lunedì 3 agosto 2009

Religione di pace

I fedeli accusati dagli estremisti musulmani di aver strappato pagine del corano. Il racconto del frate francescano. «Ho visto bruciare i miei parenti». Padre Hussein Younis e il pogrom anticristiano avvenuto in Pakistan

KABUL - «Ma ve ne rendete conto? Non si sono accontentati di tirare pietre, dare fuoco alle abitazioni e linciare i cristiani. Hanno utilizzato anche pistole, mitra e persino un lanciagranate. Volevano distruggere e soprattutto uccidere con una rabbia e un accanimento per noi incomprensibili».
Sarà che proprio mentre parla al telefono frate Hussein Younis ha davanti agli occhi i corpicini dei due nipotini uccisi, appena coperti da un lenzuolo sporco di sangue. E sarà che fuori dalla finestra vede le macerie fumanti della sessantina di abitazioni devastate dalla rabbia musulmana. Ma il suo racconto del pogrom anticristiano due giorni fa nel suo villaggio natale, Gojra, provincia di Faislabad, nel Punjab orientale, è davvero drammatico e non esita a puntare il dito «contro gli estremisti islamici, molto probabilmente legati ad Al Qaeda e ai Talebani, che attaccano le minoranze cristiane con un vasto progetto di destabilizzazione regionale». Ha 39 anni padre Younis, francescano, e un conto molto personale con gli autori di queste violenze: ben sette membri della sua famiglia hanno perduto la vita. «Fanno tutti per cognome Hameed, il clan famigliare del marito di mia sorella: due bambini, tre donne e due uomini. Tutti massacrati o bruciati vivi per una sola colpa: essere cristiani, una piccola minoranza che non supera il 2 per cento dei circa 170 milioni di pakistani», spiega. Ma com'è cominciata? «Alcuni giorni fa in un villaggetto presso Gojra si era tenuta una grande festa di matrimonio cristiana. Come è usanza, alla fine della cerimonia in chiesa gli invitati hanno tirato verso la coppia fiori, riso, alcune monete per augurare prosperità e biglietti con frasi di saluto o salmi. Il problema è che i musulmani hanno cominciato a sostenere che in realtà i versetti religiosi erano pagine del Corano strappate, un'offesa gravis­sima per l'Islam e oggi ancora più gra­ve in questi tempi di fanatismo. Ben presto sono volati insulti, accuse, poi pietre e violenze. Nel pomeriggio era­no già state date alle fiamme alcune abitazioni», risponde. Ma l'escalation più grave riprende sabato mattina ver­so le undici a Gojra, nei pressi della co­siddetta «Christian Town», il quartie­re cristiano. «La nostra gente ha contato otto au­tobus carichi di estremisti arrivati da lontano. Volti sconosciuti di gente ar­mata sino ai denti. Il loro slogan prefe­rito è stato che noi cristiani abbiamo la stessa religione dei soldati america­ni e dunque siamo nemici, meritiamo la morte. Prima hanno tirato pietre, poi hanno utilizzato benzina e infine mitra e bombe. Qui attorno a me è tut­to bruciato, carbonizzato. Il bilancio di sangue poteva essere molto peggio, se i cristiani non fossero stati in allarme e non fossero fuggiti subito. I miei fa­migliari non sono stati abbastanza ve­loci e sono bruciati vivi, intrappolati tra le fiamme. Mio genero aveva il cra­nio sfondato». In serata un'analisi più completa giunge ancora per telefono dal vesco­vo di Faislabad, monsignor Joseph Coutts, che ci risponde mentre sta rice­vendo le autorità del go­verno regionale del Punjab, assieme ad alcu­ni leader religiosi mu­sulmani locali. «Non è il mio mestiere fare anali­si politiche - sostiene ­. Ma è ovvio che questi pogrom sono stati ben organizzati da gruppi che, alla luce della desta­bilizzazione in Pakistan, e forse persino in Afgha­nistan, e soprattutto del­le battaglie degli ultimi mesi nella vallata di Swat, cercano di alzare la tensione. Ci hanno provato con i gravi at­tentati nelle maggiori città pakistane e ora pas­sano con gli attacchi ai cristiani. Il fatto più gra­ve è che adesso riesco­no a mobilitare grandi folle di fedeli contro di noi. Trovo sia un feno­meno preoccupante, peggiore che i so­liti attentati isolati a suon di bombe nelle basiliche che hanno terrorizzato i cristiani sin dalla guerra del 2001 in Af­ghanistan». Il vescovo ricorda almeno quattro pogrom che hanno visto la mobilitazio­ne di larghe masse di manifestanti pronte ad usare violenza. «La prima volta in anni recenti è stata nel 1997, nel villaggio di Shantinagar. Otto anni dopo si è ripetuto nella cittadina di Fanglahill. Il 30 giugno scorso è avve­nuto nel villaggio Banniwal, nella re­gione di Kasur, non troppo lontano da qui. E il 26 luglio a Korrial hanno dato fuoco a 60 case. Per fortuna i cristiani erano pronti e sono fuggiti al primo se­gnale di violenza». A Islamabad da tempo la nunziatura fa discretamente pressione sul gover­no per cercare di offrire maggiori ga­ranzie di difesa alla comunità cristia­na. E i vescovi locali chiedono alle au­torità di cancellare la controversa «leg­ge 295», che in nome della Sharia (la legge coranica) prevede persino la pe­na di morte a chiunque offenda il Cora­no e la figura di Maometto. «Il proble­ma è che questa legge viene spesso uti­lizzata in modo del tutto arbitrario. Spesso basta la parola di un cittadino musulmano per far mettere in carcere un cristiano senza alcuna prova con­creta», prosegue monsignor Coutts

Lorenzo Cremonesi

0 commenti: