giovedì 12 febbraio 2009

Francesco Cossiga scrive

Caro Direttore,

ho letto l’articolo di Fausto Carioti su la Giornata del Ricordo, il ricordo del dramma delle foibe giuliane, e le sue critiche alle omissioni e ai silenzi del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo inutile discorso al Quirinale. Conosco credo abbastanza bene la triste vicenda e sono stato la prima autorità dello Stato italiano a inchinarmi, da presidente della Repubblica, al limitare del terreno nel quale le foibe hanno il loro ingresso. Prima andai a rendere il doveroso omaggio alla Risiera di San Saba; mi sarei ivi recato anche se non mi fosse stato imposto, come lo fu, dall’ammini strazione civica di Trieste, come atto “riparatore” del mio voler recarmi a rendere omaggio agli infoibati, atto considerato “fascista”. Notoriamente sono amico della Croazia e della Slovenia, mi battei - senza certo imporlo perché allora i capi dello Stato italiani: “regine d’Inghilterra senza cappellino e senza borsetta”, nulla potevano imporre ai governi, per il loro riconoscimento quali Stati indipendenti e sovrani, e portai io stesso, mentre ancora infuriavano i combattimenti con l’esercito jugoslavo, ma in realtà serbo, l’atto formale di riconoscimento a Zagabria e a Lubiana. La scorrettezza. Prima ancora avevo compiuto una piccola scorrettezza, passando, ancora prima del riconoscimento, il confine tra l’Italia e la Slovenia, recandomi da Gorizia a Nova Goriza per ivi incontrare il presidente provvisorio di quel neonato Stato democratico. Di questo i croati e gli sloveni, a quanto mi viene detto, mi sono ancora grati, e quest’ultimi me lo hanno dimostrato con la loro accoglienza quando circa un anno fai mi recai di nuovo da Gorizia a Nova Goriza. L’infoibamento non costituì una “rappresaglia” degli sloveni per le persecuzioni che loro furono veramente inflitte dal regime fascista, senza alcuna distinzione di credo politico. In Sardegna fu per un qualche tempo confinato un abate o priore benedettino, ovviamente cattolico, reo di essere sloveno, e sua sorella che era una suora, venne allontanata da Trieste, così come il padre di un mio fraterno amico, essendo un dipendente triestino sloveno delle Ferrovie dell’Impero Asburgico, fu trasferito subitamente a Sassari; e il figlio, mezzo italiano-sloveno e sardo, dopo essere stato presidente degli universitari cattolici della mia città, alla fine volle ritornare a Trieste. E molti sloveni di Trieste e dell’Istria furono incarcerati e fucilati, quando, esattamente a quello che fece Cesare Battisti, si rifiutarono di combattere nella sciagurata guerra d’aggressio ne al Regno della Jugoslavia contro i loro fratelli di cultura e di lingua. Tutto ciò premesso, con le foibe, lo “spirito razziale slavo”, e la ritorsione per le persecuzioni del nazifascimo e purtroppo anche la brutalità dell’occupazione militare italiana (gli italiani non sono stati tutti “brava gente”!), c’entrano poco, assai poco. Le foibe furono una specie di “bonifica”, non razziale, ma politica e religiosa. Poco si ricordano gli sloveni cattolici o anticomunisti che furono “infoibati”, e poco anche gli antifascisti italiani, sloveni e croati che furono anch’essi infoibati. E che dire dei combattenti della resistenza triestina e giuliana contro il nazifascismo che furono infoibati anch’essi? Strano che nelle foibe siano stati buttati, certo anche fascisti e “collaborazionisti”, ma antifascisti, senza partito, semplici cittadini e neanche un militante comunista di etnia italiana! Sempre che non sia “revisionismo” affermare che il partito comunista era favorevole all’annessione di Trieste alla Jugoslavia titina, allora ancora alleata dell’Unione Sovietica o dimenticare che fu Palmiro Togliatti che ordinò alle brigate partigiane comuniste di porsi agli ordini del IX° Corpus jugoslavo, o ricordare che un “commando” della Brigata Partigiana comunista “Garibaldi” di Gorizia attirò in una trappola lo Stato maggiore della Brigata partigiana “Osoppo”, costituita da cattolici, democristiani e no, di “azionisti”, di repubblicani , di ufficiali, sottufficiali e soldati delle truppe alpine che non avevano voluto aderire alla Repubblica sociale italiana, e quasi lo sterminò, solo perché erano contro l’annessione di Trieste, Gorizia e di una parte del Friuli alla Jugoslavia “titina”. Sempre che non sia “revisionismo” ricordare che non furono i nazifascisti (rei di gravissimi crimini, ma non di questo!), ma i valorosi soldati dell’Armata Rossa che soffocarono nel sangue la Rivoluzione Ungherese, finendo “in bellezza” la loro “gloriosa” operazione di “fraterna solidarietà socialista” fucilando il generale Maleter, ufficiale comunista ma devoto alla sua patria, e impiccando l’ex-segretario del partito comunista ungherese, “revisionista”: e queste cose Giorgio Napolitano le conosce bene per aver scritto su “l’Unità” un entusiastico articolo in difesa dell’operazione di “solidarietà socialista” della “gloriosa” Armata Rossa. Tristi avvenimenti. Forse sarebbe bene che non più si ricordassero questi tristi avvenimenti; e Giorgio Napolitano dovrebbe dare una mano alla “memoria condivisa nell’oblio”, tacendo su certi argomenti o almeno non dicendo falsità che offendono i morti e anche i vivi, magari accusando un malore e facendo parlare in sua vece il presidente della Camera dei Deputati il valoroso partigiano Gianfranco Fini: perché in fondo, se il comunismo e il fascismo, compreso quello “repubblichino” sono morti, anche Giorgio Napolitano qualche volta può… non stare bene. P.S. Ma in fondo dobbiamo ammettere che Giorgio non può certo dimenticare che la “verità” e l’etica debbono essere funzionali alla ideologia, ed anche all’interesse del “Partito”, anche se esso non c’è più!

L'articolo è preso dal blog di Leonardo.

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