lunedì 20 luglio 2009

Amici

Al consiglio regionale posti ad hoc per gli amici dei politici. La Campania assume l’esercito dei «comandati». La denuncia del vicepresidente Ronghi: «infornata» di distaccati da società a partecipazione pubblica

ROMA
— Parolina magica: comanda­to. Per un dipendente pubblico essere co­mandato significa il trasferimento dal­l’amministrazione che lo ha assunto a un altro ufficio. Più comodo, più prestigioso, soprattutto meglio retribuito. Insomma, un destino super ambito. Anche perché dovrebbe essere riservato a pochi fortuna­ti destinatari di incarichi che non si po­trebbero ricoprire in altro modo. Tranne che al Consiglio regionale della Campania, dove i comandati da altre am­ministrazioni sono la bellezza di 223: per un costo di almeno una dozzina di milioni l’anno. Sono arrivati da tutte le parti. Dalle Asl. Dall’Inps. Dai mini­steri dell’Istruzione, delle Infrastrutture, dell’Economia, dei Beni Culturali, della Di­fesa, della Giustizia. Dai Comuni: perfino da quello di Siena. Dalle Province. Dalle Università. Ma c’è chi è stato comandato al Consiglio regionale della Campania an­che dalle Poste e dall’Atm: proprio così, anche l’azienda di trasporti controllata dal Comune di Milano. Siccome i distaccati dalle altre ammini­strazioni pubbliche non bastavano, allora con una leggina regionale del 2002 si è estesa la possibilità di far distaccare nel brutto palazzone del centro direzionale di Napoli dove ha sede il Consiglio, pure i di­pendenti delle imprese pubbliche. Ma nemmeno controllate completamente dal­lo Stato o dagli enti locali, visto che per farsi recapitare nel dorato mondo della politica campana era sufficiente risultare dipendente di una società nella quale la partecipazione pubblica non fosse «infe­riore al 49 per cento». Il giochino era sem­plice: bastava far assumere una persona da una società del Comune o della Regio­ne, dove si può entrare per chiamata diret­ta, e farla poi distaccare presso la segrete­ria di un politico. Dove, guarda caso, si trova la maggior parte dei comandati. Scorrendo il loro elenco si scopre che i di­pendenti di società, amministrazioni ed enti pubblici distaccati presso strutture politiche, come i gruppi dei partiti, sono circa 150. Alla segreteria di Alessandrina Lonar­do, presidente del Consiglio regionale nonché consorte dell’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, ci sono 14 comandati. Quelli del gruppo Pd sono 22: fra loro, secondo la lista, ci sarebbe anche una persona proveniente da Enel distribuzione spa, società che fa parte di un gruppo nel quale la partecipazione pubblica è ben inferiore al 49% previsto dalla legge regionale. Ben otto sono nel gruppo del Nuovo Psi. Una dozzina in quello di Forza Italia. E ben sei sono alle dipendenze del questore al personale Ful­vio Martusciello. Nel tentativo di mettere un freno a que­sto meccanismo infernale, qualche anno fa si decise di bloccare il flusso dei coman­dati dalle aziende pubbliche. Inutile dire che il promotore di questa iniziativa, il vi­cepresidente del consiglio regionale Salva­tore Ronghi, ora esponente del Movimen­to per le autonomie, non si fece molti ami­ci. Ma non aveva previsto l’inevitabile col­po di coda. Un giorno di gennaio del 2008, mentre si votava la legge finanziaria locale, passò senza colpo ferire un emen­damento trasversale che prevede di fatto la stabilizzazione nei ruoli del consiglio re­gionale del personale in posizione di co­mando proveniente da altre amministra­zioni: compresi, ovviamente, i circa 80 di­pendenti delle imprese pubbliche e para­pubbliche. Erano le tre del mattino. La norma in questione è l’articolo 44 della legge regionale numero 1 del 2008 e stabi­lisce che i comandati possono venire col­locati in un’apposita graduatoria e accede­re a «corsi concorsi» a loro riservati per passare a tutti gli effetti alle dipendenze del Consiglio. Per gestire questa procedu­ra è stata nominata il 2 luglio scorso una commissione di nove (nove!) persone pre­sieduta da un dirigente dell’amministra­zione, Girolamo Sibilio, ma con forti vena­ture politiche. Ovviamente bipartisan. Per dirne una, ne fa parte anche Anna Fer­razzano, vice presidente della giunta pro­vinciale di Salerno, già commissario di Forza Italia nella città campana. Secondo Ronghi ce n’è abbastanza per far scoppiare uno scandalo, mettendo an­che in azione la magistratura: «E’ del tut­to illegale assumere in questo modo i co­mandati provenienti dalle aziende a parte­cipazione pubblica. La legge stabilisce che non si possa venire assunti in una pubbli­ca amministrazione se non tramite con­corso pubblico, e sottolineo pubblico. I corsi concorsi previsti dall’articolo 44 ser­vono soltanto per aggirarlo facendo di­ventare dipendenti del consiglio regiona­le gli amici dei politici assunti fittiziamen­te dalle società miste». Non sarà un caso che da quando è nata la Regione Campania, nel 1970, nel consi­glio regionale non è mai entrato un dipen­dente per concorso pubblico. Il primo con­corso (per 36 posti) è stato bandito nel 2005, ma non è stato ancora fatto. E la pro­spettiva della stabilizzazione di tutti i co­mandati non lascia molte speranze a chi punta su quello per avere un lavoro. An­che perché costoro sono circa metà di tut­ti i dipendenti del consiglio. Che grazie ai comandi e ai distacchi sono diventati ne­gli anni più numerosi di quelli di Buckin­gham Palace, e oltre il doppio, in propor­zione agli eletti, rispetto alla Camera. Per ognuno dei 60 consiglieri regionali cam­pani ci sono circa otto dipendenti, a fron­te dei tre per ogni deputato che si conta­no a Montecitorio.

Sergio Rizzo

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