martedì 14 luglio 2009

Onu

"Sui profughi Torino è stata insufficiente"

Sulla questione dei rifugiati l’Italia è un Paese in continua emergenza. Dieci anni fa c’erano 33 mila domande di asilo dalle popolazioni dell’ex Jugoslavia; quest’anno le richieste sono di poco superiori a quelle del 1999 ma è ancora emergenza-profughi. A livello nazionale mancano risorse, a livello locale quanto sta accadendo a Torino tra l’ex clinica San Paolo e l’ex caserma di via Asti dimostra che non c’è stata una cabina di regia. Laura Boldrini è portavoce italiana per i rifugiati presso l’Alto commissariato dell’Onu. Che cosa significa «è mancata una cabina di regia»? «Se il risultato, a un anno dall’arrivo dei rifugiati a Torino, è quanto si legge sui giornali, è evidente che quanto è stato fatto è altamente insufficiente». Cos’è mancato? «Un percorso di integrazione che si possa definire tale mette queste persone in grado di camminare con le proprie gambe. Vorrei ricordare che parliamo di uomini e donne che non hanno scelto di cercare un lavoro in altri Paesi, ma di gente che sarebbe rimasta a casa, se avesse potuto. Mi risulta che solo per una parte di loro, una trentina, è partito un programma di integrazione». Integrazione difficile: da un lato un quartiere felice perché se ne andranno, dall’altro metà di un altro quartiere che non li vuole... «L’errore è creare grandi centri di accoglienza. I grandi centri alimentano sempre preoccupazione, e sentirsi sotto assedio non giova, anche perché spesso i giornali riportano di queste vicende soltanto i toni più accesi. Così la popolazione è spaventata e ostile». Invece? «Occorrono soluzioni a misura di persona. Serve un progetto che li collochi anche nei piccoli Comuni, in gruppi minori, dov’è più facile che i profughi, da problema, diventino risorsa». Un esempio? «Nella Locride, in Calabria, alcuni sindaci di cittadine quasi spopolate hanno creduto nella presenza dei rifugiati. A Riace, ad esempio: il risultato è che alcune classi non sono state tagliate perché la presenza di figli di rifugiati ha fatto salire i numeri degli iscritti, mentre, sempre grazie a loro, sono stati riaperti laboratori di artigianato. La Regione Calabria è la prima, in Italia, ad aver votato una legge per l’integrazione. Una legge per cui i rifugiati non sono un peso sociale». Un modello esportabile a Torino? «Assolutamente. Soprattutto nelle grandi città come Torino o Milano. Sa quanti sono i rifugiati in Italia?» Quanti? «Circa 47 mila. In Germania 580 mila, 300 mila in Inghilterra. E sa quanti sono in lista d’attesa a Torino?». Quanti? «Cinquecento. Non posso credere che in una città da 900 mila abitanti come Torino 500 rifugiati non possano diventare una risorsa. I rifugiati non sono qui per vivere di assistenzialismo».Comunque c’è timore. Ieri è stato organizzato un consiglio di Circoscrizione aperto.«Le mele marce ci sono ovunque, e anche questo deve essere detto. Ma la maggior parte di loro può davvero diventare una risorsa». Finora, a Torino, hanno vissuto in condizioni disumane. Che diritti hanno queste persone? «La legge prevede che siano assistiti per almeno sei mesi. In verità io ritengo sia un periodo troppo corto. Questo è l’anello debole del sistema: mentre abbiamo commissioni che fanno un lavoro accurato nel concedere lo status di rifugiato, mancano poi investimenti. Capita a Torino, ma anche in altri grandi centri urbani dove queste persone, ovviamente, tendono ad andare».

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