Hanno imparato che anche uccidere i genitori - «se sono dalla parte sbagliata» - può essere un atto di fede ad Allah. Gli hanno insegnato che combattere i nemici dell’islam è un dovere e che il martirio è la ricompensa migliore per un musulmano. Per sedici ore ogni giorno li hanno allenati fisicamente e indottrinati psicologicamente, in modo che potessero affrontare la morte propria e quella del nemico con il fanatismo che si richiede a un vero eroe dell’islam. Ora le truppe pachistane li hanno catturati. Ma di fronte non si sono trovati kamikaze qualunque. In quel campo di addestramento smantellato dalle forze di Islamabad nella valle dello Swat sono stati «allevati» al martirio fra i 1.200 e i 1.500 bambini. Tutti di età compresa fra gli undici e i quindici anni. Rapiti dai talebani e da loro addestrati per andare a morire in Afghanistan. Niente scuola, addio agli amici e alla famiglia. I guerriglieri islamici li hanno sequestrati e portati a Mingora, la città nella valle dello Swat, al confine con l’Afghanistan, che in base a un accordo col governo pachistano è rimasta in mano agli integralisti, salvo poi subire l’offensiva militare delle forze di Islamabad quando i talebani hanno disatteso i patti. I piccoli protagonisti di una guerra più grande della loro stessa volontà - una volta catturati dai soldati di Islamabad - hanno raccontato a un giornalista del Times i loro giorni da incubo. Abdul Wahab è stato portato via dalla madrassa, la scuola islamica in cui studiava, e trasferito nel campo con la forza. Ha solo 15 anni: «Mi hanno detto che allenarmi per combattere i nemici dell’islam era dovere di ogni buon musulmano». Poi l’ammissione: «Ero terrorizzato quando mi hanno avvertito che sarei stato addestrato per gli attacchi suicidi». A Murad, 13 anni, hanno messo subito in mano una pistola: «Il mio istruttore mi ha detto che il martirio è la ricompensa migliore di Allah». A Kurshid Khan, 14 anni, hanno insegnato «a non esitare anche ad uccidere i genitori se stanno dalla parte sbagliata». Poi hanno istigato l’odio anche contro le forze pachistane, «diventate amiche dei cristiani e degli ebrei». Il giorno dell’attacco, il baby-kamikaze viene portato in moschea e elogiato per essere stato prescelto da Dio. E le forze pachistane non hanno dubbi: i bimbi di circa dodici anni allenati alla morte per l’islam sono almeno 1.200. Un numero e una circostanza che si sommano alle notizie svelate da un rapporto delle Nazioni Unite, che ricorda come l’80 per cento degli attentati contro le forze americane e occidentali impegnate in Afghanistan coinvolga persone addestrate in campi militari allestiti in Pakistan. Per alcuni di questi bambini però c’è una speranza. Dopo il blitz dei soldati pachistani, qualcuno è stato restituito alle proprie famiglie. Murad è tornato a Mingora. «Non avevamo idea di dove fosse finito - ha raccontato il padre. Mi ha fatto orrore sapere che mio figlio potesse diventare un kamikaze». Qualcun altro però non ha trovato la via di ritorno a casa. Molti sono stati venduti ad altri militanti. Impossibile sapere quanti di loro siano ancora vivi.
martedì 28 luglio 2009
Islam di pace
«Noi, baby-kamikaze contro i soldati italiani» di Gaia Cesare
Hanno imparato che anche uccidere i genitori - «se sono dalla parte sbagliata» - può essere un atto di fede ad Allah. Gli hanno insegnato che combattere i nemici dell’islam è un dovere e che il martirio è la ricompensa migliore per un musulmano. Per sedici ore ogni giorno li hanno allenati fisicamente e indottrinati psicologicamente, in modo che potessero affrontare la morte propria e quella del nemico con il fanatismo che si richiede a un vero eroe dell’islam. Ora le truppe pachistane li hanno catturati. Ma di fronte non si sono trovati kamikaze qualunque. In quel campo di addestramento smantellato dalle forze di Islamabad nella valle dello Swat sono stati «allevati» al martirio fra i 1.200 e i 1.500 bambini. Tutti di età compresa fra gli undici e i quindici anni. Rapiti dai talebani e da loro addestrati per andare a morire in Afghanistan. Niente scuola, addio agli amici e alla famiglia. I guerriglieri islamici li hanno sequestrati e portati a Mingora, la città nella valle dello Swat, al confine con l’Afghanistan, che in base a un accordo col governo pachistano è rimasta in mano agli integralisti, salvo poi subire l’offensiva militare delle forze di Islamabad quando i talebani hanno disatteso i patti. I piccoli protagonisti di una guerra più grande della loro stessa volontà - una volta catturati dai soldati di Islamabad - hanno raccontato a un giornalista del Times i loro giorni da incubo. Abdul Wahab è stato portato via dalla madrassa, la scuola islamica in cui studiava, e trasferito nel campo con la forza. Ha solo 15 anni: «Mi hanno detto che allenarmi per combattere i nemici dell’islam era dovere di ogni buon musulmano». Poi l’ammissione: «Ero terrorizzato quando mi hanno avvertito che sarei stato addestrato per gli attacchi suicidi». A Murad, 13 anni, hanno messo subito in mano una pistola: «Il mio istruttore mi ha detto che il martirio è la ricompensa migliore di Allah». A Kurshid Khan, 14 anni, hanno insegnato «a non esitare anche ad uccidere i genitori se stanno dalla parte sbagliata». Poi hanno istigato l’odio anche contro le forze pachistane, «diventate amiche dei cristiani e degli ebrei». Il giorno dell’attacco, il baby-kamikaze viene portato in moschea e elogiato per essere stato prescelto da Dio. E le forze pachistane non hanno dubbi: i bimbi di circa dodici anni allenati alla morte per l’islam sono almeno 1.200. Un numero e una circostanza che si sommano alle notizie svelate da un rapporto delle Nazioni Unite, che ricorda come l’80 per cento degli attentati contro le forze americane e occidentali impegnate in Afghanistan coinvolga persone addestrate in campi militari allestiti in Pakistan. Per alcuni di questi bambini però c’è una speranza. Dopo il blitz dei soldati pachistani, qualcuno è stato restituito alle proprie famiglie. Murad è tornato a Mingora. «Non avevamo idea di dove fosse finito - ha raccontato il padre. Mi ha fatto orrore sapere che mio figlio potesse diventare un kamikaze». Qualcun altro però non ha trovato la via di ritorno a casa. Molti sono stati venduti ad altri militanti. Impossibile sapere quanti di loro siano ancora vivi.
Hanno imparato che anche uccidere i genitori - «se sono dalla parte sbagliata» - può essere un atto di fede ad Allah. Gli hanno insegnato che combattere i nemici dell’islam è un dovere e che il martirio è la ricompensa migliore per un musulmano. Per sedici ore ogni giorno li hanno allenati fisicamente e indottrinati psicologicamente, in modo che potessero affrontare la morte propria e quella del nemico con il fanatismo che si richiede a un vero eroe dell’islam. Ora le truppe pachistane li hanno catturati. Ma di fronte non si sono trovati kamikaze qualunque. In quel campo di addestramento smantellato dalle forze di Islamabad nella valle dello Swat sono stati «allevati» al martirio fra i 1.200 e i 1.500 bambini. Tutti di età compresa fra gli undici e i quindici anni. Rapiti dai talebani e da loro addestrati per andare a morire in Afghanistan. Niente scuola, addio agli amici e alla famiglia. I guerriglieri islamici li hanno sequestrati e portati a Mingora, la città nella valle dello Swat, al confine con l’Afghanistan, che in base a un accordo col governo pachistano è rimasta in mano agli integralisti, salvo poi subire l’offensiva militare delle forze di Islamabad quando i talebani hanno disatteso i patti. I piccoli protagonisti di una guerra più grande della loro stessa volontà - una volta catturati dai soldati di Islamabad - hanno raccontato a un giornalista del Times i loro giorni da incubo. Abdul Wahab è stato portato via dalla madrassa, la scuola islamica in cui studiava, e trasferito nel campo con la forza. Ha solo 15 anni: «Mi hanno detto che allenarmi per combattere i nemici dell’islam era dovere di ogni buon musulmano». Poi l’ammissione: «Ero terrorizzato quando mi hanno avvertito che sarei stato addestrato per gli attacchi suicidi». A Murad, 13 anni, hanno messo subito in mano una pistola: «Il mio istruttore mi ha detto che il martirio è la ricompensa migliore di Allah». A Kurshid Khan, 14 anni, hanno insegnato «a non esitare anche ad uccidere i genitori se stanno dalla parte sbagliata». Poi hanno istigato l’odio anche contro le forze pachistane, «diventate amiche dei cristiani e degli ebrei». Il giorno dell’attacco, il baby-kamikaze viene portato in moschea e elogiato per essere stato prescelto da Dio. E le forze pachistane non hanno dubbi: i bimbi di circa dodici anni allenati alla morte per l’islam sono almeno 1.200. Un numero e una circostanza che si sommano alle notizie svelate da un rapporto delle Nazioni Unite, che ricorda come l’80 per cento degli attentati contro le forze americane e occidentali impegnate in Afghanistan coinvolga persone addestrate in campi militari allestiti in Pakistan. Per alcuni di questi bambini però c’è una speranza. Dopo il blitz dei soldati pachistani, qualcuno è stato restituito alle proprie famiglie. Murad è tornato a Mingora. «Non avevamo idea di dove fosse finito - ha raccontato il padre. Mi ha fatto orrore sapere che mio figlio potesse diventare un kamikaze». Qualcun altro però non ha trovato la via di ritorno a casa. Molti sono stati venduti ad altri militanti. Impossibile sapere quanti di loro siano ancora vivi.
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