Gli si sta addosso, controllandone ogni spostamento. Lo si scheda «geneticamente», punendolo in modo esemplare oppure «premiandolo» qualora dimostri di non essere più pericoloso. È questo il «vademecum dello stupratore» che emerge dall’analisi dei sistemi utilizzati in molti Stati - elaborati da più organizzazioni umanitarie consultate dal Giornale - per prevenire, curare, quando serve castigare, chi si rende responsabile di una violenza carnale. La «castrazione chimica», innanzitutto. Nessun «taglio», ovviamente. Trattasi di cura a base di ormoni che riducono la libido attraverso un abbassamento del testosterone. Ad adottarla inizialmente in otto Stati furono gli Stati Uniti, come misura temporanea preventiva per stupratori e pedofili, nonostante le proteste di alcune associazioni per i diritti civili, come l’American civil liberties union. L’autocastrazione su base volontaria, prevista per legge in più Paesi, sta dando qualche risultato: il condannato è autorizzato a ricorrervi per ottenere uno sconto di pena. È successo a Londra, in due casi, l’anno scorso. La castrazione chimica è stata utilizzata anche in Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Canada e Olanda. Anche la California non ne fa a meno e con non poco successo. In Danimarca chi si macchia di reati sessuali o sconta l’intera pena o segue un trattamento medico per la liberazione anticipata: dal 1989 i casi di trattamento farmacologico sono stati 25. Tutti hanno avuto esito positivo senza che si manifestasse alcuna recidiva. Nel 2005 Parigi ha sperimentato la castrazione chimica su 48 pazienti ex detenuti che avevano già scontato una condanna per reati sessuali ed erano caduti nuovamente in tentazione. Favorevoli all’intervento farmacologico, associato a trattamenti di psicoterapia, svariati esperti. Tra i quali il presidente della società mondiale di sessuologia, Eli Coleman. Negli Usa una persona pericolosa o malata può quindi scegliere tra l’intervento farmacologico e la psicoterapia. Chi sceglie la seconda strada, dopo due anni si dovrà confrontare con la perizia del suo psicologo che approderà inesorabilmente in tribunale. Luminari della «Società italiana di andrologia» specificano che l’iter è praticabile, anche se non vi sarebbero certezze sulla frequentazione di percorsi di psicoterapia da parte degli stupratori. Problema enorme per arginare il fenomeno è la mancanza di una banca dati del Dna. Laddove i test genetici sono capillari (gli Usa) numerosi stupratori sono stati assicurati alla giustizia, così come in 127 casi è stato possibile prosciogliere persone condannate ingiustamente. In molte aree nordamerica (vedi il Texas) si punta molto sulla mappatura, attraverso Gps, della zona di residenza del violentatore. Negli Stati Uniti esiste anche una sorta di «albo degli stupratori» nel quale ogni violentatore, già segnalato dalla polizia, deve indicare il luogo di residenza, e se cambia domicilio, è obbligato segnalarlo alle autorità di polizia. Va infine detto che la Corte Suprema ha fortemente limitato le condanne a morte (compresa quella che prevede il patibolo per chi abusa un minore di 12 anni) tanto che le esecuzioni hanno subito una riduzione di quasi il 50 per cento. Almeno la metà di quelle che vengono eseguite per omicidio hanno avuto come aggravante la violenza sessuale. Il 28 marzo del 2006 l’Oklahoma è diventato il quinto Stato a stelle e strisce (dopo Florida, Louisiana, Montana e South Carolina) a prevedere la pena di morte per i molestatori sessuali recidivi. Un discorso a parte meritano i Paesi islamici, africani e quelli orientali: dalla Siria al Malawi, dall’Uganda al Lesotho, dal Laos alla Malesia, passando dall’Arabia Saudita fino allo Yemen. Al patibolo, in Pakistan, ci finiscono solo i responsabili di uno «stupro di gruppo» mentre la «disposizione più controversa - si legge nel dossier dell’associazione radicale Nessuno tocchi Caino - prevede che una donna debba presentare quattro testimoni per provare lo stupro subìto, in caso contrario rischia l’incriminazione». Dall’inizio dell’anno fioccano ovunque le esecuzioni. Negli Emirati Arabi rischiano la testa tre molestatori sessuali, in Egitto in dieci sono già stati giustiziati, in Bangladesh tre violentatori penzolano da una forca a Jessore. In meno di due mesi il boia ha colpito duramente in Iran: un papà orco, quattro detenuti a Mashdat, uno ad Hamedan, due recidivi d’abusi a Yadz. L’Etiopia ha invece introdotto un emendamento al codice penale che prevede la pena di morte per lo stupratore. Ma solo se alla sua vittima ha deliberatamente trasmesso l’Hiv.
martedì 17 febbraio 2009
Sugli stupri
Gli Usa «castrano», l’Iran impicca: quelli che non hanno pietà per chi abusa di Gian Marco Chiocci
Gli si sta addosso, controllandone ogni spostamento. Lo si scheda «geneticamente», punendolo in modo esemplare oppure «premiandolo» qualora dimostri di non essere più pericoloso. È questo il «vademecum dello stupratore» che emerge dall’analisi dei sistemi utilizzati in molti Stati - elaborati da più organizzazioni umanitarie consultate dal Giornale - per prevenire, curare, quando serve castigare, chi si rende responsabile di una violenza carnale. La «castrazione chimica», innanzitutto. Nessun «taglio», ovviamente. Trattasi di cura a base di ormoni che riducono la libido attraverso un abbassamento del testosterone. Ad adottarla inizialmente in otto Stati furono gli Stati Uniti, come misura temporanea preventiva per stupratori e pedofili, nonostante le proteste di alcune associazioni per i diritti civili, come l’American civil liberties union. L’autocastrazione su base volontaria, prevista per legge in più Paesi, sta dando qualche risultato: il condannato è autorizzato a ricorrervi per ottenere uno sconto di pena. È successo a Londra, in due casi, l’anno scorso. La castrazione chimica è stata utilizzata anche in Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Canada e Olanda. Anche la California non ne fa a meno e con non poco successo. In Danimarca chi si macchia di reati sessuali o sconta l’intera pena o segue un trattamento medico per la liberazione anticipata: dal 1989 i casi di trattamento farmacologico sono stati 25. Tutti hanno avuto esito positivo senza che si manifestasse alcuna recidiva. Nel 2005 Parigi ha sperimentato la castrazione chimica su 48 pazienti ex detenuti che avevano già scontato una condanna per reati sessuali ed erano caduti nuovamente in tentazione. Favorevoli all’intervento farmacologico, associato a trattamenti di psicoterapia, svariati esperti. Tra i quali il presidente della società mondiale di sessuologia, Eli Coleman. Negli Usa una persona pericolosa o malata può quindi scegliere tra l’intervento farmacologico e la psicoterapia. Chi sceglie la seconda strada, dopo due anni si dovrà confrontare con la perizia del suo psicologo che approderà inesorabilmente in tribunale. Luminari della «Società italiana di andrologia» specificano che l’iter è praticabile, anche se non vi sarebbero certezze sulla frequentazione di percorsi di psicoterapia da parte degli stupratori. Problema enorme per arginare il fenomeno è la mancanza di una banca dati del Dna. Laddove i test genetici sono capillari (gli Usa) numerosi stupratori sono stati assicurati alla giustizia, così come in 127 casi è stato possibile prosciogliere persone condannate ingiustamente. In molte aree nordamerica (vedi il Texas) si punta molto sulla mappatura, attraverso Gps, della zona di residenza del violentatore. Negli Stati Uniti esiste anche una sorta di «albo degli stupratori» nel quale ogni violentatore, già segnalato dalla polizia, deve indicare il luogo di residenza, e se cambia domicilio, è obbligato segnalarlo alle autorità di polizia. Va infine detto che la Corte Suprema ha fortemente limitato le condanne a morte (compresa quella che prevede il patibolo per chi abusa un minore di 12 anni) tanto che le esecuzioni hanno subito una riduzione di quasi il 50 per cento. Almeno la metà di quelle che vengono eseguite per omicidio hanno avuto come aggravante la violenza sessuale. Il 28 marzo del 2006 l’Oklahoma è diventato il quinto Stato a stelle e strisce (dopo Florida, Louisiana, Montana e South Carolina) a prevedere la pena di morte per i molestatori sessuali recidivi. Un discorso a parte meritano i Paesi islamici, africani e quelli orientali: dalla Siria al Malawi, dall’Uganda al Lesotho, dal Laos alla Malesia, passando dall’Arabia Saudita fino allo Yemen. Al patibolo, in Pakistan, ci finiscono solo i responsabili di uno «stupro di gruppo» mentre la «disposizione più controversa - si legge nel dossier dell’associazione radicale Nessuno tocchi Caino - prevede che una donna debba presentare quattro testimoni per provare lo stupro subìto, in caso contrario rischia l’incriminazione». Dall’inizio dell’anno fioccano ovunque le esecuzioni. Negli Emirati Arabi rischiano la testa tre molestatori sessuali, in Egitto in dieci sono già stati giustiziati, in Bangladesh tre violentatori penzolano da una forca a Jessore. In meno di due mesi il boia ha colpito duramente in Iran: un papà orco, quattro detenuti a Mashdat, uno ad Hamedan, due recidivi d’abusi a Yadz. L’Etiopia ha invece introdotto un emendamento al codice penale che prevede la pena di morte per lo stupratore. Ma solo se alla sua vittima ha deliberatamente trasmesso l’Hiv.
Gli si sta addosso, controllandone ogni spostamento. Lo si scheda «geneticamente», punendolo in modo esemplare oppure «premiandolo» qualora dimostri di non essere più pericoloso. È questo il «vademecum dello stupratore» che emerge dall’analisi dei sistemi utilizzati in molti Stati - elaborati da più organizzazioni umanitarie consultate dal Giornale - per prevenire, curare, quando serve castigare, chi si rende responsabile di una violenza carnale. La «castrazione chimica», innanzitutto. Nessun «taglio», ovviamente. Trattasi di cura a base di ormoni che riducono la libido attraverso un abbassamento del testosterone. Ad adottarla inizialmente in otto Stati furono gli Stati Uniti, come misura temporanea preventiva per stupratori e pedofili, nonostante le proteste di alcune associazioni per i diritti civili, come l’American civil liberties union. L’autocastrazione su base volontaria, prevista per legge in più Paesi, sta dando qualche risultato: il condannato è autorizzato a ricorrervi per ottenere uno sconto di pena. È successo a Londra, in due casi, l’anno scorso. La castrazione chimica è stata utilizzata anche in Francia, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Canada e Olanda. Anche la California non ne fa a meno e con non poco successo. In Danimarca chi si macchia di reati sessuali o sconta l’intera pena o segue un trattamento medico per la liberazione anticipata: dal 1989 i casi di trattamento farmacologico sono stati 25. Tutti hanno avuto esito positivo senza che si manifestasse alcuna recidiva. Nel 2005 Parigi ha sperimentato la castrazione chimica su 48 pazienti ex detenuti che avevano già scontato una condanna per reati sessuali ed erano caduti nuovamente in tentazione. Favorevoli all’intervento farmacologico, associato a trattamenti di psicoterapia, svariati esperti. Tra i quali il presidente della società mondiale di sessuologia, Eli Coleman. Negli Usa una persona pericolosa o malata può quindi scegliere tra l’intervento farmacologico e la psicoterapia. Chi sceglie la seconda strada, dopo due anni si dovrà confrontare con la perizia del suo psicologo che approderà inesorabilmente in tribunale. Luminari della «Società italiana di andrologia» specificano che l’iter è praticabile, anche se non vi sarebbero certezze sulla frequentazione di percorsi di psicoterapia da parte degli stupratori. Problema enorme per arginare il fenomeno è la mancanza di una banca dati del Dna. Laddove i test genetici sono capillari (gli Usa) numerosi stupratori sono stati assicurati alla giustizia, così come in 127 casi è stato possibile prosciogliere persone condannate ingiustamente. In molte aree nordamerica (vedi il Texas) si punta molto sulla mappatura, attraverso Gps, della zona di residenza del violentatore. Negli Stati Uniti esiste anche una sorta di «albo degli stupratori» nel quale ogni violentatore, già segnalato dalla polizia, deve indicare il luogo di residenza, e se cambia domicilio, è obbligato segnalarlo alle autorità di polizia. Va infine detto che la Corte Suprema ha fortemente limitato le condanne a morte (compresa quella che prevede il patibolo per chi abusa un minore di 12 anni) tanto che le esecuzioni hanno subito una riduzione di quasi il 50 per cento. Almeno la metà di quelle che vengono eseguite per omicidio hanno avuto come aggravante la violenza sessuale. Il 28 marzo del 2006 l’Oklahoma è diventato il quinto Stato a stelle e strisce (dopo Florida, Louisiana, Montana e South Carolina) a prevedere la pena di morte per i molestatori sessuali recidivi. Un discorso a parte meritano i Paesi islamici, africani e quelli orientali: dalla Siria al Malawi, dall’Uganda al Lesotho, dal Laos alla Malesia, passando dall’Arabia Saudita fino allo Yemen. Al patibolo, in Pakistan, ci finiscono solo i responsabili di uno «stupro di gruppo» mentre la «disposizione più controversa - si legge nel dossier dell’associazione radicale Nessuno tocchi Caino - prevede che una donna debba presentare quattro testimoni per provare lo stupro subìto, in caso contrario rischia l’incriminazione». Dall’inizio dell’anno fioccano ovunque le esecuzioni. Negli Emirati Arabi rischiano la testa tre molestatori sessuali, in Egitto in dieci sono già stati giustiziati, in Bangladesh tre violentatori penzolano da una forca a Jessore. In meno di due mesi il boia ha colpito duramente in Iran: un papà orco, quattro detenuti a Mashdat, uno ad Hamedan, due recidivi d’abusi a Yadz. L’Etiopia ha invece introdotto un emendamento al codice penale che prevede la pena di morte per lo stupratore. Ma solo se alla sua vittima ha deliberatamente trasmesso l’Hiv.
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