giovedì 23 luglio 2009

Islam svedese

La città aveva dato via libera al seno nudo in piscina. Ma nessuna ne ha approfittato. Svezia, il topless al tramonto sotto lo sguardo degli islamici. A Malmö, un terzo di musulmani, le donne si ricoprono

Nemmeno una, una che una: intervistato dai giornali e dal­le tv locali, Zakariah Al-Falous, capo­bagnino della piscina principale di Malmö e fedele di Maometto almeno a giudicare dal nome, assicura che nemmeno una delle «sue» clienti ha nuotato in questi giorni a seno nudo, in topless. E’ stato un caso? Non si sa. Ma se non è stato un caso, allora è l’inizio di una mini-rivolu­zione. Perché tutte le don­ne avrebbero potuto tuffar­si e nuotare dimenticando la parte superiore del co­stume, senza tema di mul­te o rimbrotti. Ci mancherebbe: è sem­pre stato così, è ancora co­sì, a Malmö; che è la terza città della Svezia; che è, o dovrebbe essere, il paese li­berale e delle libertà ses­suali un tempo sognato da tanti italiani, e mitizzato dal grande Alberto Sordi nel «Diavolo», anno di gra­zia 1963. Di più: 46 anni dopo, 20 gior­ni fa, proprio il municipio di Malmö ha dato ragione a un agguerrito grup­po femminista, e ha bocciato la propo­sta partita da ambienti conservatori di vietare il topless nelle piscine pub­bliche della città. Per questo ci si at­tendeva una parata di muscoli toraci­ci femminili, a mo’ di manifestazione politica. Ma non c’è stata, come certi­fica il palestrato Zakariah. E la spiega­zione la custodisce forse l’ufficio ana­grafe. Perché Malmö non è solo la terza città della Svezia, prescelta da immi­grati di oltre 150 nazionalità, ma an­che la città europea con la più alta per­centuale di immigrati musulmani, al­meno in parte sensibili alla predica­zione degli imam integralisti; quegli stessi che impongono alle donne il ve­lo in tutte le sue forme. E la proposta di vietare ora il topless (testuale: «le donne con un costume a due pezzi de­vono indossare il pezzo superiore»), sostenuta da partiti di centro e da al­cuni gruppi vicini alle chiese, era pro­babilmente legata alla composizione etnico-religiosa della cittadinanza: motivi — dichiarati — di «decoro», e altri — non dichiarati — di ordine pubblico. Due mondi qui convivono, e si urta­no, come mai era accaduto in tanti se­coli: poiché in questo pezzo di Euro­pa, per la prima volta, il mondo arriva­to per ultimo — quello degli immigra­ti musulmani — sta per raggiungere in forza e capacità di attrazione il mondo «di prima», e la minoranza sta per diventare maggioranza. Pro­prio in Svezia, come forse in altri pae­si europei, è comparso di recente il «burkini», incrocio fra bikini e burqa che consente di tuffarsi anche alle ra­gazze più timorate: c’è almeno una grande piscina che già lo fornisce a noleggio. E in questi anni, sulle spiag­ge svedesi, più d’una volta la visione di qualche bellezza discinta — magari accanto a qualche famigliola di immi­grati con una ragazza velata — ha pro­vocato momenti di tensione, o di disa­gio. Lo stesso disagio, in quelle stesse piscine frequentate anche da migliaia di giovani musulmani, potrebbe ora spiegare il tramonto del topless, no­nostante la «vittoria» ottenuta in mu­nicipio: o almeno, così ipotizzano al­cuni delle centinaia di messaggi che in questi giorni bombardano i blog. Il gruppo femminista che ha assunto la difesa politica del seno nudo si è auto­battezzato, con fantasia non eccelsa, «Seno nudo»: «Questione di ugua­glianza — hanno detto sornione le sue portabandiera — perché in pisci­na le donne dovrebbero indossare un pezzo di sopra del costume, coprirsi il torace, e gli uomini no?». Il testo del regolamento comunale approvato alla fine è degno del re Sa­lomone: «Ciascun frequentatore delle piscine deve indossare un costume da bagno», senza più sottilizzare su pezzi di sopra o di sotto. Ma più anco­ra della protesta femminista, per il Co­mune di Malmö hanno contato le tra­dizioni locali da rispettare: forse la Svezia non è mai stata il paradiso del­le giunoni bionde e disinibite sognate da Sordi, ma non è mai stata neppure un algido collegio di beghine. Biso­gnerà cercare un compromesso per ri­spettare le libertà di tutti, dicono i più pacifici interlocutori dei blog. Co­me uno, che azzarda una diagnosi im­parziale: «Ho vissuto in Svezia per an­ni, ricordo che al mare il topless e an­che i bambini nudi erano una norma. Credo che la gente abbia cambiato mentalità per 3 ragioni: la sessualizza­zione della nudità, l’aumento dei citta­dini stranieri, e la paura dei tumori della pelle». Ma c’è anche chi digrigna i denti: «Il mancato divieto del topless? So che i musulmani e gli americani se ne diranno sconvolti: ma se lo sono, allo­ra se ne vadano e non tornino più. Qui siamo in Europa, non a Bagdad o a Washington».

Luigi Offeddu

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