensano realmente miliardi di musulmani"). Con il suo sottotitolo estremamente esagerato, il volume si basava sui sondaggi eseguiti dall’istituto Gallup, dove la Mogahed aveva ottenuto un posto di Senior Analyst ed Executive Director del Centro Gallup per gli Studi Musulmani. Tutto questo sarebbe stato molto banale e consueto nella sottocultura di sostegno al mondo musulmano che si respira a Washington, almeno fino a quando il Presidente Obama ha nominato la Mogahed al Council on Faith-Based and Neighborhood Partnerships. Adesso Mogahed è un eminente ‘satellite’ intorno a Obama ed è apparsa al Pentagono per l’Iftar, l’evento che celebra la fine del digiuno di Ramadan, insieme a un noto saudofilo, James Zogby, dell’Arab American Institute. All’inizio di ottobre, la Mogahed ha rilasciato un’intervista telefonica a una rete televisiva islamica fondamentalista inglese, IslamChannel. L’emittente ha intervistato in diretta Nazreen Nawaz, una rappresentante del gruppo islamico ultra radicale Hizb-ut-Tahrir (HT), anche detto Islamic Liberation Party. L’HT si batte per un regime islamico globale (il “Califfato”), che prevede l’instaurazione della sharia e la distruzione dell’Occidente. Il programma è andato in onda domenica 4 ottobre sul sito inglese della HT. Sebbene il dibattito televisivo tra due individui che si oppongono aggressivamente l’un l’altro sia diventato la forma dominante di comunicazione pubblica dappertutto nel mondo, durante l’incontro Dalia Mogahed non si è minimamente sforzata di stabilire una distanza tra le sue opinioni e quelle della sua antagonista, una fautrice antagonista dell’Islam radicale. Al contrario, la Mogahed ha difeso la sharia e in particolare la sua applicazione alla vita delle donne. Ha asserito che “la percezione della sharia e la descrizione della sharia sono state semplificate troppo tra gli stessi musulmani,” e ha dichiarato che la sharia dovrebbe essere vista in modo “olistico” (un cliché senza senso). Secondo lei “la maggior parte delle donne del mondo associa la sharia alla ‘giustizia di gender’”. Presumibilmente, il suo vasto riferimento alla “maggior parte delle donne”, invece di parlare di donne musulmane, era un errore involontario. Ma non ci sono dubbi che dal suo punto di vista la sharia come legge pubblica garantisce alle donne musulmane una dignità che manca in Occidente. Per di più, la Mogahed ha dichiarato che le donne musulmane “sostengono i valori universali della giustizia e dell’uguaglianza”, ma rifiutano i “valori occidentali”, che ha associato con la promiscuità sessuale e una mancanza di rispetto da parte degli uomini verso le donne. Secondo la Mogahed, gli atteggiamenti dei musulmani verso la legge islamica sono divisi tra chi vuole la sharia come l’unica fonte di governo e chi invece la interpreta come una fonte di legislazione tra diversi canoni. Ma anche questa distinzione, a suo parere, è meno importante del proclamare che le donne musulmane sono soddisfatte dalla sharia. Mogahed ha citato “una donna della Malesia” che ha “specificatamente” detto ai sondaggisti che "le dispiaceva per le donne occidentali perché lei aveva sempre avuto l’impressione che queste ultime pensino di aver bisogno di accontentare i loro uomini". Come se scegliere voci individuali tra circa un miliardo di voci del mondo musulmano non fosse già abbastanza assurdo, Mogahed ha offerto un’altra citazione isolata per dimostrare che le donne musulmane all’estero si lamentano del fatto che le donne occidentali mancano di uno status sociale. Nawaz, la conduttrice di HT, ha approvato il sondaggio Esposito-Mogahed ma poi ha attaccato senza riserve la democrazia ed ha denunciato la “legge degli uomini” come inferiore alla sharia. La HT spicca per la sua retorica anti-ebraica ed è stata censurata in alcuni Paesi compresa la Germania e la Turchia, mentre agisce legalmente in altri, dagli Stati Uniti all’Inghilterra passando per l’Indonesia. La HT ha evitato conseguenze più serie perché predica ma non pratica la violenza. Mogahed ha descritto il suo ruolo nell’amministrazione Obama come di chi vuole “trasmettere al Consiglio Consultivo, al presidente e agli pubblici ufficiali che cosa vogliono i musulmani”. Mogahed si è presentata come una “semplice ricercatrice” capace di offrire “le vere opinioni dei musulmani in modo accurato e rappresentativo”. Ma ha anche parlato con benevolenza di persone non identificate, inclusi non-musulmani, che preferirebbero se “gli Stati Uniti e l’Inghilterra e altri Paesi fossero aperti all’idea di integrare la sharia nelle società in cui c’è una maggioranza musulmana”. Ha dichiarato che, “ovviamente, nella maggior parte delle società dove c’è una maggioranza musulmana la sharia fa già parte delle loro leggi”.
In realtà, nella maggior parte dei Paesi con una maggioranza musulmana la sharia non è considerata come una parte della legge pubblica ma come un corpus separato che si applica esclusivamente alle questioni religiose. I paesi dove la sharia è dominante, come l’Arabia Saudita, l’Iran e il Sudan, rappresentano l’eccezione e non la regola. L’intervista di Dalia Mogahed è discutibile per diversi motivi. La sua difesa della sharia portata avanti, effettivamente, da un punto di vista femminista, è stato davvera brutta, nel senso che ha rovesciato una realtà universalmente condivisa quando si presentano le differenze tra l’Occidente e le società a maggioranza musulmana. La sharia è usata spesso per opprimere le donne, non per liberarle dalle blandizie del peccaminoso Occidente. L’approccio della Mogahed non sembra dare credito all’opinione, diffusa tra i musulmani moderati, che anche la Sharia, come altri canoni di leggi religiose, dovrebbero applicarsi solo agli standard sulla dieta, le forme di preghiera e le altre scelte che riguardano esclusivamente la sfera individuale e personale del credente. Il presidente Obama ha già indicato che vede l’Islam come un singolo fenomeno indifferenziato, di cui l’ideologia radicale è un aspetto secondario, se non irrilevante. Secondo questo punto di vista, l’Islam è più importante nel suo insieme piuttosto che un campo di conflitto tra estremisti e moderati; l’Iran è molto più importante come una “controparte” diplomatica piuttosto che essere la piattaforma di lancio per Ahmadinejad; e l’Afganistan è molto più importante come un rifugio di al Qaeda che come l’ingresso nel processo di “talibanizzazione” del Pakistan. Per Dalia Mogahed, non c’è niente di nuovo nella difesa della sharia, che la ricercatrice ha già formulato in termini insoliti, anche se contorti e bizzari. In un’analisi del tomo di sondaggi “Esposito-Mogahed”, apparsa sul The Christian Century, Brian McLaren ha rievocato il fatto che, l’anno scorso, “durante una una conferenza in Europa, Dalia Mogahed mi ha spiegato con un’analogia ciò che intende provare con la sua ricerca su Who Speaks for Islam? Perché, mi ha chiesto, gli estensori della Dichiarazione di Indipendenza americana si riferivano al Creatore come fonte dei nostri diritti inalienabili? Le ho risposto che probabilmente i Padri Fondatori lo fecero per legittimare la Rivoluzione Americana, negli stessi termini con cui la monarchia aveva affermato la sua autorità: i diritti dell’individuo vengono dallo stesso Dio che, un tempo, ha dato il diritto divino ai sovrani”. “Nello stesso modo, ha spiegato la Mogahed, per tanti musulmani la sharia rappresenta una specie di dichiarazione di indipendenza che afferma che Dio vuole portare la giustizia a tutti i popoli e che la sua giustizia è superiore a quella distorta e confusionaria tipica delle tirannie e delle dittature moderne. Per quanto la sharia possa apparire un sistema repressivo agli occhi degli occidentali, in realtà attualmente è un passo importante per molti musulmani che soffrono sotto sistemi dittatoriali corrotti nelle loro capitali e che devono fare i conti con poliziotti disonesti nei quartieri periferici”. Questa, non diluita, è esattamente la stessa visione che hanno gli islamisti in Egitto, Turchia, Pakistan e negli altri Paesi minacciati da tirannidi estremiste in cui il governo religioso viene presentato come l’unica alternativa a dittature secolari. L’autentica democrazia, che ha origine nel mondo occidentale, e non è un fenomeno “universale”, a quanto pare non è un’opzione, anzi viene tranquillamente rifiutata come se fosse un'altra di quelle corrotte pratiche occidentali, che siano il libertinaggio sessuale o la supremazia maschile. Eppure nei Paesi musulmani, inclusi quelli che sono governati dalla sharia, le donne perseguitate e gli abusi perpetrati dagli uomini non sono certo un fenomeno rapsodico. Nell’Arabia Saudita e altrove i crimini contro le donne, incluso i matrimoni obbligati, o le mutilazioni genitali delle donne, sono protetti dalla sharia. Questo è riconosciuto in tutto il mondo, e molti musulmani ripudiano pratiche e consuetudini del genere. Ma mentre i musulmani in tante parti del mondo si rivolgono alla società civile, Dalia Mogahed offre una fantasia retrograda sulla sharia, come se fosse davvero una legge di liberazione paragonabile con i principi della Dichiarazione di Indipendenza. Un individuo come la Mogahed non è adatto a fare il consigliere del presidente, e potrebbe contribuire in malo modo a fornire l’approvazione dell’America verso ideologie estremistiche come la sharia. Insomma, non dovremmo sorprenderci se scoprissimo che i sinistroidi non sono le uniche persone con un’ideologia estrema nella squadra di Obama.
Tratto da "The Weekly Standard" - Traduzione di Ashleigh Rose
giovedì 29 ottobre 2009
Unione europea
L’Ufficio del Presidente Klaus ha risposto alla lettera-appello degli Italiani Liberi, tramite la Redazione Esteri del quotidiano “Il Giornale”, con una lettera gentilissima (che pubblichiamo a fianco) e che, nella sua brevità, ci rivela una cosa importantissima, di cui nessuno ci aveva informato: “A Klaus giungono moltissime lettere ed e mail da tutti i paesi d’Europa” per incitarlo a non firmare.
La strategia di non far sapere ai cittadini nulla di quanto riguarda l’Unione Europea, salvo le preordinate acclamazioni e le lodi entusiastiche da parte dei governanti e dei politici, intese a far crescere un minimo di sentimenti positivi nei popoli verso l’unificazione, è stata messa in atto fin dall’inizio dell’operazione e la complicità dei giornalisti in questo silenzio ha fatto sì che non potesse nascere in proposito nessuna curiosità, nessun interesse, nessun dubbio, nessun dibattito. L’invenzione linguistica dell’etichetta di “euroscettico”, immediatamente applicata a chiunque si permettesse il più piccolo dubbio, ha reso falsa perfino la posizione degli oppositori, non riconosciuti in quella che nelle democrazie è la legittima facoltà di opporsi a qualsiasi idea politica, e collocati in un “limbo” sconosciuto alle aule parlamentari. Euroscettico è un termine privo di contenuto; afferma che nei confronti dell’unificazione europea non puoi essere contrario, ma eventualmente “scettico”, un freddo imbelle incapace di vero pensiero. Nel caso, poi, che insistessi nell’esprimere un’opinione contraria, passeresti subito nella categoria degli “eurofobici”, altra invenzione che definisce come malati di mente coloro che si oppongono all’UE, anch’essi perciò privi di interesse dal punto di vista politico e da consegnare eventualmente agli psichiatri. Vaclav Klaus si aggira negli incubi dei governanti d’Europa anch'egli con l’etichetta negativa di un testardo euroscettico, che ha resistito per anni alle lusinghe e alle minacce. Adesso, però, dopo il sì degli Irlandesi e quello del Presidente polacco, la sua posizione è diventata difficilissima. Probabilmente il futuro primo ministro inglese, Cameron, che, da capo dei Conservatori, ha promesso lo svolgimento di un referendum, si augura che Klaus firmi il Trattato dandogli così un buon motivo per venir meno alla promessa. Tutto questo, naturalmente, sapendo che gli Inglesi si esprimerebbero in massa per il No. Ma, come ormai tutti sanno e considerano giusto, l’unione europea è stata realizzata appositamente per liberarsi dai vincoli della democrazia, delle patrie, delle nazioni, dei desideri dei Popoli, e la tanto osannata “madre della democrazia” non esita a ratificarne la morte. Noi, però, vorremmo suggerire a Klaus, come ultima prova del suo amore per la patria, di dare le dimissioni da Presidente nel caso in cui l’UE volesse costringerlo alla firma. Il 65% della popolazione ceca sta dalla sua parte, ma dalla sua parte stanno anche quei milioni di cittadini europei che non hanno potuto in nessun modo far sentire la propria voce e che non vogliono perdere la libertà e l’indipendenza nazionale. Non sappiamo quale sia l’iter per la nomina di un nuovo Presidente, ma quello che è certo è che, fino a quando non entrerà in vigore il trattato di Lisbona, l’UE non può nominare Blair alla sua presidenza, come sarebbe nelle intenzioni proprio per disinnescare la bomba del referendum inglese. I tempi, dunque, si allungherebbero parecchio e forse, a quel punto, Cameron avrebbe vinto le elezioni e potrebbe mantenere la promessa fatta ai suoi elettori indicendo il referendum. Se davvero Klaus è convinto che l’unificazione europea è un male, il suo temporaneo sacrificio sarebbe il gesto più giusto, davanti alla sua coscienza, e davanti a tutti noi.
Come in Israele?
Puntare a integrare gli immigrati nella società italiana è politica egoistica, miope e fuori dalla realtà, puntare, all’opposto a fornire loro i mezzi per tornare in patria dopo il periodo di lavoro in Italia è invece una politica solidale, lungimirante. In termini vetero: accentuare l’integrazione è politica neo-imperialista, che ruba forza lavoro e intelligenze al sud del mondo per immetterle nel nord dello sviluppo, come un tempo rubava materie prime; accentuare le possibilità di un’opzione diversa all’integrazione definitiva, favorire il loro ritorno in patria è invece una politica progressista che contribuisce in modo determinante a colmare i dislivelli di sviluppo. Non lancio una provocazione, sono solo infastidito da un dibattito sull’immigrazione che ormai in Italia ha perso ogni contatto con la realtà, che si sviluppa unicamente per linee ideologiche, che non guarda al mercato del lavoro, al contesto, a orizzonti vasti. Terreno perfetto per il teatrino della politica là dove non pochi parlano di cittadinanza e però intendono trattare sulla poltrona di governatore del Veneto. La realtà, dunque, quello che concretamente succede, quel che effettivamente gli immigrati vogliono, quel che è oggi l’immigrazione in Europa, è radicalmente diversa, dal ciclo antico dell’immigrazione che passava per Coney Island o per il Rio della Plata, o verso Sidney. Basta accettare lo schema che tutti ci propongono -guardate a quanto fecero gli italiani quando erano emigrati- guardando all’oggi e non a cento anni fa, e si comprende la debolezza intrinseca di una politica tutta puntata su una concezione dell’integrazione definitiva, verso una società multietnica. La Charitas Migrantes (unica organizzazione attendibile statisticamente), assieme alla Fondazione Friedrich Ebert, ci fornisce uno specchio attendibile della realtà circa l’emigrazione italiana in Germania, paese a cui l’Italia deve guardare, e non solo perché a differenza nostra ha statistiche serie e attendibili. Quasi tutto rende infatti equiparabile la realtà tedesca a quella italiana, circa l’immigrazione, a partire dalla sua totale autonomia dal passato coloniale, determinante, e distorcente in Inghilterra, Francia e Olanda. Le stesse differenze statistiche – poche – sono in realtà una prova di identità, perché il modello tedesco è maturo e assestato, mentre quello italiano è ancora “giovane” ed espansivo. La realtà, quella vera, ci informa dunque che dagli anni Cinquanta a oggi 36 milioni e trecento mila immigrati sono andati a lavorare in Germania, che hanno avuto una permanenza media di attività in Germania di 17 anni e che tra loro, ben 26 milioni e cinquecentomila sono rimpatriati; il saldo attuale è di sei milioni e settecentocinquantamila immigrati. Ogni anno entrano oggi in Germania 558 mila immigrati, ma ne escono 448 mila. Cifre che stanno a significare una sola cosa: il pilastro principale, nella realtà del fenomeno migratorio contemporaneo è la rotazione. Una realtà che smonta radicalmente, brutalmente tutta l’impostazione “iper integratoria”, finalizzata alla cittadinanza italiana che va per la maggiore. Cifre che spiegano come il problema della cittadinanza riguardi solo una parte marginale di questo immenso tourbillon di vite e esperienze (peraltro in larga parte quella motivata da matrimoni misti), e che smentiscono in pieno senza possibilità di dubbi una politica che punti sulla cittadinanza per favorire l’integrazione, politica che avrebbe portato la Germania ad avere centinaia di migliaia, milioni di cittadini tedeschi, che però sono nati, risiedono e vogliono terminare la loro vita in altre patrie, quelle loro vere. Una politica della cittadinanza dissennata perché invece i veri, drammatici problemi degli immigrati riguardano l’assoluta solitudine della lotta che ognuno di loro fa per riuscire a tornare nel suo paese, alla casa da cui è dovuto fuggire. Tragedia di cui il politically correct integratorio (tranne poche eccezioni, di nuovo dentro la Charitas) bellamente non si interessa. Queste cifre sulla rotazione, corrispondono pienamente alla conoscenza che ha del fenomeno migratorio italiano, dal Veneto alla Sicilia, chiunque conosca minimamente le sue dinamiche. Gli immigrati italiani degli anni Settanta e quelli attuali sono grosso modo stabili tra i 550 mila (gli attuali) e i 650 mila e questo è il loro numero assoluto: tra quelli che vi lavoravano allora e quelli che vi lavorano oggi c’è stato un ricambio continuo, quasi totale (di cui la deturpazione urbanistica del sud, delle case costruite anno per anno durante le ferie di ritorno), è testimonianza concreta. Definitive al riguardo le cifre della Charitas e della Fondazione Ebert: 4 milioni di italiani sono emigrati in Germania dagli anni Sessanta al 2007 di cui ben tre milioni e mezzo sono poi rientrati mentre solo 140 mila hanno acquisito la cittadinanza tedesca, un esiguo il 3,5 per cento, testimonianza definitiva di un mercato basato sulla rotazione e sul ricambio. Rotazione e ricambio, si badi, non prodotti da rigidità normativa tedesca, perché in quanto membri Cee e poi Ue, gli italiani sono stati sin dagli anni Sessanta gli unici immigrati con diritto al soggiorno in Germania, senza limiti. Una rotazione e un ricambio connaturati alla natura del fenomeno migratorio nella seconda metà del Novecento, fluido, mobile, fortemente attaccato alle radici e con la concreta possibilità (a differenza di quello precedente) di un ritorno in patria che oggi passa per il volo low cost, per Rabat, prenotato col cellulare, che costa un centesimo di quanto costava un viaggio nelle stive dei piroscafi Genova- Coney Island. Una rotazione fortissima anche in Italia che la Charitas stima del 20 per cento, e che è comunque evidente dal fatto che l’anzianità media di permanenza è da noi di 5 anni, contro i 17 della Germania. Ricambio, ritorno in patria e non loro integrazione definitiva nella società tedesca, infine, e qui torniamo al centro del problema, che è stato elemento formidabile di sviluppo economico del meridione (e del nord est), come di tutta la costa meridionale dell’Europa, dal Portogallo alla Turchia. Guardate alla rete delle autofficine di marche tedesche di automobili nel sud (come in Portogallo, Spagna, ex Jugoslavia, Grecia e Turchia), scoprirete che una percentuale impressionante di Mercedes, VW, Opel, Ford e Bmw è stata impiantata da operai che avevano lavorato in quelle fabbriche. E quanti negozi, quante partite Iva, sono stati avviati col piccolo gruzzolo di risparmi di immigrati? Questo è dunque il grande, vero tema: noi italiani, nord sviluppato, dobbiamo rubare al sud arretrato la migliore forza lavoro, le intelligenze più audaci, per farla lavorare e poi tenercela? Oppure dobbiamo costruire un percorso virtuoso che faccia sì che dopo una lunga esperienza lavorativa in Italia (la media di mercato tedesca si avvicina a quei 20 anni che costituiscono il minimo per una pensione che credo sarebbe l’ottimale, per loro, come per noi), questi immigrati, forti di piccoli capitali e di una professionalità nettamente accresciuta, possano tornare al loro paese natale, percepirvi (come solo da 10 anni si può fare), anche nella piccola posta del paesino sul Rif la loro pensione e contribuire allo sviluppo del loro paese e – soprattutto – ricomporre l’unità della loro famiglia, del loro clan, della loro storia? Si faccia un sondaggio – tra i mille inutili che si fanno – oppure un’inchiesta, di quelle serie, e si ponga agli immigrati la possibilità di scelta tra le due prospettive: l’integrazione definitiva e totale nella società italiana, diventare in tutto e per tutto e solo cittadini italiani, oppure avere la possibilità di fruire della pensione (o anche, pro tempore, dell’assegno di disoccupazione), nel più vicino ufficio postale o banca accanto alla casa da cui sono partiti in patria. Lo si faccia prospettando loro l’ipotesi che l’acquisizione della cittadinanza italiana comporti il rifiuto della cittadinanza d’origine (questa sino a pochi anni fa era la legge in Germania), ipotesi che non auspichiamo – sia chiaro – ma che è utile per comprendere il livello di integrazione in Italia che gli immigrati intendono perseguire. I risultati sarebbero sorprendenti e metterebbero la discussione sui suoi giusti binari. L’unica politica seria da perseguire è quindi quella che bilanci integrazione piena dell’immigrato fin quando lavora in Italia, con parità di diritti sociali ed economici (ma non politici) e suo supporto altrettanto pieno per potere ritornare più forte, e con piena autonomia economica in patria. Uno schema che definirei di “cittadinanza ospite”, là dove il primo termine segnala il diritto alla piena equiparazione sociale dell’immigrato e il secondo, la temporarietà della sua permanenza in Italia. Temporarietà, si badi bene, non da imporre, ma semplicemente da riconoscere come caratteristica intrinseca al fenomeno migratorio reale, non a quello da Libro Cuore a cui dissennatamente si fa sempre riferimento. Temporarietà esistente, operante, cui si deve fare riferimento quando si ipotizza l’abbandono dello ius sanguinis a favore dello ius soli, così come per tutte le leggi e gli interventi amministrativi (per fornire la pensione in patria di questo c’è bisogno e grazie all’informatica questo è possibile fare) da mettere in atto. Temporarietà, qui è il problema, di mediolungo periodo, che però costituisce l’aspetto strutturale dell’immigrazione, esattamente all’opposto di quanto si crede.
Decorrenza dei termini
L'aggressione del 22 gennaio. Stupro di Guidonia, liberi i favoreggiatori per decorrenza dei termini cautelari. Scarcerati Mugurel Goia e Ionut Barbu, i due rumeni accusati di aver favorito la fuga dei quattro colpevoli
ROMA - Sono tornati liberi Mugurel Goia e Ionut Barbu, i due giovani romeni accusati di aver favorito la fuga dei quattro connazionali ritenuti dalla Procura di Tivoli protagonisti dello stupro avvenuto il 22 gennaio scorso a Guidonia ai danni di una giovane coppia. I due immigrati erano sottoposti all’obbligo di dimora dall’aprile scorso. La decadenza della misura cautelare è dovuta alla decorrenza dei termini.
BRANCO - Dopo la conclusione delle indagini sulla brutale violenza, comunicata a luglio ai difensori, la Procura di Tivoli non avrebbe ancora formalizzato la richiesta di rinvio a giudizio. Goia e Barbu, indagati per favoreggiamento e resistenza a pubblico ufficiale ed assistiti dall’avvocato Domenico Dellomonaco, si sono sempre difesi sostenendo di essere stati interpellati da uno del branco (senza sapere che fosse collegato allo stupro) che aveva bisogno di un passaggio in auto per raggiungere una città del nord Italia per motivi di lavoro.
L'AGGRESSIONE - La sera del 22 gennaio una giovane coppia di fidanzati era stata aggredita in via della Selciatella, a Guidonia, vicino Roma, dove si era appartata. La ragazza era stata violentata a turno da quattro uomini, mentre il fidanzato era stato picchiato dal branco e rinchiuso nel bagagliaio. Pochi giorni dopo vennero arrestati 6 romeni: quattro ritenuti responsabili della violenza e due accusati di aver aiutato il branco a nascondersi. A questi ultimi, Mugurel Goia e Ionut Barbu appunto, dopo 3 giorni vennero poi concessi gli arresti domiciliari. Appena saputo della remissione in libertà i due romeni hanno spiegato al proprio difensore: "Adesso potremo tornare a lavorare".
Immigrazione selvaggia
C’è un sottile compiacimento, una vena di condiscendenza, uno sprazzo di felicità. Quasi un’esultanza repressa a fatica. I fan dell’immigrazione sregolata leggono contenti il rapporto Caritas Migrantes: «Per la prima volta in Italia c’è una quota di immigrati regolari maggiore della media europea. Sono 4,5 milioni. E cresceranno. Nel 2050 saranno 12 milioni, anzi forse di più, perché questa è una stima prudente». I numeri sono un problema che nessuno vuole vedere. C’è quella strana sensazione di indulgenza esagerata che stona con la realtà. Perché 12 milioni di immigrati sono troppi, perché alla velocità con cui cresce la quota di straniero è abnorme e sproporzionata: significa che un italiano su cinque in realtà non sarà italiano, significa moltiplicare per quattro i problemi che abbiamo oggi. La Caritas scrive serena, quasi soddisfatta, come a dire senza dirlo esplicitamente che i dati ci raccontano che i respingimenti non servirebbero, che il rigore alle frontiere è inutile, che accogliere senza neanche pensarci è l’unica strada possibile. Il buonismo dell’immigrazione distrugge la bontà delle idee sugli immigrati. Chi non dice che questi numeri dovrebbero spaventare è in malafede e se non è in malafede sbaglia. La paura non è degli immigrati, ma dell’immigrazione. La differenza è sottile, ma fondamentale. Non si teme per le persone, ma per il fenomeno. Dodici milioni di immigrati su settanta milioni di abitanti sono un assurdo in grado di cancellare un’identità, sono la quasi certezza che l’integrazione difficile diventi impossibile: più grandi e numerosi sono i gruppi etnici più è facile che restino autonomi e indipendenti, slegati dal resto del Paese, dalla lingua, dagli usi, dai costumi. Bisogna leggere quello che ha detto ieri il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «In Italia non c’è razzismo, ma tanta xenofobia strisciante che vuol dire pregiudizio e molta ignoranza. Il primo impegno dell’istituzione è combattere questa paura immotivata». Allora se l’istituzione deve contrastare i timori, non può non regolare meglio l’immigrazione. È un’equazione ovvia, scontata, banale. L’immigrato si integra se è una minoranza. Se comincia a sviluppare un’identità autonoma e indipendente si emargina da solo. Lo dice la storia dell’umanità, lo dicono le comunità che oggi vivono in Italia: più grandi sono, più isolate sono. Dodici milioni di stranieri nel 2050 sono una catastrofe sociale, demografica, geografica. Se gli immigrati che arriveranno andranno a sovrappopolare le grandi città del centro nord, allora avremo un Paese ancora più diviso: i lavoratori stranieri concentrati nel settentrione dove presumibilmente il lavoro ci sarà più che altrove, il Sud sempre meno popolato e sempre meno produttivo. Il rischio è di vedere in Italia il processo in stile Cina: l’urbanizzazione incontrollata delle città e l’abbandono delle zone più rurali, più lontane, più agricole. Solo che non saranno gli italiani a lasciare la loro terra, ma gli stranieri che arrivando dall’estero andranno dritti a ingolfare metropoli e cittadine di province pronte a diventare sempre più grandi e simili ai grossi centri. È la fantascienza della demografia, una dinamica immaginaria eppure così probabile da diventare un’inquietante certezza. Che cosa c’è da essere compiaciuti, allora? Perché essere soddisfatti dell’Italia che aumenta la sua quota immigrati? Perché raccontare con quel tono da sventato problema il fatto che alla fine le linee restrittive sull’immigrazione sono inutili? È il contrario. Più aumenteranno gli ingressi, più la gente chiederà rigore. La crescita della Lega Nord è dovuta a molti fattori, ma uno di questi è quello dell’immigrazione: all’elettore, al cittadino, c’è qualcuno che dice «fidati di noi, siamo gli unici che fermeranno l’avanzata degli immigrati». La gente ci crede perché è vero. La gente ci crede perché lì non trova il compiacimento che vede altrove. Sì è xenofobia, di sicuro è paura: di perdere se stessi, di non sentirsi più a casa, di vedere se stessi come oggetti estranei al proprio Paese. La paura chiude gli orizzonti, ma per contenerla ci vuole qualcuno che rassicuri. Chi gode all’idea di aver beffato il rigore, chi si esalta per i numeri che dovrebbero preoccupare, fa il contrario. E se non c’è razzismo, finirà col crearlo.
mercoledì 28 ottobre 2009
Fallimenti multiculti
In Italia si discute dell’ora di religione islamica nelle scuole, mentre in Gran Bretagna – modello multiculturale cui pare siamo destinati ad approdare nei prossimi anni – scoppia, proprio nelle scuole, la polemica sulle festività religiose da inserire in calendario. Due municipi londinesi, Waltham Forest e Newham, hanno deciso di chiudere le scuole per la ricorrenza islamica del Eid-Ul-Fitr (che segna la fine del ramadan), quella indù del Diwali (detta festa delle luci, che si celebra il 17 ottobre) e quella sikh del compleanno di Guru Narak (13 novembre), il santone indiano fondatore del sikhismo. Inevitabile la protesta dei cittadini di religione ebraica, secondo l’ultimo censimento più numerosi dei sikh, pronti a rivendicare anche le proprie festività religiose. Coloro che sollevano qualche perplessità circa l’iniziativa di modificare il calendario scolastico hanno fatto presente che a Waltham Forest, per esempio, i residenti musulmani rappresentano solo il 16% della popolazione, mentre gli indù non raggiungono l’1,8%, e che la stragrande maggioranza (per ora) dei cittadini di quel municipio ritiene di dover mantenere le festività che appartengono ancora alla propria tradizione religiosa. A costoro viene fatto presente che l’integrazione non è un problema quantitativo ma una questione culturale. In tale contesto si inserisce l’annunciata marcia a Londra, il prossimo 31 ottobre, per introdurre la sharia nel sistema giudiziario britannico. L’iniziativa, organizzata dal gruppo musulmano Islam4UK guidato da Anjem Choudary, si svolgerà in tre tappe: il parlamento di Westminister, Downing Street e, infine, Trafalgar Square. Altre simili marce seguiranno nel resto del Regno Unito. Islam4UK invita tutti «dalla Regina ai ministri e parlamentari, dall’aristocrazia alle persone normali, in Gran Bretagna, ad abbracciare l’islam come una nuova “way of life”». Singolare il programma “politico” del movimento, secondo cui la nazione britannica non ha bisogno di un cambio di leadership, necessita solo di una conversione collettiva all’islam. Regina compresa. Anjem Choudary è tutt’altro che un farneticante fanatico. Non propugna un fondamentalismo violento (altrimenti rischierebbe l’arresto anche nel tollerantissimo Regno Unito), non invoca un cambiamento politico. Si batte per una rivoluzione culturale, con una certa dose di realismo. E’, infatti, consapevole che difficilmente a lui toccherà in sorte di vivere in una Gran Bretagna islamica, ma è pressoché certo che i figli dei suoi figli avranno questa fortuna. Non fosse altro che per una questione di tasso demografico. Chi può immaginare cosa sarà dell’antica Albione tra una decina di lustri? Choudary ha compreso perfettamente che non è con la jihad del mitico Saladino che si conquista l’Occidente, ma con l’arma invincibile del consenso, attraverso i prodigiosi meccanismi del sistema democratico. In una società moribonda che, tra contraccezione, aborto ed eutanasia, vive con assoluta disinvoltura la propria parabola demografica discendente, l’avanzata delle prolifiche famiglie musulmane non può che avere il sopravvento. In prospettiva, è solo questione di tempo. Stando ai dati ufficiali dell’Office for National Statistics, la popolazione musulmana in Gran Bretagna è cresciuta, in quattro anni, di 500.000 persone, passando da 1.870.000 del 2004 ai 2.400.000 del 2008. Sempre secondo l’O.N.S. la presenza musulmana nel Regno Unito è aumentata ad un un ritmo dieci volte superiore rispetto al resto della società, mentre nello stesso periodo il numero dei “cristiani” si è ridotto di 2.000.000 di individui. David Coleman, docente di demografia alla Oxford University, parla di implicazioni «very substantial» e precisa che «una popolazione in crescita tende ad esprimere una voce sempre più forte in termini politici, quanto meno perché viviamo in una democrazia dove gruppi religiosi e radicali detengono un forte controllo del consenso e, quindi, dei voti. Ciò implica necessariamente che le relative opinioni ed istanze debbano essere tenute in particolare attenzione». E’ vero che l’Office for National Statistics indica in circa 42,6 milioni l’attuale numero dei cristiani britannici, ma è altrettanto vero il dato secondo cui mentre i cristiani rappresentano l’assoluta maggioranza nella fascia di popolazione degli ultrasettantenni, i musulmani detengono un’altrettanta assoluta maggioranza nella fascia d’età che va dai 4 anni in giù. Anche Ceri Peach, docente di geografia sociale alla Manchester University, sostiene che la rapida crescita della comunità islamica pone gravi «challenges for society», e che nei prossimi anni la Gran Bretagna dovrà affrontare una «pretty complex situation». Lo stesso professor Peach ha spiegato che l’intero sistema economico, fiscale, sanitario, pensionistico britannico sarà sostenuto, in futuro, con il contributo essenziale di quella fetta della popolazione musulmana oggi al di sotto dei 4 anni. E Muhammad Abdul Bari, segretario generale del Muslim Council of Britain, ha già previsto che il numero delle moschee in Gran Bretagna, attualmente di 1.600, è destinato ad aumentare in maniera esponenziale, seguendo l’andamento della crescita demografica della comunità islamica. In Italia, intanto, soloni e fondazioni culturali pontificano di integrazione. Italianieuropei di D’Alema e Farefuturo di Fini ci spiegano quanto sia ineludibile il futuro multietnico cui siamo inesorabilmente destinati. E per gli ingenui che, perplessi e preoccupati, paventano i rischi del modello britannico, le prestigiose fondazioni hanno una sola risposta: «E’ il multiculturalismo bellezza!».
* Presidente di Scienza e Vita di Grosseto
Nick Griffin
Perché vince un razzista? Nick Griffin leader del British National Party, se la ride trionfante. «Io razzista? Con le vostre etichette mi avete dato una mano. Gli elettori non sono stupidi. Che male c’è a dire che per i clandestini, qui nel Regno Unito, non c'è posto? Li si prende e li si caccia fuori. Con le buone o con le cattive».
Il mullah Fini
Cei e caritas
MILANO - Sono 4 milioni e mezzo gli immigrati regolari in Italia. Lo stima il rapporto 2009 sull'immigrazione della Caritas/Migrantes, presentato mercoledì. Nello studio si sottolinea come il nostro Paese per la prima volta nel 2008 - anno in cui gli immigrati sono cresciuti del 13,4% (+458.644 unità) - abbia superato la media europea (6,2%) per presenza di immigrati in rapporto ai residenti. I regolari, in particolare sono 4.330.000, il 7,2% dei residenti. Ma superano i 4 milioni e mezzo se si considerano i circa 300 mila regolarizzati lo scorso mese. È straniero un abitante su 14 , circa la metà è donna. Nel 2050, secondo quanto sottolineato da Franco Pittau, coordinatore del dossier sull'immigrazione della Caritas/Migrantes (con riferimento alle previsioni dell'Istat) l'Italia sarà chiamata a convivere ben oltre 12 milioni di immigrati, la cui presenza «sarà necessaria per il funzionamento del paese».
LA CEI: «BASTA PACCHETTO SICUREZZA» - La presentazione del rapporto della Caritas è l'occasione per un nuovo affondo della Cei sul pacchetto sicurezza. «Da più di un anno sentiamo parlare del pacchetto sicurezza che, con la sua insistenza, ha rafforzato il malinteso che sia fondato equiparare gli immigrati ai delinquenti. Poco, invece, si è sentito parlare del "pacchetto integrazione", di un'impostazione più equilibrata che non trascura gli aspetti relativi alla sicurezza ma li contempera con la necessità di considerare gli immigrati come nuovi cittadini portandoli a e essere soggetti attivi e partecipi nella societá che li ha accolti» ha detto monsignor Bruno Schettino, presidente della Commissione episcopale per l'immigrazione e vescovo di Capua nel corso della presentazione del dossier Caritas. «La Conferenza Episcopale Italiana, con toni meditati ma fermi e ripetuti - ha aggiunto il monsignore - ha avuto modo di sottolineare che senza integrazione non c'è politica migratoria. La vera sicurezza nasce dall'integrazione». Tale posizione della Chiesa italiana, ha sottolineato mons. Schettino, nasce dalla «concezione del migrante come persona portatrice di diritti fondamentali inalienabili, concezione collegata direttamente con la fede in Dio Padre di tutti. Le decisioni politiche trovano un limite nel rispetto della dignità delle persone». «È sulla base di queste motivazioni - ha aggiunto ancora il vescovo - che l'eccessiva enfasi posta sul pacchetto sicurezza ha visto perplessa e contrariata la comunità ecclesiale, ai vertici e alla base, specialmente tra le migliaia di operatori pastorali impegnati nel campo dell'immigrazione. È eccessiva la sperequazione tra l'interesse a difenderci da eventuali problemi connessi con l'immigrazione e il dovere di accoglierla».
IL RAPPORTO DELLA CARITAS - Secondo il rapporto 2009 sull'immigrazione della Caritas/Migrantes gli immigrati regolari in Italia sono 4 milioni e mezzo. Nello studio si sottolinea come il nostro Paese per la prima volta nel 2008 - anno in cui gli immigrati sono cresciuti del 13,4% (+458.644 unità) - abbia superato la media europea (6,2%) per presenza di immigrati in rapporto ai residenti. I regolari, in particolare sono 4.330.000, il 7,2% dei residenti. Ma superano i 4 milioni e mezzo se si considerano i circa 300 mila regolarizzati lo scorso mese. È straniero un abitante su 14 , circa la metà è donna. Nel 2050, secondo quanto sottolineato da Franco Pittau, coordinatore del dossier sull'immigrazione della Caritas/Migrantes (con riferimento alle previsioni dell'Istat) l'Italia sarà chiamata a convivere ben oltre 12 milioni di immigrati, la cui presenza «sarà necessaria per il funzionamento del paese».
I NUMERI - Il dossier sottolinea inoltre che oltre la metà degli stranieri regolari in Italia sono passati per le vie dell'irregolarità e sono stati quindi oggetto di regolarizzazioni. Sugli immigrati - sottolinea il rapporto - «non esiste alcuna emergenza criminalità, non ci distinguiamo in negativo nel confronto europeo. Mentre la vera emergenza, stando alle statistiche, è il catastrofismo migratorio, l'incapacità di prendere atto del ruolo assunto dall'immigrazione nello sviluppo del nostro paese». Gli stranieri sono il 7,2% dei residenti ma se si fa riferimento ai più giovani (fino a 39 anni), gli immigrati sono il 10%. Siamo sulla scia della Spagna (5 milioni) e non tanto distanti dalla Germania (7 milioni). Fra gli immigrati, prevale la provenienza da paesi europei (53,6%, per più della metà da paesi comunitari); seguono africani (22,4%), asiatici (15,8%), americani (8,1%). Le prime cinque comunità superano la metà dell'intera presenza: 800 mila romeni, 440 mila albanesi, 400 mila marocchini, 170 mila cinesi e 150 mila ucraini. Le maggiori presenze si hanno al Nord (62,1%); il 25,1% al Centro, il 12,8% al Meridione. Prima regione e la Lombardia (23,3%) seguita dal Lazio (11,6%) e Veneto (11,7%). Oltre un quinto degli stranieri sono minori (862.453), 5 punti percentuali in più rispetto agli italiani (22% contro 16,7%). I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri (72.472) hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sul totale delle nascite. Altri 40 mila minori sono giunti a seguito di ricongiungimento. Tra nati in Italia e ricongiunti, il 2008 è stato l'anno in cui i minori, per la prima volta, sono aumentati di oltre 100 mila unità. Oltre metà degli stranieri sono cristiani, un terzo musulmani. Le acquisizioni di cittadinanza sono quadruplicate dal 2000 (39.484 nel 200). Dal 1995 sono stati celebrati 222.521 matrimoni misti (un decimo solo lo scorso anno); non mancano i fallimenti, il 6,7% finisce con una separazione, il 5,7% con un divorzio. Ogni anno, infine, si laureano in Italia 6 mila stranieri. Buona parte di questi sono destinati a diventare la classe dirigente nel paese di origine.
E per chi s'è perso qualcosa, nel frattempo, in inghilterra, la pacifica comunità islamica sta organizzando una manifestazione a favore della sharia, il 31 ottobre. Qui il video. Chi glielo spiega alla Cei o alla Caritas che i musulmani (soprattutto) non hanno intenzione di integrarsi?
Halloween che paura!

Contro il «capodanno di Satana» un rosario scaccia Halloween. La cerimonia organizzata dal Gris di Imola «in riparazione dei riti spiritici e di stregoneria»
Messe nere, sacrifici di animali, riti magici, profanazione dell’eucaristia e dei cimiteri: «Quella notte le sette dell’occultismo si scateneranno». Ne sono convinti i membri del Gruppo di ricerca e informazione socio-religiosa sulle sette (Gris) di Imola, che assieme alla Fraternita laica imolese domenicana, in vista del «capodanno di Satana», cioè Halloween, hanno organizzato un «rosario in riparazione dei riti satanici, spiritici e di stregoneria compiuti nella notte della vigilia di Tutti i santi». Il rosario si terrà questa sera (21 ottobre) verso le 10.30, nel teatro moderno di Castel Bolognese, a seguito della conferenza sul tema «Halloween, spot all’occultismo», tenuta da don Aldo Bonaiuto, coordinatore nazionale del numero verde anti sette occulte. «La festa di Halloween comporta dei riti che sono sempre legati direttamente o indirettamente con l’occultismo», spiega Bonaiuto. E attenzione, perchè Imola è una zona a rischio: «È un territorio indubbiamente soggetto a questo problema - fa sapere il sacerdote - da Imola riceviamo molte chiamate, soprattutto da genitori che sono preoccupati per i loro figli».
NEO PAGANESIMO - Lo conferma don Fabio, organizzatore dell’incontro di stasera: «L’inquinamento magico e occultista è molto diffuso già a partire dalle scuole», dice, e ricorda che «a Montecatone, ad esempio, abbiamo trovato dei segni che dimostrano che lì si compiono delle messe nere». Inoltre, continua Don Fabio «sappiamo per certo che a Imola esiste un gruppo di incappucciati che fa i suoi riti sul monte Battaglia, perchè lì morirono centinaia di persone». Non c’è dubbio, secondo don Fabio: «C’è un preoccupante ritorno del neopaganesimo sotto forme occulte, e i ragazzi sono i soggetti più a rischio». Inoltre, «sappiamo per certo dal nostro esorcista che nel nostro territorio ci sono streghe e stregoni». E Halloween è la loro festa: «Il nostro rosario vuole essere di riparazione per tutti quei riti che verranno compiuti, come la profanazione dell’Eucarestia e dei cimiteri, perchè come dice la Wicca, che è la stregoneria moderna, in quella notte ogni sete di potere verrà appagata».
Arabia Saudita
Non ci crederete, ma ogni tanto mi commuovo anch'io, un dolce sentimento di bontà e soddisfazione mi invade, sento suoni celestiali, insomma, divento un vero credente. Adesso vi spiego, ma prima lasciatemi innalzare un reverente pensiero di sottomessa gratitudine a sua maestà Abd Allah bin Abd al Aziz bin Abd Bin Abd Al-Rahman Al-Saud, sovrano d'Arabia e Custode delle Due Sante Moschee. E' a Lui che devo la mia gioia. Egli infatti, con un gesto solo della Sua augusta mano, ha condonato la giusta condanna a 60 frustate che era stata inflitta alla misera giornalista Rozanna al Yami, 22 anni, rea di aver lavorato a una trasmissione televisiva in cui un saudita ha parlato delle sue esperienze sessuali extraconiugali. Come scrive il "Corriere" "la donna era stata condannata sabato per aver lavorato part-time per il canale satellitare libanese Lbc, colpevole di aver mandato in onda una trasmissione nella quale un saudita si vantava della sua vita sessuale". Naturalmente la condanna non riguardava il maschio adultero ma Rozanna (nome assai sospetto dato che deriva dal persiano Raushana o Roshen, che significa "finestra di luce" e per estensione "luminosa", "splendente", "rilucente". Venne poi adattato nel greco Rhoxane e nel latino Roxane, da dove passò al francese Roxane, e divenne famoso per via della fidanzata di Cirano). Dopotutto Rozanna è una donna... Sentite, sempre dal sito del Corriere, la sua voce, e preparatevi a commuovervi anche voi: "«La società, prima ancora del giudice, mi aveva già condannata ad una morte civile e la grazia emessa dal mio sovrano, il Re Abdullah Bin Abdul Aziz, mi ha restituito la mia dignità e mi permette, fiera, di alzare la testa» racconta Rozanna in un'intervista alla tv satellitare al Arabiya." Perché commuoversi? Ma certo, c'è un po' di simpatia con la sciagurata: sessanta frustate a una ragazzina di 22 anni per aver lavorato a un talk show sono tante, pensate al sangue, alla tumefazione, alle grida. D'altro canto, come dice anche lei la colpa era evidente e se noi mollaccioni ci impressioniamo per il sangue di una ragazzina, i virili sauditi giustamente non si fanno di questi problemi. No, la ragione è un altra: sua maestà Abd Allah bin Abd al Aziz, custode eccetera, ha capito che questa compassione avrebbe potuto ostacolare la diffusione della shaaria nelle nostre terre di miscredenti, aveva ricevuto molte implorazioni internazionali (il Corriere dice "pressioni", ma come si fa a fare pressione sul custode eccetera? E' troppo nobile e potente per questo). E dunque ha deciso di mostrarci che l'Islam conosce la clemenza e la misericordia e dunque per questa volta ha perdonato. Per questa volta. Non è meraviglioso? Anche noi, volente il Cielo, avremo presto una legge divina così giusta che punisce con sessanta frustate la partecipazione a un talk show con connotati sessuali (immaginatevi cosa accadrà a quelli che scrivono con disinvoltura di escort e di trans, e infatti di cose del genere alla corte saudita – o libica, o iraniana, o siriana, o...) non se ne sa niente. E magari potremo anche sperare che il prossimo sultano o sceicco o emiro che governerà l'Eurabia, ogni tanto, se sarà di buon umore, perdonerà una ragazza colpevole di impudicizia. Ma solo se si chiamerà Rozanna, non esageriamo.
Convertiti
Gli investigatori del governo pakistano hanno scoperto un “villaggio jihadista” con insorgenti tedeschi musulmani o convertiti, nelle aree tribali del Pakistan al confine con l’Afghanistan. Il villaggio, nel Waziristan in mano ai Talebani, è controllato dall’Islamic Movement of Uzbekistan, un movimento affiliato ad Al Qaeda che ha condotto una serie di raid contro le truppe Nato in Afghanistan. Un video per il reclutamento dei nuovi jihadisti presenta il villaggio come se fosse un luogo dal desiderabile stile di vita, con un'ampia scelta tra scuole, ospedali, farmacie, asili, tutto a distanza di sicurezza dal fronte. Secondo fonti del ministero degli esteri tedesco, un numero crescente di famiglie provenienti dalla Germania, molte delle quali di origine nord africana, hanno preso al volo l’offerta e si sono spostate in Waziristan dove i sostenitori del progetto dicono che i convertiti hanno messo insieme alcuni dei più motivati combattenti tra gli insorgenti. Il presentatore del video, tale “Abu Adam”, il volto pubblico del gruppo in Germania, punta il dito verso gli spettatori e chiede: “Non vi sembra attraente? Vi invitiamo calorosamente a unirvi a noi”. L'Islamic Movement of Uzbekistan, che ha una serie di basi di appoggio in parecchie città tedesche, ha capitalizzato consensi grazie alle crescenti preoccupazioni derivate dal possibile aumento delle forze militari tedesche in Afghanistan. Il ruolo delle truppe sta diventando un argomento sempre più controverso in Germania dopo le ultime elezioni, e dopo che nelle settimane scorse dozzine di civili afghani sono rimasti vittima di un bombardamento ordinato da ufficiali tedeschi. L'altra notte un portavoce del ministero degli esteri di Berlino ha detto al Daily Telegraph che le autorità tedesche ora stanno negoziando con quelle pakistane per giungere al rilascio di sei cittadini tedeschi, incluso un tale “Adrian M”, musulmano convertito di pelle bianca, la sua sposa eritrea e la loro figlia di quattro anni, che erano stati tutti arrestati mentre cercavano di raggiungere il “villaggio tedesco”. Sembra che il nucleo familiare avesse particolarmente a cuore l’assistenza che sarebbe stata offerta alla bambina. Dopo il loro arresto, avvenuto a maggio, subito dopo che avevano attraversato il confine con l’Iran, sono stati messi sotto custodia a Peshawar. Da quello che si è capito avrebbero lasciato la Germania lo scorso marzo. Il portavoce ha detto che i negoziati con le autorità pakistane “sono in corso” e che “riguardano un gruppo di cittadini tedeschi” e che il ministero degli esteri sarebbe stato informato “fin dall’inizio dell’anno” che l’Islamic Movement of Uzbekistan stava reclutando nuovi affiliati in Germania. Il reclutamente sarebbe stato organizzato dallo stesso “Abu Adam”, un 24enne tedesco che si ritiene possa avere origini turche o nordafricane e che sarebbe cresciuto con un compagno di Jihad, Abu Ibrahim, nel piccolo sobborgo di Kessenich a Bonn. Adam, il cui vero nome è Mounir Chouka, ha ricevuto un addestramento all’uso delle armi durante il servizio militare prestato nell’esercito tedesco, e in seguito ha trascorso tre anni facendo formazione presso il Federal Office of Statistics dove i colleghi lo descrivono ancora come “un bravo ragazzo”. Ha lasciato la Germania nel 2007, dicendo ai colleghi che aveva trovato lavoro in un’azienda di commercio dell’Arabia Saudita, ma si ritiene che proprio in quel momento abbia iniziato a frequentare un campo di addestramento per terroristi nello Yemen. In un altro video di reclutamento realizzato all’inizio dell’anno Adam chiede ai suoi sostenitori di “morire con onore”. Khalid Khawajia, un ex ufficiale della intelligence pakistana, che si descrive come un amico di Osama Bin Laden, ha detto di essere a conoscenza delle discussioni sul contingente tedesco che avvenivano in Germania e che c’erano un gruppo di convertiti svedesi giunti in Pakistan “per il Jihad”. “Ci sono europei nel Waziristan. La gente più motivata arriva dall’Europa. Faranno qualsiasi cosa per l’Islam. Non sono lì perché i loro padri sono musulmani, ma per una loro scelta personale,” ha concluso Khawajia.
Tratto da Telegrap, Traduzione di Roberto Santoro
martedì 27 ottobre 2009
Ergastolo!
Siracusa - Folle per gelosia. Per fare a pezzi il cadavere della compagna appena uccisa ha utilizzato un flex, una sega elettrica in genere utilizzata per tagliare materiali duri come il marmo. È uno degli agghiaccianti particolari emersi questa mattina dalla ricostruzione fatta dagli investigatori sull’ uccisione di Francesca Ferraguto da parte del fidanzato Gianfranco Bari, operaio trentacinquenne sottoposto a fermo dopo la sua confessione. Le indagini sono condotte dai carabinieri della compagnia di Augusta, coordinati dal sostituto procuratore della Repubblica di Siracusa Manuela Cavallo. Bari ha detto di ricordare solo di aver picchiato la donna, che sarebbe caduta a terra battendo violentemente la testa e morendo.
Fatta a pezzi e messa nei sacchi. Dopo avrebbe utilizzato uno dei suoi attrezzi di lavoro per tagliare in più parti il corpo, chiuderlo in sacchi di plastica da rifiuti e quindi gettarli in una profonda buca che aveva scavato in un terreno vicino all’abitazione rurale dei suoi genitori, dove i resti sono stati trovati ieri sera dopo che Bari, messo alle strette, aveva confessato. Ad Augusta si attende l’arrivo dei carabinieri del Ris di Messina che dovranno effettuare i rilievi sia nell’abitazione di via Lavaggi, nel centro della città, dove si è verificato il litigio mortale e dove si suppone che sia anche avvenuta l’ operazione di sezionamento del cadavere, sia sul luogo del ritrovamento del corpo.
L'alibi degli sms. L’uomo costruisce il suo alibi così: telefona dal suo cellulare a quello di Francesca lasciandole messaggi in segreteria telefonica e invitandola a ritornare. Nei giorni successivi, utilizzando il telefono cellulare della compagna che aveva con sè, invia alcuni sms sia al proprio telefonino che a quello della madre, e anche ad un sottufficiale dei carabinieri, suo conoscente, che si stava occupando delle ricerche della ragazza. Nel testo dei messaggini Bari, fingendosi Francesca, scrive di essersi allontanata da casa perchè vuol stare sola. I messaggi giungono da parti diverse del territorio, avvalorando per gli investigatori - che avevano messo l’utenza sotto controllo - l’ipotesi di un allontanamento volontario.
Lo snodo delle indagini. La svolta nelle indagini sull’ omicidio di Francesca Ferraguto avviene quando l’assassino, Gianfranco Bari, commette l’unico errore di questa vicenda: una sola volta pone la sim card della ragazza nel suo telefono personale per leggere alcuni messaggi. In quel momento gli investigatori hanno la certezza che l’uomo ha anche il telefono (trovato ieri sera nell’abitazione rurale dei genitori del fermato) e la sua sim. Nel tentativo di depistare gli investigatori, Bari inserisce la sim del telefono di Francesca in un altro suo vecchio apparecchio telefonico: sale su un treno diretto a Milano ma prima che il convoglio si muova nasconde il cellulare acceso nell’imbottitura di un sedile e scende. Il telefono di Francesca parte da solo per Milano per poi tornare, alcuni giorni dopo, ormai spento, ad Augusta.
"Chi l'ha visto". I carabinieri presidiano le stazioni di Catania e Augusta ma in quel treno, dove Francesca non è mai salita non c’è ovviamente traccia della ragazza. Questi spostamenti virtuali di Francesca lungo l’Italia trovano eco, hanno spiegato gli investigatori, anche nella trasmissione di Rai 3 "Chi l’ha visto", che si occupa del caso in più di un’occasione. Diverse le segnalazioni di persone che affermano di aver visto e anche parlato con Francesca. Tutto questo sembra dare credito all’ alibi di Bari. Ma il pm Manuela Cavallo è convinta che quella di Francesca non sia una sparizione volontaria e va dritta per la sua strada. Ieri pomeriggio convoca per una nuova audizione l’operaio, che messo alle strette, incalzandolo in particolare sulla vicenda delle sim card, confessa.
La questione morale
Il meccanismo era semplice e collaudato, secondo la procura di Firenze: una società di progettazione privata, che ha tra i suoi soci (prima palese, poi occulto) l’ex capogruppo del Pd in consiglio comunale, conquista il monopolio di fatto dell’edilizia pubblica fiorentina grazie all’intervento suo, di un suo compagno di partito e di alcuni dipendenti dell’ufficio tecnico comunale. La politica intrecciata agli affari e all’amministrazione della cosa pubblica, il tutto targato Pd e reso noto dai magistrati fiorentini - con tanto di conferenza stampa alla presenza del procuratore capo Giuseppe Quattrocchi - il giorno dopo le primarie. «Siamo davanti a una corrosione del rispetto dell’etica pubblica e della civitas», ha commentato il procuratore. «C’è aperta una questione morale?», domanda l’Italia dei valori. Il sindaco democratico Matteo Renzi ha precisato che l’attuale amministrazione è estranea ai fatti e ha sospeso i dipendenti coinvolti. Nell’inchiesta, coordinata dallo stesso Quattrocchi, sono indagate 24 persone. Da ieri mattina, su disposizione del gip Rosario Lupo, una di queste è in carcere (Giovanni Benedetti, geometra del comune), sei agli arresti domiciliari e gli altri (imprenditori, professionisti, dipendenti pubblici) indagati per associazione a delinquere finalizzata ad abusi edilizi, corruzione, abuso d'ufficio, truffa aggravata, falso ideologico. Il nome più noto è quello di Alberto Formigli, ex presidente del gruppo consiliare del Pd a Palazzo Vecchio e della commissione urbanistica, finito ai domiciliari così come due soci della società Quadra, l’ex presidente dell’Ordine degli architetti di Firenze Riccardo Bartoloni e il geometra Alberto Vinattieri, oltre all’ex capo dell’ufficio comunale edilizia privata Bruno Ciolli e agli imprenditori Francesco Bini e Marco Perugi.Formigli era uscito da Quadra, ma per gli investigatori «è stato abilissimo a interpretare il duplice ruolo di consigliere comunale e socio occulto» per garantire il buon esito delle pratiche edilizie della società e di altri amici. Secondo l’accusa, pilotava varianti al piano regolatore e deroghe ai regolamenti comunali con l'appoggio di Anton Giulio Barbaro, compagno di partito che un anno fa si era insediato alla guida della commissione urbanistica dopo le dimissioni forzate di Formigli, al centro di polemiche per il conflitto d’interessi. Anche per Barbaro sono stati chiesti i domiciliari, ma il gip li ha negati dato che la primavera scorsa non è stato rieletto in consiglio comunale. I soci di Quadra avevano rapporti quotidiani con le loro quinte colonne dell’ufficio edilizia privata del Comune di Firenze e discutevano di tutte le pratiche, non solo delle loro. Così, per esempio, riuscivano a eludere la normativa sulle barriere architettoniche o antincendio, oppure a evitare l’impiego dei costosi materiali di bioedilizia. «Andare da Quadra significava ottenere i permessi che si volevano», hanno detto i pubblici ministeri. Lo confermerebbero numerose intercettazioni telefoniche e ambientali: «Siamo i più forti del mondo», «Non si muove foglia che il capogruppo non voglia», «Siamo più fedeli tra noi che con le mogli» sono alcune delle frasi rese note in conferenza stampa. In un’occasione Bartoloni detta a Benedetti le modifiche per far approvare un progetto, poi la pratica sarà firmata da Ciolli come capo ufficio. In filmati registrati con microcamere si vedono Bartoloni e Vinattieri lavorare al computer di Benedetti in assoluta normalità. Sarebbe documentata anche la falsificazione delle tavole di progetti. I funzionari erano aiutati da altri impiegati che talvolta timbravano il loro cartellino o li scambiavano per giustificare assenze: una volta Ciolli disse che doveva assistere la madre malata, ma era in vacanza a New York. Nell’inchiesta sono una decina le società di progettazione o di costruzione sotto indagine e 21 gli interventi edilizi sospetti, anche se la regia era saldamente in mano a Quadra che garantiva corsie preferenziali per ottenere le autorizzazioni. Trattando con una di queste società, Ciolli e Benedetti avrebbero ottenuto guadagni illeciti poi investiti in Ucraina.
lunedì 26 ottobre 2009
Senza commento
STRETTO DI SICILIA - Sulla vicenda del barcone carico di immigrati da venerdi' in balia delle onde nel mezzo del Canale di Sicilia il comandante della petroliera Antignano chiarisce quanto avvenuto. "Malta - ha detto Mariano Adragna - appena siamo entrati nelle acque di loro competenza, si e' subito attivata. Ieri sera e' arrivato un pattugliatore maltese, ma i clandestini si sono rifiutati di essere trasbordati. Non volevano aiuto da Malta, era loro intenzione raggiungere l'Italia". La petroliera Antignano ha fornito assistenza al peschereccio con a bordo circa 200 immigrati dalla sera di venerdi' fino al primo pomeriggio di oggi.
Unione europea
Premessa: Nel corso di questi anni ho scritto diversi articoli sottolineando alcune sentenze o leggi che, a mio parere, presentavano diverse anomalie:violazioni costituzionali nell'esercizio della politica monetaria; attentato agli organi costituzionali; La costituzione inesistente, abbiamo perso tutto; Il lodo Alfano? Un falso bersaglio, l'Italia ha perso la tutela dei diritti umani. Non riuscivo a spiegarmi, allora, perché questi fatti non venissero segnalati, commentati e, soprattutto, perché i media tacessero la “pericolosità” di quanto stava accadendo. Oggi, probabilmente, ho capito il perché di quell’assordante silenzio. Quella che vi sto per raccontare è la storia di un grande inganno, un inganno che parte da lontano, sin dalla fine della seconda guerra mondiale. E’ la storia di un progetto (eversivo???) che vuole l’Europa governata da una oligarchia. Poiché il progetto subisce, nel 1992, un’importante accelerazione, è da tale anno che inizieremo a raccontare questa storia.
Per gentile concessione di Solange Manfredi