KABUL - «Ma ve ne rendete conto? Non si sono accontentati di tirare pietre, dare fuoco alle abitazioni e linciare i cristiani. Hanno utilizzato anche pistole, mitra e persino un lanciagranate. Volevano distruggere e soprattutto uccidere con una rabbia e un accanimento per noi incomprensibili». Sarà che proprio mentre parla al telefono frate Hussein Younis ha davanti agli occhi i corpicini dei due nipotini uccisi, appena coperti da un lenzuolo sporco di sangue. E sarà che fuori dalla finestra vede le macerie fumanti della sessantina di abitazioni devastate dalla rabbia musulmana. Ma il suo racconto del pogrom anticristiano due giorni fa nel suo villaggio natale, Gojra, provincia di Faislabad, nel Punjab orientale, è davvero drammatico e non esita a puntare il dito «contro gli estremisti islamici, molto probabilmente legati ad Al Qaeda e ai Talebani, che attaccano le minoranze cristiane con un vasto progetto di destabilizzazione regionale». Ha 39 anni padre Younis, francescano, e un conto molto personale con gli autori di queste violenze: ben sette membri della sua famiglia hanno perduto la vita. «Fanno tutti per cognome Hameed, il clan famigliare del marito di mia sorella: due bambini, tre donne e due uomini. Tutti massacrati o bruciati vivi per una sola colpa: essere cristiani, una piccola minoranza che non supera il 2 per cento dei circa 170 milioni di pakistani», spiega. Ma com'è cominciata? «Alcuni giorni fa in un villaggetto presso Gojra si era tenuta una grande festa di matrimonio cristiana. Come è usanza, alla fine della cerimonia in chiesa gli invitati hanno tirato verso la coppia fiori, riso, alcune monete per augurare prosperità e biglietti con frasi di saluto o salmi. Il problema è che i musulmani hanno cominciato a sostenere che in realtà i versetti religiosi erano pagine del Corano strappate, un'offesa gravissima per l'Islam e oggi ancora più grave in questi tempi di fanatismo. Ben presto sono volati insulti, accuse, poi pietre e violenze. Nel pomeriggio erano già state date alle fiamme alcune abitazioni», risponde. Ma l'escalation più grave riprende sabato mattina verso le undici a Gojra, nei pressi della cosiddetta «Christian Town», il quartiere cristiano. «La nostra gente ha contato otto autobus carichi di estremisti arrivati da lontano. Volti sconosciuti di gente armata sino ai denti. Il loro slogan preferito è stato che noi cristiani abbiamo la stessa religione dei soldati americani e dunque siamo nemici, meritiamo la morte. Prima hanno tirato pietre, poi hanno utilizzato benzina e infine mitra e bombe. Qui attorno a me è tutto bruciato, carbonizzato. Il bilancio di sangue poteva essere molto peggio, se i cristiani non fossero stati in allarme e non fossero fuggiti subito. I miei famigliari non sono stati abbastanza veloci e sono bruciati vivi, intrappolati tra le fiamme. Mio genero aveva il cranio sfondato». In serata un'analisi più completa giunge ancora per telefono dal vescovo di Faislabad, monsignor Joseph Coutts, che ci risponde mentre sta ricevendo le autorità del governo regionale del Punjab, assieme ad alcuni leader religiosi musulmani locali. «Non è il mio mestiere fare analisi politiche - sostiene . Ma è ovvio che questi pogrom sono stati ben organizzati da gruppi che, alla luce della destabilizzazione in Pakistan, e forse persino in Afghanistan, e soprattutto delle battaglie degli ultimi mesi nella vallata di Swat, cercano di alzare la tensione. Ci hanno provato con i gravi attentati nelle maggiori città pakistane e ora passano con gli attacchi ai cristiani. Il fatto più grave è che adesso riescono a mobilitare grandi folle di fedeli contro di noi. Trovo sia un fenomeno preoccupante, peggiore che i soliti attentati isolati a suon di bombe nelle basiliche che hanno terrorizzato i cristiani sin dalla guerra del 2001 in Afghanistan». Il vescovo ricorda almeno quattro pogrom che hanno visto la mobilitazione di larghe masse di manifestanti pronte ad usare violenza. «La prima volta in anni recenti è stata nel 1997, nel villaggio di Shantinagar. Otto anni dopo si è ripetuto nella cittadina di Fanglahill. Il 30 giugno scorso è avvenuto nel villaggio Banniwal, nella regione di Kasur, non troppo lontano da qui. E il 26 luglio a Korrial hanno dato fuoco a 60 case. Per fortuna i cristiani erano pronti e sono fuggiti al primo segnale di violenza». A Islamabad da tempo la nunziatura fa discretamente pressione sul governo per cercare di offrire maggiori garanzie di difesa alla comunità cristiana. E i vescovi locali chiedono alle autorità di cancellare la controversa «legge 295», che in nome della Sharia (la legge coranica) prevede persino la pena di morte a chiunque offenda il Corano e la figura di Maometto. «Il problema è che questa legge viene spesso utilizzata in modo del tutto arbitrario. Spesso basta la parola di un cittadino musulmano per far mettere in carcere un cristiano senza alcuna prova concreta», prosegue monsignor Coutts
Lorenzo Cremonesi
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