giovedì 26 febbraio 2009

I referendum

Di Pietro: referendum sulla legge che non c'è di Gianni Pennacchi

Roma - È un riflesso condizionato ormai, meglio dei cagnolini di Pavlov che scodinzolavano con l’acquolina in bocca non più alla vista dell’osso, ma al solo trillo di un campanello. Così Tonino Di Pietro, che ad ogni legge o leggina che il governo presenta o soltanto annuncia, reagisce immediatamente con la minaccia di un referendum abrogativo. S’è scoperto referendario, plebiscitario e antiparlamentare, il leader di Idv: la logica democratica, infatti, vorrebbe che le leggi siano modificate o anche stravolte in Parlamento, l’appello al popolo essendo evento eccezionale. Ma Tonino è politico di fiuto e di istinto, non va tanto per il sottile. Ruba lo spazio e la scena al Pd, figurarsi se si fa scrupolo di scippar la storia e la gloria anche ai radicali. Qualunque cosa faccia o dica, ormai, in piazza, in tv e in conferenza stampa, finisce sempre accusando Berlusconi di mire dittatoriali, gli alleati democrat di pavidità, e promettendo sempre nuovi referendum. A «grappoli».

L’ultimo «grappolo» lo ha annunciato mentre protestava contro il nuovo cda della Rai, referendum che verteranno «soprattutto sui temi dell’economia e in particolare ci occuperemo di federalismo fiscale, finanziamento pubblico ai partiti, testamento biologico e sicurezza». Anche a voi resta incomprensibile quanto ci azzecchi l’economia con la sicurezza e ancor più col testamento biologico? Provvedimento quest’ultimo ancora ben lontano dal traguardo: in Parlamento stan discutendo, nessuno ancora sa prevedere se e quale legge ne uscirà. Ma Di Pietro lancia il referendum a prescindere. E passi per il finanziamento pubblico ai partiti, per il quale la legge c’è già. Ma un referendum sul federalismo fiscale? Non lo sa Tonino, che la Costituzione vieta esplicitamente i referendum abrogativi in materia fiscale? Sì che lo sa, ma tutto fa brodo e infiamma le piazze: i luoghi della politica che ormai Di Pietro predilige. Sfidando ogni principio di coerenza e di logica, perché occorre una dose massiccia di abbronzatura per accusare il governo di fascismo e peronismo, dire che «Berlusconi è come Saddam» dunque «Idv sta al fronte, combatte per la democrazia», e poi andare sotto la Rai additando al pubblico ludibrio le facce dei sette consiglieri appena nominati. Volti per lo più sconosciuti anche agli addetti ai lavori: era un bisogno «democratico» di Idv, esibirne le gigantografie come fossero ballerine o malfattori? Già che c’erano, potevano aggiungerne l’indirizzo di casa, a beneficio di più accesi giustizieri.

E va bene che Alessio Gorla è l’organizzatore della discesa in campo di Berlusconi, e che Giorgio Van Straten è il compagno d’ombrellone di Veltroni, ma chi li aveva mai visti in faccia? Pure Nino Rizzo Nervo, «veterano» confermato in quota postdemocristiana del Pd, giornalista siciliano amico di Sergio Mattarella e per questo fiduciario del Ppi in Rai, a chi interessa saperlo riconoscere? Forse era più civile proporre anche un referendum per abrogare la legge che regola le nomine del vertice Rai. Ma forse anche Di Pietro si rende conto che sta esagerando coi referendum. Prima del «grappolo» di carnevale, infatti, s’era già sparato il «grappolo» dell’estate, il 22 giugno scorso, dove già compariva quello per abolire il finanziamento dei partiti, e in più l’abolizione del finanziamento ai giornali di partito; oltre al preveggente referendum sulla legge - che ancora è in gestazione - per la regolamentazione delle intercettazioni giudiziarie, quello contro la sospensione dei processi a carico delle più alte cariche dello Stato (il cosiddetto Lodo Alfano, o Schifani, o Maccanico), e quello per spedire Rete4 sul satellite. Arduo fare referendum per cancellare una legge che non c’è.

Perché allora non promuovere almeno quello sui rimborsi elettorali, che scorrono da lustri e che lui promette da otto mesi? Forse perché anche Idv non vive di sola aria: tant’è che ha già precisato come il referendum riguarderà soltanto la norma posteriore che consente il raddoppio dei rimborsi negli anni successivi all’eventuale scioglimento anticipato. Chissà come saranno felici Prc, Sinistra democratica, Verdi e Pdci, che Tonino corteggia e dei quali ha bisogno anche per raccogliere le firme referendarie. Per farsi perdonare però, ha già perso per strada il referendum che farebbe chiudere ai compagni giornali e giornaletti. La realtà, e nonostante il gran parlare di referendum, è che sinora Di Pietro ne ha presentato uno soltanto: quello sul Lodo Alfano, consegnando «un milione di firme» dice, alla Cassazione il 7 gennaio scorso. Per tutti gli altri non ha ancora nemmeno formulato il quesito. Forse aspetta le prossime manifestazioni della Cgil - a proposito, che fine ha fatto il referendum contro la riforma Gelmini? - e delle formazioni comuniste. Per cannibalizzare - politicamente, s’intende - anche loro, come sta già facendo col Pd.

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