domenica 12 luglio 2009

Non era pericoloso

"Un giudice disse che non era pericoloso". Il legale della prima vittima: potevano fermarlo 13 anni fa

ROMA
- Avrebbero potuto costringerlo a curarsi, e magari sarebbe guarito. Ma un giudice non fu di questo parere: lo fece scarcerare, e così Luca Bianchini è diventato uno stupratore seriale, accusato di 15 violenze sessuali. Era il 1996. Luca aveva solo 20 anni quando venne arrestato per aver tentato di abusare di una vicina di casa. Il giudice dell’udienza preliminare, Antonio Trivellini, lo prosciolse dalle accuse sulla base di una perizia psichiatrica che aveva dichiarato l’imputato incapace di intendere e di volere, «ma solo nel momento in cui aveva aggredito la donna e dunque non pericoloso socialmente»: insomma, una breve parentesi di follia in un soggetto per il resto assolutamente sano di mente. E ora, la prima vittima dello stupratore seriale, che adesso vive al Nord, deve tornare a fare i conti con le sue angosce: «Per me è tornato un incubo, quando ho letto sui giornali del maniaco di Roma ho pensato che potesse essere lui. Se potessi mi costituirei parte civile anche per conto di tutte le altre vittime». Tredici anni fa Luca era un giovane studente che viveva con i genitori nel quartiere di Centocelle. Un ragazzo tranquillo, che nessuno avrebbe ritenuto capace di un gesto così violento. Non era così. La sera del 28 maggio si armò di un coltello da cucina e bussò alla porta della vicina che aveva adocchiato da tempo. Si fece aprire la porta con una scusa. Fu una questione di attimi: Luca la scaraventò sul pavimento e le saltò addosso. La vittima di quello che poi si sarebbe trasformato nel «maniaco dei garage» si difese a pugni e calci. Riuscì a salvarsi solo perché in suo aiuto arrivò il figlio, un bambino di 10 anni, che afferrò l’aggressore per i capelli e cominciò a gridare a squarciagola. Bianchini si richiuse la porta alle spalle e tornò a casa come se nulla fosse, e poco dopo fu arrestato dalla polizia. Il giudice ordinò una perizia psichiatrica, e dopo qualche mese ebbe la diagnosi. Il giovane fu ritenuto «incapace di intendere e di volere al momento del fatto», venne prosciolto e tornò a casa, nello stesso palazzo in cui abitava la sua vittima: una donna traumatizzata che per mesi, prima che i Bianchini si trasferissero in un altro quartiere, fu costretta a incrociare per le scale l’uomo che aveva tentato di violentarla. Un’angoscia intollerabile, la sua, che la spinse ad abbandonare Roma e a trasferirsi con il figlio in una città del Nord. La decisione del gup lasciò di sasso l’avvocato di parte civile Francesco Caroleo Grimaldi, che ancora ricorda quel caso. «Era prevedibile che sarebbe finita nel peggiore dei modi - commenta -. Se si fosse fatta opera di prevenzione probabilmente oggi non esisterebbe uno stupratore seriale e non ci sarebbero quindici vittime di aggressioni a sfondo sessuale». L’avvocato ricorda bene quella perizia psichiatrica: «Secondo il medico l’incapacità di intendere e di volere di Bianchini era circoscritta solo al momento del fatto, cioè della tentata violenza. Il giudice, quindi, non ravvisò nell’imputato nessuna pericolosità sociale e lo lasciò andare: è come se avesse detto che da quel momento in poi una persona avrebbe potuto fare uno stupro e poi tornarsene liberamente a casa». E poi, aggiunge l’avvocato, Bianchini non ebbe affatto un raptus: «L’aggressore premeditò ogni cosa: escogitò un pretesto per entrare in casa di quella povera donna dopo essersi procurato un coltello, e la aggredì davanti al figlio che aveva solo dieci anni».

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