lunedì 23 febbraio 2009

Bucarest? No Roma, Italia

Gli insediamenti sono cominciati prima dell'ingresso della Romania nella UE. Roma, Bucarest italiana: 157mila presenti. Costa toscana, arrivi in aumento del 200%. Il Lazio, secondo il rapporto Cnel, è all'ultimo posto trale regioni per la possibilità di inserimento degli stranieri

Roma è la capitale dei romeni. Nella Capitale e nella sua provincia, infatti, vivono 157 mila romeni, pari al 15,5 per cento di quel milione che si ritiene si sia trasferito in Italia. Quando la Romania è entrata nella Ue, secondo Caritas Migrantes, c'è stato, nel nostro Paese, un incremento della presenza complessiva dei romeni dell'82,7 per cento. Nella provincia di Roma l'incremento è stato «solo» del 64,8 per cento. La crescita, insomma, è stata meno forte, ma semplicemente per un fenomeno di «saturazione», perché quest'area già negli anni passati aveva conosciuto un massiccio insediamento di romeni, molto più importante di altre zone del paese. Questo stesso dato spiega anche come mai, a partire dal 2007 e fino agli ultimi efferati delitti dei giorni scorsi, nella Capitale ci sia stato un incremento dell'allarme per fatti di criminalità ascrivibili a romeni. Il Lazio infatti è, secondo l'ultimo rapporto del Cnel sugli indici di integrazione degli immigrati, la regione italiana all'ultimo posto per la possibilità di inserimento per gli stranieri. Dalla marginalità alla devianza il passo è breve. Anche in considerazione del processo di trasformazione subito in questi ultimi anni dalla criminalità romena che col tempo si è «organizzata» specializzandosi in reati gravi come la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento della prostituzione, il traffico di stupefacenti. I romeni in particolare per conto degli albanesi (che sono quasi monopolisti nello sfruttamento della prostituzione) avviano e controllano su strada le donne ridotte in schiavitù, e si sono specializzati nel reclutamento violento delle ragazze, in Romania. Tutti reati, come si vede, «ideali» per l'area che gravita intorno alla Capitale. Anche in Toscana i romeni oscillano «tra inserimento lavorativo e rischio marginalità», come scrive Francesco Paletti, della Caritas di Pisa, nel dossier «Romania. Immigrazione e lavoro in Italia» curato da Franco Pittau, Antonio Ricci e Alessandro Silj. «Il bacino di disagio potenziale è cresciuto in modo particolarmente acuto nelle province di Massa Carrara, Livorno e Pisa dove i romeni sono praticamente triplicati (realizzando aumenti del 227,3%, del 222,3% e del 189,3 per cento)», afferma. Queste tre province costiere (che prima erano considerate poco appetibili per gli immigrati) oggi si collocano tra le prime dieci dell'Italia centrosettentrionale per ritmo di incremento dei romeni. Si tratta di «nuovi» arrivi e non di ricongiungimenti familiari, o delle cosiddette «catene migratorie» di chi si appoggia su amici o conoscenti che già sono sul territorio. E questo aumenta i rischi di devianza e marginalità. Mentre la presenza romena in Piemonte e Emilia Romagna si conferma stabile, nonostante che quest'ultima regione presenti (rapporto Cnel) le maggiori possibilità di inserimento lavorativo, un caso a sè è quello del Veneto, dove la presenza dei cittadini di Bucarest è da considerarsi, secondo Bruno Baratto, vicedirettore dell'Ufficio di Treviso della Fondazione Migrantes, effetto, già da anni, delle politiche di delocalizzazione delle nostre industrie in Romania. Ma anche qui nel 2007 l'incremento dei romeni è stato (+60 per cento) inferiore alla media nazionale. Neanche in Lombardia e in particolare a Milano, sostiene Meri Salati, coordinatrice del Centro studi della Caritas ambrosiana, «si è verificata la temuta invasione romena in seguito al loro ingresso nella Ue».

M.A.C.

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