Nemmeno una, una che una: intervistato dai giornali e dalle tv locali, Zakariah Al-Falous, capobagnino della piscina principale di Malmö e fedele di Maometto almeno a giudicare dal nome, assicura che nemmeno una delle «sue» clienti ha nuotato in questi giorni a seno nudo, in topless. E’ stato un caso? Non si sa. Ma se non è stato un caso, allora è l’inizio di una mini-rivoluzione. Perché tutte le donne avrebbero potuto tuffarsi e nuotare dimenticando la parte superiore del costume, senza tema di multe o rimbrotti. Ci mancherebbe: è sempre stato così, è ancora così, a Malmö; che è la terza città della Svezia; che è, o dovrebbe essere, il paese liberale e delle libertà sessuali un tempo sognato da tanti italiani, e mitizzato dal grande Alberto Sordi nel «Diavolo», anno di grazia 1963. Di più: 46 anni dopo, 20 giorni fa, proprio il municipio di Malmö ha dato ragione a un agguerrito gruppo femminista, e ha bocciato la proposta partita da ambienti conservatori di vietare il topless nelle piscine pubbliche della città. Per questo ci si attendeva una parata di muscoli toracici femminili, a mo’ di manifestazione politica. Ma non c’è stata, come certifica il palestrato Zakariah. E la spiegazione la custodisce forse l’ufficio anagrafe. Perché Malmö non è solo la terza città della Svezia, prescelta da immigrati di oltre 150 nazionalità, ma anche la città europea con la più alta percentuale di immigrati musulmani, almeno in parte sensibili alla predicazione degli imam integralisti; quegli stessi che impongono alle donne il velo in tutte le sue forme. E la proposta di vietare ora il topless (testuale: «le donne con un costume a due pezzi devono indossare il pezzo superiore»), sostenuta da partiti di centro e da alcuni gruppi vicini alle chiese, era probabilmente legata alla composizione etnico-religiosa della cittadinanza: motivi — dichiarati — di «decoro», e altri — non dichiarati — di ordine pubblico. Due mondi qui convivono, e si urtano, come mai era accaduto in tanti secoli: poiché in questo pezzo di Europa, per la prima volta, il mondo arrivato per ultimo — quello degli immigrati musulmani — sta per raggiungere in forza e capacità di attrazione il mondo «di prima», e la minoranza sta per diventare maggioranza. Proprio in Svezia, come forse in altri paesi europei, è comparso di recente il «burkini», incrocio fra bikini e burqa che consente di tuffarsi anche alle ragazze più timorate: c’è almeno una grande piscina che già lo fornisce a noleggio. E in questi anni, sulle spiagge svedesi, più d’una volta la visione di qualche bellezza discinta — magari accanto a qualche famigliola di immigrati con una ragazza velata — ha provocato momenti di tensione, o di disagio. Lo stesso disagio, in quelle stesse piscine frequentate anche da migliaia di giovani musulmani, potrebbe ora spiegare il tramonto del topless, nonostante la «vittoria» ottenuta in municipio: o almeno, così ipotizzano alcuni delle centinaia di messaggi che in questi giorni bombardano i blog. Il gruppo femminista che ha assunto la difesa politica del seno nudo si è autobattezzato, con fantasia non eccelsa, «Seno nudo»: «Questione di uguaglianza — hanno detto sornione le sue portabandiera — perché in piscina le donne dovrebbero indossare un pezzo di sopra del costume, coprirsi il torace, e gli uomini no?». Il testo del regolamento comunale approvato alla fine è degno del re Salomone: «Ciascun frequentatore delle piscine deve indossare un costume da bagno», senza più sottilizzare su pezzi di sopra o di sotto. Ma più ancora della protesta femminista, per il Comune di Malmö hanno contato le tradizioni locali da rispettare: forse la Svezia non è mai stata il paradiso delle giunoni bionde e disinibite sognate da Sordi, ma non è mai stata neppure un algido collegio di beghine. Bisognerà cercare un compromesso per rispettare le libertà di tutti, dicono i più pacifici interlocutori dei blog. Come uno, che azzarda una diagnosi imparziale: «Ho vissuto in Svezia per anni, ricordo che al mare il topless e anche i bambini nudi erano una norma. Credo che la gente abbia cambiato mentalità per 3 ragioni: la sessualizzazione della nudità, l’aumento dei cittadini stranieri, e la paura dei tumori della pelle». Ma c’è anche chi digrigna i denti: «Il mancato divieto del topless? So che i musulmani e gli americani se ne diranno sconvolti: ma se lo sono, allora se ne vadano e non tornino più. Qui siamo in Europa, non a Bagdad o a Washington».
Luigi Offeddu
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