«Cosa ho pensato quando ho letto la notizia? Che anche a me piacerebbe abitare dove hanno trovato un posto per i profughi dell’ex clinica San Paolo. Borgo Po è il quartiere più chic di Torino». Diego Pallavidini è l’unico che abbia voglia di scherzare. Per forza, fa il taxista e si trova in via Asti per caso. Gli altri, i residenti e i commercianti, vicini di casa dell’ex caserma che da fine luglio ospiterà i 200 rifugiati provenienti da Somalia, Eritrea e Darfur, hanno perso il senso dell’umorismo. Sono preoccupati, allarmati, in qualche caso angosciati. Solo una signora, su un terrazzo del condominio di fronte alla caserma, rimuove il problema: «Questa storia dei profughi non è vera, risale a otto anni fa». Ma le cose non stanno proprio così. «Stendiamo un velo pietoso», dice Carlo Foradini, responsabile del ristorante Monferrato. «I profughi porteranno gazzarra e disordine. Piazza Vittorio, a parte la movida, è ancora una cartolina della città. Non ho nulla contro gli extracomunitari, alcuni lavorano anche da noi, ma in questo caso si tratta di nullafacenti». Continua: «C’è tanta gente preoccupata, ho ricevuto diverse telefonate dei nostri clienti: sperano che don Sandro si faccia sentire affinché si desista da questa iniziativa». Lui, il parroco, aggredito tre anni fa da un immigrato che con un pugno gli ruppe un labbro e un dente, preferisce non parlare. Quando arriva, poco dopo le 16, ci liquida frettolosamente. «Non ho tempo, lasciatemi aprire la chiesa». Inutile cercarlo al telefono.Sulla piazza della Gran Madre, qualche commerciante giura di non sapere nulla - Claudia del Gran Bar, il responsabile della gioielleria Del Vago, Gelsomina di Sephora - mentre qualcun altro accetta di commentare. «Sono favorevole a mischiare culture e mentalità - racconta Cristina Buzau del caffè «Chantilly» - a patto che non diano fastidio». «Cosa vuole che le dica?», domanda invece Renata Vizio della gelateria «Gran gelato». «È giusto aiutare i profughi, sistemandoli in una struttura adeguata, ma il loro problema ricade sulla testa di altre persone. Porteranno svantaggi, questo sì». Addentrandosi nel quartiere, nelle tranquille traverse del precollina baciato dal sole, il dissenso aumenta fino a raggiungere l’apice proprio in via Asti. La signora Olga Ottone sta portando a spasso Jacopo, il nipotino. «Penso tutto il male possibile di questo trasloco - attacca - e mi sorprendo che il borgo non abbia ancora preso posizione. Una soluzione va trovata, ma preoccupano le condizioni ingieniche, il rischio malattie, il disturbo che queste persone possono portare. Siamo sicuri che siano tutte onestissime?». «Io vivo a Oslo - aggiunge Ada Farappa - ma i miei genitori stanno qui e sono allarmati. I profughi sono per lo più somali e, almeno nella capitale della Norvegia, la loro comunità è quella che crea più problemi». Poco oltre la caserma c’è un’autocarrozzeria Fiat-Lancia. Laura Bianchi, una dei titolari, è anche una mamma preoccupata. «Sono disperata, i rifugiati hanno già distrutto Borgo San Paolo e non si capisce perché da noi non dovrebbero fare la stessa cosa. Qui ci muoviamo come in un piccolo paese, i bambini vanno in giro da soli. Ho una figlia di 17 anni e uno di 11, ora dovranno essere accompagnati». Perdere la tranquillità è l’incubo più grande. «Questa è una delle ultime isole di pace della città - aggiunge Barbara, la sorella - non vogliamo perderla. Se si trattasse di persone civili non ci sarebbe nessun problema, ma la realtà racconta che non è così. Nell’ex clinica hanno fatto di tutto, vivendo anche in mezzo agli escrementi. Speriamo che almeno siano controllati come dicono, vedremo alla prova dei fatti». Qualcuno, come Giacomo, operaio, ha anche paura «che il valore delle case possa scendere». «È un problema - conferma Enrico Finello - immagino che chi abita qui non sia contento». C’è finalmente anche chi è un po’ più tollerante. Per Benito, «questa gente non può essere lasciata in mezzo alla strada», mentre per Sergio De Remigis «se molti italiani si comportassero come molti immigrati, il nostro sarebbe un Paese migliore». Chiude Stefano Gianola, che lavora in zona: «La storia di queste persone è drammatica, sono lieto che qualcuno li aiuti. Ma credo che nemmeno questa sarà la soluzione definitiva». E forse ha ragione.
venerdì 3 luglio 2009
Torino
"No ai profughi nell’isola felice". Borgo Po si ribella: "Così si rovina il quartiere più chic" di Jacopo D'Orsi
«Cosa ho pensato quando ho letto la notizia? Che anche a me piacerebbe abitare dove hanno trovato un posto per i profughi dell’ex clinica San Paolo. Borgo Po è il quartiere più chic di Torino». Diego Pallavidini è l’unico che abbia voglia di scherzare. Per forza, fa il taxista e si trova in via Asti per caso. Gli altri, i residenti e i commercianti, vicini di casa dell’ex caserma che da fine luglio ospiterà i 200 rifugiati provenienti da Somalia, Eritrea e Darfur, hanno perso il senso dell’umorismo. Sono preoccupati, allarmati, in qualche caso angosciati. Solo una signora, su un terrazzo del condominio di fronte alla caserma, rimuove il problema: «Questa storia dei profughi non è vera, risale a otto anni fa». Ma le cose non stanno proprio così. «Stendiamo un velo pietoso», dice Carlo Foradini, responsabile del ristorante Monferrato. «I profughi porteranno gazzarra e disordine. Piazza Vittorio, a parte la movida, è ancora una cartolina della città. Non ho nulla contro gli extracomunitari, alcuni lavorano anche da noi, ma in questo caso si tratta di nullafacenti». Continua: «C’è tanta gente preoccupata, ho ricevuto diverse telefonate dei nostri clienti: sperano che don Sandro si faccia sentire affinché si desista da questa iniziativa». Lui, il parroco, aggredito tre anni fa da un immigrato che con un pugno gli ruppe un labbro e un dente, preferisce non parlare. Quando arriva, poco dopo le 16, ci liquida frettolosamente. «Non ho tempo, lasciatemi aprire la chiesa». Inutile cercarlo al telefono.Sulla piazza della Gran Madre, qualche commerciante giura di non sapere nulla - Claudia del Gran Bar, il responsabile della gioielleria Del Vago, Gelsomina di Sephora - mentre qualcun altro accetta di commentare. «Sono favorevole a mischiare culture e mentalità - racconta Cristina Buzau del caffè «Chantilly» - a patto che non diano fastidio». «Cosa vuole che le dica?», domanda invece Renata Vizio della gelateria «Gran gelato». «È giusto aiutare i profughi, sistemandoli in una struttura adeguata, ma il loro problema ricade sulla testa di altre persone. Porteranno svantaggi, questo sì». Addentrandosi nel quartiere, nelle tranquille traverse del precollina baciato dal sole, il dissenso aumenta fino a raggiungere l’apice proprio in via Asti. La signora Olga Ottone sta portando a spasso Jacopo, il nipotino. «Penso tutto il male possibile di questo trasloco - attacca - e mi sorprendo che il borgo non abbia ancora preso posizione. Una soluzione va trovata, ma preoccupano le condizioni ingieniche, il rischio malattie, il disturbo che queste persone possono portare. Siamo sicuri che siano tutte onestissime?». «Io vivo a Oslo - aggiunge Ada Farappa - ma i miei genitori stanno qui e sono allarmati. I profughi sono per lo più somali e, almeno nella capitale della Norvegia, la loro comunità è quella che crea più problemi». Poco oltre la caserma c’è un’autocarrozzeria Fiat-Lancia. Laura Bianchi, una dei titolari, è anche una mamma preoccupata. «Sono disperata, i rifugiati hanno già distrutto Borgo San Paolo e non si capisce perché da noi non dovrebbero fare la stessa cosa. Qui ci muoviamo come in un piccolo paese, i bambini vanno in giro da soli. Ho una figlia di 17 anni e uno di 11, ora dovranno essere accompagnati». Perdere la tranquillità è l’incubo più grande. «Questa è una delle ultime isole di pace della città - aggiunge Barbara, la sorella - non vogliamo perderla. Se si trattasse di persone civili non ci sarebbe nessun problema, ma la realtà racconta che non è così. Nell’ex clinica hanno fatto di tutto, vivendo anche in mezzo agli escrementi. Speriamo che almeno siano controllati come dicono, vedremo alla prova dei fatti». Qualcuno, come Giacomo, operaio, ha anche paura «che il valore delle case possa scendere». «È un problema - conferma Enrico Finello - immagino che chi abita qui non sia contento». C’è finalmente anche chi è un po’ più tollerante. Per Benito, «questa gente non può essere lasciata in mezzo alla strada», mentre per Sergio De Remigis «se molti italiani si comportassero come molti immigrati, il nostro sarebbe un Paese migliore». Chiude Stefano Gianola, che lavora in zona: «La storia di queste persone è drammatica, sono lieto che qualcuno li aiuti. Ma credo che nemmeno questa sarà la soluzione definitiva». E forse ha ragione.
«Cosa ho pensato quando ho letto la notizia? Che anche a me piacerebbe abitare dove hanno trovato un posto per i profughi dell’ex clinica San Paolo. Borgo Po è il quartiere più chic di Torino». Diego Pallavidini è l’unico che abbia voglia di scherzare. Per forza, fa il taxista e si trova in via Asti per caso. Gli altri, i residenti e i commercianti, vicini di casa dell’ex caserma che da fine luglio ospiterà i 200 rifugiati provenienti da Somalia, Eritrea e Darfur, hanno perso il senso dell’umorismo. Sono preoccupati, allarmati, in qualche caso angosciati. Solo una signora, su un terrazzo del condominio di fronte alla caserma, rimuove il problema: «Questa storia dei profughi non è vera, risale a otto anni fa». Ma le cose non stanno proprio così. «Stendiamo un velo pietoso», dice Carlo Foradini, responsabile del ristorante Monferrato. «I profughi porteranno gazzarra e disordine. Piazza Vittorio, a parte la movida, è ancora una cartolina della città. Non ho nulla contro gli extracomunitari, alcuni lavorano anche da noi, ma in questo caso si tratta di nullafacenti». Continua: «C’è tanta gente preoccupata, ho ricevuto diverse telefonate dei nostri clienti: sperano che don Sandro si faccia sentire affinché si desista da questa iniziativa». Lui, il parroco, aggredito tre anni fa da un immigrato che con un pugno gli ruppe un labbro e un dente, preferisce non parlare. Quando arriva, poco dopo le 16, ci liquida frettolosamente. «Non ho tempo, lasciatemi aprire la chiesa». Inutile cercarlo al telefono.Sulla piazza della Gran Madre, qualche commerciante giura di non sapere nulla - Claudia del Gran Bar, il responsabile della gioielleria Del Vago, Gelsomina di Sephora - mentre qualcun altro accetta di commentare. «Sono favorevole a mischiare culture e mentalità - racconta Cristina Buzau del caffè «Chantilly» - a patto che non diano fastidio». «Cosa vuole che le dica?», domanda invece Renata Vizio della gelateria «Gran gelato». «È giusto aiutare i profughi, sistemandoli in una struttura adeguata, ma il loro problema ricade sulla testa di altre persone. Porteranno svantaggi, questo sì». Addentrandosi nel quartiere, nelle tranquille traverse del precollina baciato dal sole, il dissenso aumenta fino a raggiungere l’apice proprio in via Asti. La signora Olga Ottone sta portando a spasso Jacopo, il nipotino. «Penso tutto il male possibile di questo trasloco - attacca - e mi sorprendo che il borgo non abbia ancora preso posizione. Una soluzione va trovata, ma preoccupano le condizioni ingieniche, il rischio malattie, il disturbo che queste persone possono portare. Siamo sicuri che siano tutte onestissime?». «Io vivo a Oslo - aggiunge Ada Farappa - ma i miei genitori stanno qui e sono allarmati. I profughi sono per lo più somali e, almeno nella capitale della Norvegia, la loro comunità è quella che crea più problemi». Poco oltre la caserma c’è un’autocarrozzeria Fiat-Lancia. Laura Bianchi, una dei titolari, è anche una mamma preoccupata. «Sono disperata, i rifugiati hanno già distrutto Borgo San Paolo e non si capisce perché da noi non dovrebbero fare la stessa cosa. Qui ci muoviamo come in un piccolo paese, i bambini vanno in giro da soli. Ho una figlia di 17 anni e uno di 11, ora dovranno essere accompagnati». Perdere la tranquillità è l’incubo più grande. «Questa è una delle ultime isole di pace della città - aggiunge Barbara, la sorella - non vogliamo perderla. Se si trattasse di persone civili non ci sarebbe nessun problema, ma la realtà racconta che non è così. Nell’ex clinica hanno fatto di tutto, vivendo anche in mezzo agli escrementi. Speriamo che almeno siano controllati come dicono, vedremo alla prova dei fatti». Qualcuno, come Giacomo, operaio, ha anche paura «che il valore delle case possa scendere». «È un problema - conferma Enrico Finello - immagino che chi abita qui non sia contento». C’è finalmente anche chi è un po’ più tollerante. Per Benito, «questa gente non può essere lasciata in mezzo alla strada», mentre per Sergio De Remigis «se molti italiani si comportassero come molti immigrati, il nostro sarebbe un Paese migliore». Chiude Stefano Gianola, che lavora in zona: «La storia di queste persone è drammatica, sono lieto che qualcuno li aiuti. Ma credo che nemmeno questa sarà la soluzione definitiva». E forse ha ragione.
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1 commenti:
Toh, guarda che strano... quando i profughi, vittime del razzismo leghista e da accogliere a braccia aperte, capitano nei loro quartieri chic, anche gli atticati della sinistra al caviale diventano razzisti e si lasciano andare alle "oscenità" di un Borghezio qualsiasi!
Sono forse così altruisti da voler lasciare solo a noi le meraviglie della società multirazziale?
Di cosa vi preoccupate? L'immigrazione è uan risorsa, dovreste esserne felici che ne tocca un po' anche a voi!
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